Andrea e Stefania video |
canapaindustriale.it Mario Catania
Le navi della famosa ed imbattibile flotta britannica avevano le vele realizzate in canapa italiana, così come l’Amerigo Vespucci, ancora oggi, per statuto deve avere le vele di canapa di Carmagnola. La stessa fibra tessile che in passato era considerata “oro verde”: un prodotto dal forte valore aggiunto lavorato in modo artigianale. La successiva diminuzione delle coltivazioni ha purtroppo impedito, tra le altre cose, anche il passaggio da una lavorazione artigianale a quella industriale meccanizzando i processi di lavorazione come la macerazione o la pettinatura successiva. Il risultato è che oggi in Italia, nonostante alcuni recenti tentativi come quello del gruppo Fibranova, non ci sia la possibilità di produrre tessuto di canapa, quello a disposizione viene importato dall’estero e poi lavorato. Se pensiamo che il cotone è una delle colture più inquinanti del pianeta, mentre la canapa non necessita quasi mai di diserbanti o fitofarmaci, avremmo un ragione in più per andare in questa direzione, nonostante sia un investimento non indifferente. Immaginiamo però il valore che potrebbe avere una canapa made in Italy, che dia vita a capi di vestiario fatti in Italia pensati e realizzati da artigiani locali.
E’ l’idea portata avanti da due 25enni, l’abruzzese Andrea Sebastianelli e la trentina Stefania Zanetti, iscritti al master in Eco Social Design alla Libera Università di Bolzano che hanno dato vita al progetto Campo Libero. “Avevo partecipato anni fa ad un progetto di Trionfi Honorati che è un’azienda marchigiana che produce anche canapa che aveva fatto un workshop sulla canapa in ambito industriale. Poi ho iniziato il corso di studi a Bolzano che ha l’obiettivo di connettere il territorio e la manifattura presente. Oltre alla lana c’era questo movimento che stava prendendo piede tra alcuni agricoltori che non volevano più coltivare mele perché vedevano i loro campi impoveriti da questa coltivazione e dedicavano parte dei loro campi alla canapa”, ha raccontato Andrea a canapaindustriale.it.
“Abbiamo quindi analizzato la situazione italiana riguardo alla canapa cercando di capire la dimensione del fenomeno e le applicazioni produttive di questa coltivazione. E soprattutto i rapporti tra il passato della coltivazione italiana, il presente ed i competitori a livello mondiale”. Ed i ragazzi si sono accorti che nonostante la nostra grande tradizione di canapicoltori, soprattutto per quanto riguarda la produzione di fibra, ad oggi in Italia la canapa viene coltivata quasi esclusivamente per il settore alimentare, con poche aziende che riescono a conferire le paglie per ottenerne canapulo da usare in bioedilizia, con il risultato che della pianta ne viene sfruttata solo una piccola parte.
Se la domanda iniziale era “Si può vivere di canapa?” quella che arriva subito dopo è stata: “Dallo stelo che viene lasciato a marcire nei campi, può nascere una nuova economia? E se sì come?”. Ad oggi di centri di prima trasformazione, quelli appunto che separano il canapulo dalle paglie di canapa, ce ne sono solo due, uno in Piemonte ed uno in Puglia. “Per cui abbiamo immaginato come potrebbe essere una filiera corta a livello locale, con un nuovo scenario di produzione attraverso un piccolo macchinario che stiamo testando”.
Il macchinario in questione è stato acquistato in Cina e riadatto per le norme di sicurezza e le esigenze del territorio: “E’ la meccanizzazione delle vecchie lavorazioni. Ha dei rulli che separano fibra e canapulo dalla pianta verde appena raccolta o macerata in campo o in acqua. La fibra che ne esce è ancora grezza e noi successivamente andiamo a fare una macerazione solo della fibra, che è molto più semplice ed occupa meno spazio, per poi cardarla e metterla a telaio. La fibra che ne risulta non è pregiatissima ma è un primo passo. Oggi la fibra di canapa di alto livello arriva dalla Cina e si punta a quella qualità. Intanto noi stiamo dimostrando che è possibile utilizzare in modo intelligente anche una fibra ancora grezza”. In collaborazione con i contadini e gli artigiani locali intanto sono già diversi i prodotti che sono stati realizzati con la canapa: dai tappeti ai tendaggi per arrivare ad una sedia impagliata e dei modelli di scarpe. “Le scarpe sono un prototipo realizzato all’uncinetto da un artigiano locale l’anno scorso, ma il prodotto più interessante è arrivato quest’anno ed è il tappeto creato con ciocche di fibra di canapa e canapa cardata con dei divisori in fibra grezza messa a telaio. L’ultimo progetto è quello di un intreccio ad uncinetto per una seduta“.
“Insieme al museo di Bressanone, dove c’è il labirinto della canapa e dove è stata avviata una coltivazione sperimentale, avvieremo probabilmente un mercatino di Natale con i vari prodotti”, continua a spiegare Andrea precisando che: “Il sogno è quello di replicare l’esperienza in un altro posto. Immaginiamo di andare con la stessa macchina e lo stesso progetto di sistema ad esempio nelle Marche replicandolo ed adattandolo insieme ai contadini ed agli artigiani locali con prodotti e tecniche differenti con i designer che studierebbero territorio e competenze per realizzare prodotti diversi che rappresentano le specificità italiane”.
Intanto: “Lo scenario che abbiamo immaginato funziona perché risponde a dei bisogni piccoli ma reali e può aiutare a sviluppare una nuova economia”. La connessione con gli artigiani è una caratteristica in più: “In quanto designer abbiamo infatti pensato di creare dei prodotti per utilizzare la fibra ed alzarne notevolmente il valore”.
Intanto il macchinario viene prestato agli agricoltori che ne fanno richiesta con l’obiettivo di migliorarlo ulteriormente e di renderlo disponibile per il noleggio partire dall’anno prossimo.
Può essere un primo passo per iniziare a ricostituire una filiera produttiva che si è persa: “Se ci fossero molti progetti così e se si riuscisse a convogliare gli investimenti sicuramente si potrebbe ricostruire una filiera che in parte già esiste. Il Canapificio e linificio nazionale fa dei filati italiani prendendo canapa all’estero, ma non c’è un’assenza completa. Il lavoro è quello di ricostruire le competenze e riorganizzare le conoscenze”.
Secondo Marco Antonini, ricettore dell’ENEA e presidente del consorzio Arianne che si occupa di fibre naturali, “la tecnologia per realizzare la filatura invece esiste già, quindi si tratterebbe di rispristinare o creare degli impianti nuovi. In Italia l’abbiamo già fatto per la lana e quindi non dovrebbe essere un problema farlo anche con la canapa”.
Ed è un argomento che avevamo affrontato anche con Giuseppe Amaducci, grande studioso di canapa a livello industriale che, oltre ad insegnare agronomia all’Università Cattolica di Milano, ha di recente coordinato Multihemp, un grande progetto europeo con 22 partner di cui 13 piccole e medie imprese provenienti da 11 Paesi europei, con il coinvolgimento anche della Cina con lo scopo “di avanzare la conoscenza scientifica necessaria per rinnovare ed espandere il mercato dei prodotti a base di canapa”. Il professore ci aveva spiegato che: “Il mercato tessile è un’idea che si può sviluppare dove il costo della manodopera è più basso anche perché è paradossale che la più grossa produzione per quantità e qualità di lino (fibra lunga) al mondo è in Francia, ma la fibra francese va in Cina. Inoltre in Italia nessuno parla di macerazione, che per la canapa tessile è un problema fondamentale. Negli anni ’60, l’ultimo tentativo di salvare l’agonizzante canapa italiana fu quello di meccanizzare la macerazione in acqua. Venendo create delle macchine che mettevano gli steli di canapa in acqua e poi li tiravano fuori. Oggi sarebbe una cosa impensabile per i costi”. Quindi la soluzione secondo Amaducci potrebbe essere quella di fare “Una macerazione in campo facendo poi una stigliatura non lunga, per un fibra che possa essere cardabile come la lana”.
Mario Catania
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