Fino a poco tempo fa, questo aspetto, quello della reputazione, era un concetto legato solo alla sua attività di comunicazione verso l'esterno, qualcosa di ancorato ai guru del marketing che in qualche modo se ce ne era bisogno davano una ripulita sociale e ambientale del brand oppure in casi più leggeri comunicavano lo stretto indispensabile dell'azienda (soprattutto legato al rapporto e alla soddisfazione dei propri clienti).
Ora sembra essere cambiata non tanto la forma, ma la sostanza della reputazione aziendale. Essa diventa uno degli aspetti di mercato in grado di decretare il fallimento o il successo di una attività. Questo in un mondo ideale ovviamente! Perché pagare a un prezzo stracciato i biglietti di un aereo o ricevere il giorno dopo l'acquisto un pacco che arriva dall'altra parte del mondo o ancora attendere una cena luculliana dai rider di Foodora, che in bicicletta sembrano essere fighi e green ma che in realtà sono sottopagati e brown, ci piace e non possiamo negarlo anche se dobbiamo chiudere un occhio, forse due, per lo sfruttamento di altri per la nostra comodità!
Riferirsi a questi lavori con il cosiddetto termine di "caporalato digitale", come definito sui media in questi ultimi mesi, non è un'estremizzazione, ma un modo per far capire la gravità della cosa. Ho lavorato per anni al contrasto del caporalato nel sud dell'Italia e nel nord (per chi non lo sapesse, un po' come i falsi miti sulla mafia, il fenomeno è presente anche nel nord e il suo impatto nell'economia locale è notevole) e mi sono reso conto di come, a prescindere dal comportamento scellerato delle imprese, al mancato intervento statale o alle tutele esigue dei lavoratori, il vero problema fosse radicato da un'altra parte.
Non era solo l'offerta che doveva cambiare ma la domanda. Siamo noi a incentivare le politiche di caporalato fisico o digitale che sia, noi a volere prodotti "perfetti esteticamente" e al più basso prezzo possibile, noi che ci dimentichiamo di scegliere le aziende che rispettano i loro lavoratori.
Concetti astratti e fumosi? Non tanto. Immaginate il mercato del lavoro realmente globalizzato, dove la politica di una impresa determina uno standard lavorativo da un'altra parte del mondo. Dove lo sfruttamento di un lavoratore può determinare un più basso salario in un'altra sede aziendale e dove le nostre scelte decidono quale modello di buona pratica avere come riferimento per il nostro benessere e quello altrui. Non è solo una questione di etica, ma di autointeresse.
Questi sono problemi ormai sotto gli occhi di tutti, vorrei quindi sottoporvi una possibile soluzione, una buona notizia derivata da buone pratiche.
Dal 26 al 29 ottobre si terranno a Cagliari le Settimane Sociali organizzate da Cei. Tema di questa 48ma edizione è il lavoro. Il titolo dell'evento "Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale" esprime al meglio il focus di questa tre-giorni di incontri, dibattiti e discussioni che da 48 anni coinvolge il mondo ecclesiale italiano.
Un bellissimo contenitore culturale, dove tra i tanti temi si porteranno i risultati dell'analisi sulle buone pratiche di lavoro responsabile e sostenibile prodotte dal progetto Cercatori di LavOro, fortemente voluto dal Cei e realizzato in collaborazione con NeXt – Nuova Economia X Tutti.
Questo progetto si base sulle esperienze e sulle azioni dal basso di circa 200 ragazzi, che armati di carta, penna e cellulare hanno "calpestato" i propri territori di appartenenza alla ricerca di buone pratiche vere, messe in atto da aziende sostenibili.
Certo, avremmo potuto contattare e mettere al lavoro tre bravi accademici, che grazie all'analisi di report aziendali e statistiche economiche avrebbero potuto rilevare le esperienze più virtuose in campo sociale e ambientale (imprese, comuni e scuole), ma non era questo il senso. Il punto non sono i "numeri", ma il focus si sposta sui punti di forza, le aree di miglioramento e gli elementi di replicabilità di queste buone pratiche individuate dai ragazzi con il supporto di reti locali, che da anni hanno una attenzione al rispetto e alla promozione del lavoro responsabile.
Dopo aver svolto un primo lavoro di mappatura si è deciso di far incontrare le comunità con i protagonisti, stimolare un'analisi e riflessione critica dell'esperienza e far nascere attraverso incontro, confronto e dialogo nuove idee che possano essere generative sul territorio. Il valore dell'iniziativa è dipeso dalla qualità del movimento generato, dagli incontri realizzati e dalle idee innovative diffuse presso il più vasto numero di persone. I giovani hanno avuto un ruolo fondamentale, attraverso anche il supporto del progetto Policoro e dei professori Leonardo Becchetti e Giuseppe Notarstefano.
Durante le giornate di Cagliari verranno esposti i risultati qualitativi e quantitativi del progetto per creare dei modelli di lavoro responsabile che hanno l'ambizione di evitare nel futuro i casi di falsa sharing economy.
Ma esiste un secondo scopo, quello rivolto al target più ampio della popolazione italiana: mettere in luce quelle aziende che investono nel territorio in modo responsabile, mettendo al centro la persona e l'ambiente e fare in modo che sempre più cittadini informati siano in grado di premiare con i loro acquisti queste e altre esperienze virtuose.
Come più volte sottolineato dalle parole di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium:
"Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci".
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