Con una discutibile manovra istituzionale un pugno di leader è riuscito a mandare all’ammasso tutti, eccetto sé stessi.
Intanto, dal 2013, abbiamo contato tre premier non eletti: Letta, Renzi , Gentiloni – più Bersani che ha vinto il voto ma non ha avuto incarico.
Uno scollamento fra voto e rappresentanza potremmo dire di tripla potenza. Distanza poi riflessa dal collasso anche della stabilità parlamentare, a causa di un numero di cambi di casacca senza precedenti. Al Senato i cambi sono arrivati a 231, portati a termine da 136 senatori – cioè il 42,50% dell'Aula. Alla Camera i cambi di gruppo a oggi sono 297, e hanno coinvolto 203 deputati, cioè il 32,22%. I due rami hanno totalizzato 528 cambi di gruppo da inizio legislatura, con 339 parlamentari transfughi: il 35,68% del totale. Un continuo tremore di poltrone, anticipazione e segno a sua volta di un cambio di identità dei partiti stessi.
Le entrate e uscite dalle varie case politiche raccontano infatti molto bene il cambiamento di pelle dei partiti.
Alla Camera, i gruppi che registrano un saldo ingressi-uscite positivo sono il Misto (+20) con 85 parlamentari "conquistati" e 65 "persi" e Alternativa popolare (+27) con 38 nuovi ingressi e 11 uscite. Record negativo a Forza Italia (-46) con 52 perdite contro 6 ingressi. Non va meglio neppure per M5S e Pd, che perdono rispettivamente 21 e 33 deputati. Stessi trend al Senato, dove è FI a perdere più senatori (53) ed è il gruppo Misto a guadagnarne di più (46). E tuttavia questi stessi trend sono suscettibili a ulteriori cambiamenti: si segnala infatti in corso una nuova tendenza al ritorno verso Forza Italia, ora che il partito è tornato un player nazionale.
Non sorprende che per governare una tale confusa identità collettiva, la fiducia sia stata usata in maniera muscolare: 98 volte dai 3 governi.
Invocata per ben il 51% delle leggi dal governo Gentiloni: incluso il voto per il Rosatellum, vi ha fatto ricorso 22 volte. Il precedente esecutivo Renzi ha usato 66 voti di fiducia, cioè per il 26% delle leggi approvate. Letta ha usato la fiducia 10 volte, per il 27% delle leggi passate.
Tutti questi numeri portano a una conclusione ovvia: la fiducia sulla legge elettorale che chiude la porta su questa legislatura è una scelta che è quasi un'abitudine. Frutto degli sconquassi, e delle forzature, degli assalti e della delegittimazione del Parlamento. È una scelta che svela la fragilità che ha percorso l'intero assetto di questo ultimo quinquennio politico – una storia di questo periodo molto diversa dalle retoriche ufficiali.
Ma non solo di questo si tratta. La fretta di approvare la legge nasce da una fragilità ma ha uno scopo chiaro: aggirare questa incertezza per affermare un meccanismo di autodifesa degli assetti di sistema.
Il Rosatellum infatti conferma la solita dote che tutte le ultime leggi elettorali hanno conferito ai leader politici: quella di designare, attraverso i nominati, un nuovo Parlamento a propria immagine e somiglianza. In altre parole, grazie alla fiducia, in fretta e in sicurezza, si sono garantiti la sopravvivenza Renzi, Salvini, Berlusconi, Verdini, Alfano – mentre al macero andranno tutti gli altri.
In sintesi, alla sua fine, la legislatura XVII può dire di aver ottenuto il collasso del sistema – ma non dei capi di questo sistema stesso, che, con una discutibile manovra istituzionale sono riusciti a mandare all'ammasso tutti, eccetto sé stessi.
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