“Il perseguimento del profitto imprenditoriale, che è il motore dell’economia, non deve mai essere disgiunto né andare a discapito dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini”.
Gianfranco Amendola Ex magistrato, esperto in normativa ambientale
Andiamo con ordine. I fatti riguardano una discarica di Magliano Sabina per inerti (con annesso impianto di recupero) i cui titolari, dal 2007, hanno presentato una lunga serie di istanze per ampliare tipologia e quantità di rifiuti ammessi, accolte, esplicitamente o tacitamente dalla Regione ma regolarmente annullate dal Tar del Lazio ed immediatamente riautorizzate, dopo l’annullamento, dalla Regione. Fino ad arrivare, a fine 2016, ad ottenere un aumento autorizzato alla deroga, nella misura del triplo, ai valori limite per l’accettabilità dei rifiuti in discarica. Il tutto, peraltro, decidendo solo sulla carta in base alle dichiarazioni dei gestori, senza alcuna indagine in loco da parte di regione o Arpa.
Scattavano, a questo punto, i ricorsi al Tar dei Gruppi Ricerca Ecologica, del Comitato No discarica di Magliano Romano e del Comune di Magliano Romano, giustamente preoccupati per questo notevole ampliamento che peraltro, come adombrato dall’Arpa, includeva l’accettazione di rifiuti, quali i fanghi da trattamento industriale, ben poco compatibili con una autorizzazione per la discarica di “inerti“.
I ricorsi venivano accolti dal Tar del Lazio con una motivazione che sconfessa totalmente l’operato della Regione Lazio.
Il Tar, infatti, da un lato critica severamente la scelta regionale di spezzettare le sue decisioni sulla discarica senza “considerare nella loro complessiva portata le diverse istanze presentate a scaglioni” dai gestori. Tanto più che, mettendo tutto insieme, emerge con chiarezza che, in realtà, “risulta dubbio perfino se la discarica in questione sia realmente una discarica per soli inerti o se tratti, a ben vedere, anche rifiuti di diversa natura”.
In sostanza, quindi, la sentenza in esame merita di essere segnalata perché contiene alcune importanti precisazioni:
1) La tutela dell’ambiente deve basarsi sulla prevenzione in ossequio al principio di precauzione, la cui applicazione comporta che, come affermato nel 2013 dal Consiglio di Stato (sentenza n. 4227), ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata.
2) La tutela dell’ambiente, così intesa, deve prevalere sull’interesse al profitto non solo perché lo impone la Costituzione ma anche perché conviene dal punto di vista economico in quanto solo in tal modo si evitano alla collettività, le ingenti spese necessarie per rimediare (per quanto possibile) ai danni dell’inquinamento su salute e ambiente.
Sembrano affermazioni del tutto ovvie ma, in realtà, possono addirittura apparire rivoluzionarie in un paese dove la prevenzione appare sempre più un’utopia e dove, anche dopo che si sono verificati gravissimi danni alla salute e all’ambiente, tutto ricomincia come prima. Fino al prossimo disastro.
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