COLOMBIA SENZA PACE. Con una differenza di circa 65 mila voti, vince il 'No' all'accordo firmato lunedì tra il Governo di Bogotà e il gruppo guerrigliero delle Farc per la pacificazione nel Paese. Il voto, che ha lasciato di stucco gran parte della Colombia con riflessi anche a livello internazionale, ha messo in evidenza un Paese spaccato: gran parte dell'opinione pubblica non ha voluto dare il via libera al reinserimento nella società agli uomini delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia, o almeno non nei termini che il Governo del presidente Juan Manuel Santos ha negoziato per anni all'Avana con i rappresentanti del leader Farc, Rodrigo 'Timochenko' Londono. E sono stati proprio Santos e Timochenko a firmare lunedì a Cartagena de las Indias l'atteso accordo di pace. Per sigillare tale pacificazione mancava un ultimo passo, e cioè il parere del popolo proprio con il referendum di ieri: nel quale, nonostante gli unanimi sondaggi resi noti da analisti e istituti, hanno prevalso i 'No'. Secondo le prime analisi di un voto-shock per il Paese, i 'Sì' si sono imposti nelle aree più colpite in questi anni dal conflitto, mentre i 'No' hanno invece vinto nelle città. A essere chiamati al voto sono stati quasi 35 milioni di colombiani, i quali hanno risposto al seguente quesito: "Sostieni l'accordo finale per terminare il conflitto e per la costruzione di una pace stabile e permanente?". Nell'esito del voto ha pesato la tradizionale forte astensione colombiana, pari a circa il 60%. "Io non cederò e continuerò a cercare la pace fino all'ultimo giorno del mio mandato", ha già fatto sapere il presidente Santos. Stesso impegno espresso dal leader delle Farc, Rodrigo Londono, il quale ha assicurato che il cessate il fuoco rimane in vigore. "Le Farc deplorano il potere distruttivo di quanti seminano odio e risentimento che hanno influenzato l'opinione pubblica colombiano - ha detto in un discorso a Cuba - il popolo colombiano che sogna la pace può contare su di noi. La pace trionferà". L'ex presidente e attuale senatore della destra, Alvaro Uribe, che ha fatto campagna per il "No", ha detto di voler "contribuire a un grande patto nazionale".
ORBAN PIÙ FORTE MA SCONFITTO. La spallata non c'è stata, ma il messaggio arriva a Bruxelles forte e chiaro. Alla quasi unanimità, ma senza raggiungere il quorum del 50%, l'Ungheria ha detto di No per referendum all'obbligo di accogliere profughi per alleggerire il carico di altri paesi dell'Ue, come Italia e Grecia. Non lo ha fatto però con il minimo di consistenza plebiscitaria che aveva chiesto il premier nazionalista conservatore ed euroscettico Victor Orban, vincitore, ma in una certa misura anche sconfitto, del referendum. "Vuole che l'Ue possa prescrivere l'insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi anche senza il consenso del Parlamento ungherese?" era il quesito referendario. Il 98% di No non è stato sufficiente, perché il quorum si è fermato al 43% degli 8,27 milioni di elettori chiamati alle urne. Secondo Orban, comunque, cambia poco: "l'Ungheria, per primo fra i paesi dell'Ue" e "sfortunatamente" anche l'unico, "ha consultato il proprio popolo" sulle migrazioni. "Oltre 3 milioni di elettori" hanno "rifiutato un sistema di ricollocamento obbligatorio dei migranti": "Bruxelles dovrà tenerne conto", ha sostenuto annunciando una modifica costituzionale che proporrà lui stesso nelle prossime ore. Insomma "conseguenze giuridiche ci saranno comunque". Già questa settimana Orban vuole "condurre negoziati" con l'Ue per ottenere che non sia obbligatorio per l'Ungheria accogliere "il tipo di gente" che "noi non vogliamo", ha aggiunto con implicito riferimento a potenziali terroristi e musulmani. A Bruxelles, dove la consultazione non avrebbe avuto valore anche se il quorum fosse stato raggiunto, Orban troverà un muro: il presidente del Parlamento europeo, il tedesco Martin Schulz, ha definito "un gioco pericoloso" quello del premier ungherese di far votare su decisione da lui stesso avallate in sede comunitaria e riguardanti l'accoglienza solo "solo di circa 1.300 profughi" sui 160 mila che devono essere smistati in partenza da Italia e Grecia.
L'ITALIA SPACCATA SI PREPARA AL VOTO. "Nei prossimi due mesi ci giochiamo i prossimi 20 anni: è una sfida pazzesca, una partita chiave, molto più grande del futuro mio e del mio governo". Matteo Renzi, parlando alla scuola di formazione dei giovani del Pd dice che la partita delle riforme deve essere giocata adesso perché "non capiterà un'altra occasione". Il Corriere della Sera pubblica l'ultimo sondaggio condotto da Ipsos, secondo cui il No è in vantaggio con il 52%, ma un elettore su due non ha ancora deciso cosa fare. Nel Pd il 19% è pronto a votare No, quota che sale al 40% degli elettori di Forza Italia. Renzi commenta dicendo che "i dati che vedo di tutti i sondaggi"
sull'esito del referendum "sono molto simili. Si divide la torta in due. C'è una parte che ha già deciso come votare e un parte che non ha ancora deciso. Che ci sia il 50 per cento che ancora non ha deciso, è pazzesco. E' tutto aperto, è evidente che la partita sia aperta". Intervistato da Radio Popolare, il premier spiega che una quota così alta di indecisi "è normale. I cittadini non stanno dalla mattina alla sera a pensare al referendum. Nel momento in cui si arriverà alla decisione finale - spiega Renzi - crescerà l'attenzione. Noi stiamo cercando di fare di tutto perché ciascuno cittadino possa farti la sua opinione. La partecipazione sarà decisiva".
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