Non
bastava il licenziamento di massa dei 1.666 lavoratori e lavoratrici
sul sito di Roma, e non bastavano pure i ricatti perpetrati nei
confronti dei lavoratori di Napoli e Palermo che hanno dovuto piegare la
testa alla riduzione di diritti e salario, l'ultimo atto della penosa
vicenda Almaviva ha dell'incredibile: i lavoratori e le lavoratrici di
Milano, votano "No" a un'intesa capestro, firmata dalla sola Fistel” ed
ecco scattare il trasferimento per la Calabria.
E questo a fronte, come commenta ironicamente la Slc Cgil dell'Emilia Romagna, di un ‘miracoloso’ aumento di volume di traffico sul sito calabrese”. Nello stesso giorno, però, il gruppo “comunicava ai lavoratori del sito calabrese di ‘aver necessità di smaltire gli istituti (ferie e permessi) per il mese di ottobre’. "È chiara, dunque, la ritorsione aziendale nei confronti di questi lavoratori e lavoratrici. Tutto questo non può più essere accettato”, si legge in una note dell'Slc.
«I lavoratori di Almaviva del sito di Milano hanno detto no all'accordo e lo hanno detto partecipando in massa al referendum. Si tratta di un risultato importante - dichiara Enrico Flamini, Responsabile Lavoro di Rifondazione Comunista -, soprattutto dopo le vicende che hanno interessato i colleghi romani che lo stesso no lo hanno detto chiaramente a dicembre. E' noto che siamo di fronte ad un modello in cui si vorrebbe scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori la concorrenza sfrenata dovuta a venti anni di privatizzazioni selvagge, di precarietà e di ricattabilità occupazionale. Un no contro chi vorrebbe anche nel settore dei call center massimizzare il profitto riducendo i diritti e aumentare i controlli individuali. Ora serve unire le lotte per creare un fronte politico e sindacale capace di ridare valore e dignità al lavoro. Questa è la lezione che arriva alle forze politiche della sinistra: le lavoratrici e i lavoratori pretendono risposte concrete».
Per la Slc Cgil nazionale “continua lo 'sforzo' di Almaviva di comprimere i salari dei dipendenti italiani adeguandoli a quelli dove delocalizza, attraverso il ricatto tra licenziamenti o trasferimenti e riduzione del salario contrattuale e attacco ai diritti così come avvenuto a Napoli, Palermo e Milano”. Il sindacato rimarca che "Almaviva ha comprato da Conduent di Cagliari il ramo d’azienda in Italia, che coinvolge circa 60 addetti, e il ramo di azienda in Romania con circa 500 addetti. Il licenziamento dei lavoratori romani e i sacrifici degli altri lavoratori consentono a quest’azienda di accumulare risorse da investire nei paesi a basso costo e che continueranno a sottrarre lavoro ai nostri call center, in un dumping forsennato, utile ad Almaviva per giustificare ulteriori pretese sui dipendenti”.
Una politica, conclude la Slc, che “oltre a minacciare il Ccnl e il suo rinnovo, pone Almaviva fuori dalle regole condivise, falsando il mercato e deprimendo il valore di questa attività. Lo sforzo delle organizzazioni sindacali, di Asstel, del governo per definire il costo orario di settore, al fine di evitare gare sotto la soglia di legalità, è l’esatto contrario della politica di Almaviva nel nostro Paese". L’impegno di Slc Cgil, dunque, è quello "di fermare questa deriva inaccettabile. Per i lavoratori Almaviva, per il Ccnl e per l’intero settore”.
E questo a fronte, come commenta ironicamente la Slc Cgil dell'Emilia Romagna, di un ‘miracoloso’ aumento di volume di traffico sul sito calabrese”. Nello stesso giorno, però, il gruppo “comunicava ai lavoratori del sito calabrese di ‘aver necessità di smaltire gli istituti (ferie e permessi) per il mese di ottobre’. "È chiara, dunque, la ritorsione aziendale nei confronti di questi lavoratori e lavoratrici. Tutto questo non può più essere accettato”, si legge in una note dell'Slc.
«I lavoratori di Almaviva del sito di Milano hanno detto no all'accordo e lo hanno detto partecipando in massa al referendum. Si tratta di un risultato importante - dichiara Enrico Flamini, Responsabile Lavoro di Rifondazione Comunista -, soprattutto dopo le vicende che hanno interessato i colleghi romani che lo stesso no lo hanno detto chiaramente a dicembre. E' noto che siamo di fronte ad un modello in cui si vorrebbe scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori la concorrenza sfrenata dovuta a venti anni di privatizzazioni selvagge, di precarietà e di ricattabilità occupazionale. Un no contro chi vorrebbe anche nel settore dei call center massimizzare il profitto riducendo i diritti e aumentare i controlli individuali. Ora serve unire le lotte per creare un fronte politico e sindacale capace di ridare valore e dignità al lavoro. Questa è la lezione che arriva alle forze politiche della sinistra: le lavoratrici e i lavoratori pretendono risposte concrete».
Per la Slc Cgil nazionale “continua lo 'sforzo' di Almaviva di comprimere i salari dei dipendenti italiani adeguandoli a quelli dove delocalizza, attraverso il ricatto tra licenziamenti o trasferimenti e riduzione del salario contrattuale e attacco ai diritti così come avvenuto a Napoli, Palermo e Milano”. Il sindacato rimarca che "Almaviva ha comprato da Conduent di Cagliari il ramo d’azienda in Italia, che coinvolge circa 60 addetti, e il ramo di azienda in Romania con circa 500 addetti. Il licenziamento dei lavoratori romani e i sacrifici degli altri lavoratori consentono a quest’azienda di accumulare risorse da investire nei paesi a basso costo e che continueranno a sottrarre lavoro ai nostri call center, in un dumping forsennato, utile ad Almaviva per giustificare ulteriori pretese sui dipendenti”.
Una politica, conclude la Slc, che “oltre a minacciare il Ccnl e il suo rinnovo, pone Almaviva fuori dalle regole condivise, falsando il mercato e deprimendo il valore di questa attività. Lo sforzo delle organizzazioni sindacali, di Asstel, del governo per definire il costo orario di settore, al fine di evitare gare sotto la soglia di legalità, è l’esatto contrario della politica di Almaviva nel nostro Paese". L’impegno di Slc Cgil, dunque, è quello "di fermare questa deriva inaccettabile. Per i lavoratori Almaviva, per il Ccnl e per l’intero settore”.
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