La conferma di Visco, politicamente inevitabile, espone la vigilanza di Palazzo Koch a una corrida parlamentare. Dal caso Mussari a quello Etruria, ecco alcune delle questioni con le quali l’inchiesta parlamentare sulle banche potrebbe mettere in serio imbarazzo il governatore, il capo della Vigilanza bancaria e con loro chi metterà la faccia sulla linea della continuità.
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il Fatto quotidiano Giorgio Meletti
Il dilemma del presidente Sergio Mattarella sul governatore Ignazio Visco è stato così captato dalle esperte orecchie del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda: “Non si può non nominarlo, a maggior ragione dopo quel che è successo; tuttavia riconfermarlo potrebbe spalancare le porte a un non augurabile inferno…”. Di quale inferno si parla? Non certo quello politico: un Matteo Renzi molto indebolito non sembra in grado di scatenarlo. Il vero inferno temuto dal presidente della Repubblica è quello della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.
Forse la sbandierata convinzione del Quirinale di andare verso la riconferma, senza se e senza ma, del numero uno della Banca d’Italia copriva la fiducia che sarebbe stato lo stesso Visco a fare un passo indietro, senza traumi per la stabilità istituzionale. Adesso che il governatore si è intestardito a pretendere il secondo mandato non resta che la via dell’inferno, lastricata di domande.
Ecco qualche sintetico esempio delle questioni con le quali l’inchiesta parlamentare sulle banche potrebbe mettere in serio imbarazzo il governatore e il capo della Vigilanza bancaria Carmelo Barbagallo – già messi in cartellone dal presidente della commissione Pier Ferdinando Casini – e con loro chi metterà la faccia sulla linea della continuità.
Il caso Mussari. Perché nel novembre del 2011, pochi giorni dopo essere stato nominato al posto di Mario Draghi, Visco ha chiesto al presidente di Mps Giuseppe Mussari e al direttore generale Antonio Vigni di andarsene? In seguito ha rivendicato: “Non avevo potere di farlo, e l’ho fatto quindi correndo un rischio personale”. Qual era l’urgenza? Che cosa aveva scoperto Visco in pochi giorni che era sfuggito al suo predecessore nei quattro anni precedenti? E ancora: perché non ha usato lo stesso sprezzo del pericolo personale per mandare via Gianni Zonin dalla Popolare di Vicenza e Vincenzo Consoli da Veneto Banca?
Il caso Zonin. Come è possibile che l’ispettore di Bankitalia Giampaolo Scardone nel 2012 non abbia scoperto che alla Popolare di Vicenza c’erano centinaia di milioni di prestiti fatti per comprare azioni della banca (le cosiddette “operazioni baciate”), quando adesso il dirigente (imputato) Paolo Marin sostiene di aver mostrato al team ispettivo esaurienti prospetti sul fenomeno? Come è possibile che la Banca d’Italia, mentre compie ispezioni sulla banca di Zonin con esiti problematici, gli venda per 9 milioni di euro il suo palazzo di Vicenza? Perché nemmeno quando la Bce ha scoperto “baciate” per quasi un miliardo è stato chiesto a Zonin di andarsene?
Il caso Consoli. L’amministratore delegato di Veneto Banca è imputato per ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. A novembre inizierà l’udienza preliminare per decidere sul rinvio a giudizio. Consoli è stato denunciato dal capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo il 5 novembre 2013. Si deduce che già 4 anni fa la Banca d’Italia avesse certezza che Consoli gonfiasse le cifre del patrimonio (questa è l’accusa). Perché questa notizia è stata resa fumosamente nota al mercato solo un anno e mezzo dopo e solo in seguito a una perquisizione a Consoli? Perché Consoli non è stato accusato di falso in bilancio? Perché la Banca d’Italia ha consentito a Consoli di guidare Veneto Banca per quasi due anni dopo averlo denunciato (segretamente) alla magistratura?
Il caso Banca Marche. A gennaio 2012 Visco scrive ai vertici di Banca Marche una dura lettera in cui parla, tra l’altro, di “scadimento della qualità del portafoglio” e “rilevante esposizione ai rischi creditizi e finanziari”. Contemporaneamente autorizza la banca a piazzare un aumento di capitale da 180 milioni, che saranno bruciati dal cosiddetto salvataggio del 22 novembre 2015. Il cda di Banca Marche non mette nel prospetto informativo i contenuti della lettera di Visco, e per questo verrà, dopo tre anni, sanzionato dalla Consob. Domanda imbarazzante: dopo che Bankitalia autorizza gli aumenti di capitale nessuno legge i prospetti informativi?
Caso Etruria. Il 3 dicembre 2013 Visco scrive al cda di Etruria una lettera durissima, secondo la quale la banca non è “più in grado di percorrere in via autonoma la via del risanamento”. Segue caldo invito a consegnarsi a Zonin. Perché Visco aspetta più di un anno prima di commissariarla? E perché, quando scrive quella lettera, non interviene per fermare il collocamento, in corso in quelle settimane, delle famigerate obbligazioni subordinate? Anche in questo caso il cda di Etruria è stato sanzionato dalla Consob per non aver inserito nel prospetto la diagnosi infausta di Visco: neanche questo prospetto l’ha letto nessuno a Palazzo Koch?
Il caso Ubi. Nel gennaio scorso, in pochi giorni, Bankitalia ha venduto alla vigilata Ubi tre delle quattro banchette “salvate” nel 2015 (Marche, Etruria, Carichieti) e subito dopo ha archiviato un procedimento sanzionatorio a carico dello stato maggiore di Ubi. È in grado il governatore di dimostrare che l’archiviazione non facesse in qualche modo parte degli accordi per la compravendita delle tre banche?
(20 ottobre 2017)
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