sabato 28 ottobre 2017

Sud di Roma. "A Ostia c'è la mafia. La società civile l'ha contrastata di più di politici e giudici".

Per Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera e docente, il rinvio in appello della sentenza contro il clan Fasciani di Ostia è una buona notizia.

huffingtonpost.it Federica Olivo "Con i miei studenti ho girato tanti territori dove c'è una forte presenza della mafia. Siamo stati anche a Cinisi e a Casal di Principe. Ma la situazione che ho ritenuto più pericolosa è proprio quella di Ostia: sul litorale romano, infatti, i clan sono sempre stati fuori controllo e hanno goduto di una certa tolleranza da parte di alcuni esponenti della pubblica autorità. Per questa ragione credo che il rinvio in Appello del processo al clan Fasciani di Ostia da parte della Corte di Cassazione sia un'ottima notizia". Nando Dalla Chiesa, docente di Sociologia all'università Statale di Milano e presidente onorario dell' associazione antimafia Libera accoglie positivamente l'annullamento, da parte della Suprema Corte, della sentenza della Corte d'Appello di Roma che aveva escluso dalle imputazioni contestate ai membri dell'organizzazione il reato di associazione mafiosa.
Nel 2015, pochi mesi dopo l'esplosione dell'inchiesta "Mafia Capitale" aveva portato gli allievi del suo corso di Sociologia della criminalità organizzata nel popoloso quartiere romano, proprio per studiare il "caso Ostia". E in quel territorio, racconta, lui e i suoi ragazzi hanno sperimentato quanto fosse radicata la malavita, ma hanno anche avuto modo di vedere una rete di associazioni in prima fila contro la criminalità.

Professore, dopo decenni d'impunità negli ultimi tempi sono arrivate le prime sentenze che riconoscono il reato di associazione mafiosa anche in territori lontani da quelli dove si sono sviluppate le mafie 'storiche'. Qualcosa sta cambiando?
Mi sembra che i segnali di cambiamento stiano arrivando più dalla Corte di Cassazione che dai giudici di merito. La Suprema Corte, infatti, ha appena annullato ad Ostia una sentenza in cui un giudice aveva decretato che i Fasciani non erano mafiosi, ma non è la prima volta che cassa una decisione simile. Qualche tempo fa, infatti, ha emesso una decisione di questo tipo anche per una vicenda accaduta in Liguria. Il problema, però, spesso sono i magistrati delle giurisdizioni inferiori. La magistratura giudicante, spesso, non è in grado di affrontare i processi di mafia: non so se ciò accade perché alcuni giudici non sono preparati o per altre ragioni, quello di cui sono sicuro è che sarebbe necessario che chi giudica dei reati di mafia sia specializzato, per poterlo fare al meglio. Prendiamo il caso dei Fasciani: il clan ha il controllo del territorio ostiense, agisce con minacce ed intimidazioni. Quali altri elementi servono per dire che si tratta di mafia?
Quali sono, quindi, le peculiarità della criminalità organizzata ad Ostia?
Ci troviamo, innanzitutto, di fronte ad una mafia autoctona, nata e sviluppatasi, cioè, su questo territorio. Sappiamo che in passato in zona è stata presente anche la malavita calabrese, campana e siciliana. Nel caso di Ostia, però, parliamo di una mafia che è cresciuta separatamente da quelle tradizionali, che si è resa autonoma e si occupa principalmente di traffico di droga, usura e estorsioni. Avvalendosi sempre delle intimidazioni. Gli abitanti della zona sono intimiditi dai malavitosi e c'è sicuramente una condizione di assoggettamento e di omertà. Basti pensare che il litorale è stato 'sequestrato' dalla criminalità (dalle indagini è emerso che molte delle spiaggie ostiensi erano gestite da prestanomi di gruppi criminali, ndr). E questo può accadere solo se c'è una rete di potere illegale che, con violenza e minaccia è riuscito a togliere alla città uno dei beni più preziosi che avesse: l'affaccio sul mare.
Le persone sono intimidite. E la politica e le forze dell'ordine, invece, hanno attuato, secondo lei, un'efficace azione di contrasto?
Non in maniera sufficiente. Io porto ogni anno i miei ragazzi in zone dove la presenza mafiosa è forte. Siamo stati anche a Casal di Principe e a Cinisi, ma la situazione che ho reputato più rischiosa è proprio quella di Ostia. Questa sensazione credo derivi dal fatto che sul territorio la criminalità, almeno fino a qualche tempo fa, è stata 'fuori controllo'. Ha agito, cioè, forte di una certa tolleranza di una parte della pubblica autorità. Mi sembra, però, che ci siano dei gruppi di persone che abbiano organizzato attività di contrasto al crimine sul territorio. E questo è un buon segnale.
La società civile, quindi, sta reagendo?
Negli ultimi tempi sì. Con i miei studenti abbiamo potuto constatare che, con il crescere della presenza mafiosa, hanno iniziato a farsi spazio anche una serie di realtà che sono in prima fila contro l'illegalità.
Il coordinamento di Libera sul territorio, ad esempio, ha svolto un'attività quasi d'avanguardia in questo senso. Non solo hanno denunciato il fenomeno e l'hanno raccontato, ma hanno provato anche a dare una risposta concreta al territorio, gestendo - a seguito della partecipazione a un bando pubblico - una spiaggia. In questo modo hanno consentito, anche se per un breve periodo, ai cittadini di 'riprendersi' un pezzettino di litorale che era stato loro sottratto. Molto importante è stata anche la costituzione a parte civile nel processo contro i Fasciani, così come in altri processi di mafia che si stanno celebrando nella zona.
Che legami ci sono tra Mafia Capitale e quella che lei ha definito "Mafia Litorale"?
Ci sono molte differenze tra le due realtà ma i due tipi di criminalità tra di loro si sono riconosciute e, soprattutto, si sono reciprocamente accettate. Senza mafia capitale, insomma, non avrebbe potuto esistere mafia litorale.
Come immagina il futuro di Ostia? È possibile un cambiamento?
Sì, ma con grande impegno da parte di tutti. Quello di Ostia è un territorio davvero compromesso per quanto riguarda l'infiltrazione criminale. È indispensabile un'operazione di 'bonifica' che dovrà durare per un lungo periodo e dovrà essere fatta in primis dalla politica. In questi ambiti, infatti, politica e magistratura sono due armi fondamentali. La società civile, dal canto suo, non può fare più di quello che ha già fatto.

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