martedì 10 ottobre 2017

legge Elettorale. FORZATURA DI SISTEMA.

L'accordone perfetto che soddisfa tutti, dal Quirinale alla Lega. Un modo con cui il Sistema perpetua se stesso.


L'accordone, anzi la forzatura del Sistema, viene sancita quando, prima del consiglio dei ministri, i capigruppo di Forza Italia chiamano Paolo Gentiloni: "Puoi mettere la fiducia – questo il senso del messaggio - noi non ci opponiamo e accompagneremo il percorso della legge fino alla fine". È una svolta che matura nelle ultime 48 ore, fortemente voluta da Renzi. Il quale, solo qualche giorno fa, confidava ai suoi: "C'è un unico modo per far passare la legge, con tutti questi voti segreti: la fiducia. Ma Brunetta non è d'accordo...". A convincere Silvio Berlusconi, mai entusiasta di questa legge, c'è innanzitutto un ragionamento, spietato e lineare, che ha a che fare le liste, le teste da tagliare e le facce da cambiare: "Renzi – dice una fonte di casa ad Arcore – ci ha recapitato questo messaggio: il Rosatellum, conviene sia a voi che a noi, perché ci consente di far fuori quelli che vogliamo fare fuori", che nella fattispecie sarebbero per uno la sinistra degli odiati D'Alema e Bersani, per l'altro quella nomenklatura che resisterebbe con le preferenze, per plasmare liste di obbedienti ai voleri del Capo. In Senato fonti solitamente attendibili parlano anche di contatti diretti tra Renzi e Berlusconi che però le fonti ufficiali negano.
Ma non c'è solo questo, c'è qualcosa di più e più grande. C'è un Sistema che si tutela e autoriproduce, escludendo dalla prospettiva del governo quelle che una volta si sarebbero chiamate "ali" e oggi si potrebbero chiamare "turbolenze", mutuando un termine del mercato. I Cinque Stelle, la sinistra fuori dal Pd: turbolenze per la stabilità immaginata. Il dato politico è che, su quest'ultima forzatura della legislatura, si realizza l'accordo perfetto, politico e istituzionale, come neanche ai tempi del Nazareno, che si ruppe sull'elezione di Sergio Mattarella. Proprio dal Quirinale arriva il via libera sostanziale al patto che, al tempo stesso, configura un unicum assoluto nella storia repubblicana: due fiducie, sempre sulla legge elettorale, nello stesso settennato, prima sull'Italicum ora sul Rosatellum (leggi qui il via libera di Mattarella).
Con la stessa tensione fuori e dentro il Parlamento, con opposizioni che chiamano i militanti a manifestare fuori, con una nuova, drammatica spaccatura a sinistra. Certo con Mdp, ma anche nel corpaccione del Pd: "Sono scosso", diceva Cuperlo in Transatlantico.
Detta in modo un po' tranchant. Il cuore dell'accordo è certo il prima (liste di nominati e ognuno che torna padrone a casa sua) ma è soprattutto il dopo, ovvero il minuto dopo quelle elezioni su cui circolano già delle date, a sentire i renziani che hanno accesso nelle stanze dei bottoni: "Scioglimento il 23 dicembre, voto il 4 marzo". La legge agevola e fotografa una doppia opzione che, presumibilmente, il capo dello Stato si troverà di fronte: se il centrodestra raggiunge il 40, un governo di centrodestra, altrimenti le larghe intese. Due opzioni che il Sistema ha già sperimentato, sia pur con diversi rapporti di forza quando la Lega era più debole.
E torna Renzi. Perché la dinamica maggioritaria, anche se la legge sul punto è pasticciata, a livello politico e mediatico risuscita la figura del candidato premier, con una coalizione. Col Consultellum votavi Pd non sapendo chi sarebbe andato a palazzo Chigi, con questa voti Renzi per mandarlo a palazzo Chigi. Cambia la dinamica. Torna la centralità dei leader e del voto utile. Ecco perché il segretario del Pd ha imposto la forzatura che, per esempio, non volle ai tempi della legge tedesca, di impianto proporzionale, affossata dal Parlamento. Le perplessità di Gentiloni (leggi qui) rivelano il senso di una operazione win win per Renzi, tutta giocata sulla pelle del governo: se il tentativo va a buon fine, ha vinto e incassa un'arma; se va male sono tutti povero Gentiloni, costretto a fare una legge di stabilità in un quadro terremotato e col governo che ha perso forza e faccia.
Quella vecchia volpe di Casini diceva a qualche collega a Palazzo Madama: "Vedrete che, al dunque, Silvio non avrà problemi a fare l'accordo con Renzi, con lui a palazzo Chigi. Non si impiccherà per Gentiloni o altri. Tanto sarà un governo di coalizione. Avrà i numeri per tiralo giù se l'altro non sta ai patti". Saranno anche ricette per l'osteria dell'avvenire, ma gli ingredienti si vedono tutti. Come anche l'oggettivo vantaggio di Salvini su una legge che gli consente di stare nel gioco e di lanciare, al tempo stesso, un'Opa su Forza Italia al Nord destinata a farlo crescere in modo rilevante in termini di consenso e forza parlamentare. È il timore di Gianni Letta, la "salvinizzazione del centrodestra", messo agli atti in tempi non sospetti. Un parlamentare azzurro, critico, spiega: "Certo che conviene a Salvini. Al Nord fa il pieno e condiziona anche noi. Facciamo un esempio, tanto per capirci: nei collegi c'è da scegliere i candidati comuni. Berlusconi dice Tajani. Quello dice: i miei Tajani non lo reggono, voglio Toti. Così ci costruiamo la quinta colonna in casa". Insomma, l'accordo è perfetto, nella misura in cui ognuno incassa qualcosa. E tutti disegnano un nuovo perimetro politico di Sistema nel quale giocare la partita del governo. Manca solo un voto segreto, dopo la fiducia. Uno solo, invece dei novanta previsti se si fosse data al Parlamento la possibilità di esprimersi.

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