lunedì 23 ottobre 2017

Se questa è la scuola io me ne vado a fare il maestro di strada

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Il primo giorno di scuola quest’anno sono entrato in classe, ho preso un gesso bianco, mi sono avvicinato alla lavagna d’ardesia e ho scritto ciò che dovevamo imparare: “La bellezza salverà il mondo”. I bambini hanno capito subito un concetto che quelli che si definiscono “grandi” spesso non comprendono.
Ad esempio, al verbo obbedire declinato all’imperativo non c’è risposta se sei un maestro che crede e vive la democrazia entrando in classe spostando la cattedra; stando in cerchio, ascoltando la richiesta dei ragazzi di avere più intervalli; facendo il tuo mestierecon passione e onestà; riconoscendo ciò che sai fare e ciò che non sei in grado di fare. Così come al verbo tacere declinato all’imperativo c’è solo una risposta se sei un maestro che crede nel valore della parola: non stare zitto. Perché ai miei alunni ho insegnato a leggere e a scrivere, a usare la parola per difendersi dai soprusi e per difendere chi non ce l’ha.

A chi crede nella scuola dei soli voti, delle sospensioni, all’industria delle verifiche dobbiamo opporci proponendo una scuola dove ciò che ha valore è la conquista quotidiana, anche la più piccola; dove ha valore lo stupore di un bambino di fronte a un’opera d’artenon a un lavoretto o a un pensierino; dove non si interroga ma ci si interroga di fronte al volto di un migrante che muore su una spiaggia, di un’azienda del paese che chiude.
Qualcuno continua a voler farci credere che la scuola è una ditta con un padrone e degli operai alla catena di montaggio dell’istruzione ma io gli unici datori di lavoro che conosco sono i miei bambini ai quali ho insegnato la Mesopotamia aprendo il libro di storia ma anche il quotidiano parlando di Siria e Iraq; la geografia parlando dei confini e dei fiumi del Friuli Venezia Giulia ma anche della risiera di San Sabba a Trieste; la Grecia mostrando loro le fotografie scattate all’agorà di Atene; “giocando” a scoprire il significato delle parole “filosofia” e “democrazia”.

A chi crede in una scuola dove conta più la vigilanza che la didattica io rispondo rileggendo Mario Lodi, don Lorenzo Milani, Maria Montessori, Alberto Manzi, Gianfranco Zavalloni, Danilo Dolci. A chi vuole una scuola triste, ordinata e disciplinata ricordo le parole di Gianni Rodari: “Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere”. A chi pensa che la scuola sia una caserma con un generale e dei soldati io mi oppongo mettendo i fiori nei cannoni e credendo nella frase che ho scritto il primo giorno sulla lavagna e che nessuno potrà mai più cancellare dalla vita dei miei ragazzi.
Voglio essere credibile con tutti i ragazzi a cui ho insegnato in questi numerosi anni: parto per Palermo, vado a fare il maestro tra i ragazzi di strada. Stasera alle 23 da Genova con la mia auto carica di libri prenderò la nave per attraversare l’Italia. Mercoledì mattina sarò in un liceo di Bagheria per incontrare i ragazzi del liceo “Scaduto” di Bagheria. Non abbandonerò la scuola. Quando tornerò tra i banchi avrò un’esperienza in più e avrò provato a cambiare davvero una scuola in cui credo e a cui ho dedicato la vita perché ho fiducia nei bambini. Un giorno son certo che ogni mio allievo si ricorderà che esistono “gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraqua”.

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