Il testo del disegno di legge di Stabilità ancora non è giunto in Parlamento, nonostante sia stato approvato dal governo una settimana fa. Segno certo che la “manovra” è un cantiere aperto, senza altro scopo vero che alimentare il circo delle promesse del governo Renzi.
L'elenco delle correzioni che vengono fatte filtrare da Palazzo Chigi o dagli ambienti “bene informati” è talmente lungo – e corposo – da rendere quasi inutile un'analisi tecnica. Nelle ultime ore, per esempio, ha preso corpo l'idea di bloccare ancora una volta le addizionali Irpef su cui possono agire Comuni e Regioni. Come dovrebbe esser noto, le addizionali sono state negli ultimi anni l'unica leva con cui gli enti locali hanno cercato di compensare il continuo taglio dei trasferimenti finanziari dallo Stato centrale (imposto dalle prescrizioni europee in materia di formazione della spesa pubblica). Un giochino pidocchioso in cui il governo in quel momento in carica (da Berlusconi a Renzi, passando per Monti, senza soluzioni di continuità) poteva asserire che “stiamo tagliando le tasse” mentre queste ultime restavano – per il normale cittadino – allo stesso livello complessivo o addirittura andavano aumentando.
Se ora si bloccano di nuovo, semplicemente, verrà a mancare l'ossigeno alle amministrazioni locali, molte delle quali ormai in mano ai “nemici” del governo (i Cinque Stelle, De Magistris, ecc). Dunque il governo usa una misura di finanza pubblica come mazza chiodata politica: quelle amministrazioni dovranno tagliare spese e servizi – sono anche loro inchiodate al rispetto obbligatorio del “patto di stabilità” – e affrontare in prima linea la rabbia montante (se ne è avuta una prova ieri con l'incredibile riuscita dello sciopero generale, ben al di là delle attese e del radicamento dei sindacati di base promotori) di lavoratori e popolazione, mentre il governo – dall'alto dei tg RaiSet – recita la parte del dispensatore di bonus.
Al massimo, recitano le stesse “gole profonde”, potrà essere concesso un aumento delle imposte “minori”, come la tassa di soggiorno, che andrà a colpire il settore alberghiero e dunque i flussi turistici (per le città che hanno la fortuna di vederli arrivare).
Più seriamente, la manovra non ha convinto nessuno dei sorveglianti sovranazionali che teleguidano faticosamente il governo Renzi. L’agenzia di rating Fitch, la minore della Triade made in Usa, ha peggiorato il voto sull'Italia. Di poco, ma significativamente. Ha infatti confermato il rating BBB+ (a due passi dal gradino più basso, occupato per ora solo dalla Grecia), ma ha anche ribassato l’outlook (la previsione a medio periodo) da «stabile» a «negativo». Insomma, Fitch vede alle porte un peggioramento complessivo dei fondamentali economici del paese, in radicale contrasto con la retorica trionfalistica e “medicea” sparsa a piene mani da Palazzo Chigi.
Al livello degli istituti multinazionali, infatti, si usa esaminare i documenti, non le dichiarazioni in conferenza stampa, davanti a “reggitori di microfono” incapaci di qualsiasi domanda scomoda. E qui non possono che registrare la mancanza del testo finale della manovra, l'unico che possa far fede sulle reali intenzioni del governo. I giudizi, dunque, si basasno ancora sul Draft budgetary plan, mandato a Bruxelles. Che ha fatto rizzare i capelli in testa persino all'ccomodante Jean-Claude Juncker, tra aumento del deficit programmato (dall'1,8% al 2,4% del Pil) e coperture finanziarie del tutto aleatorie (a cominciare dai proventi previsti per lo scudo fiscale, ora chiamatovoluntary disclosure, o dalla lotta all'evasione, clamorosamente smentita proprio da una delle misure inserite in manovra: la rottamazione delle pendenze con l'Agenzia delle entrate).
In quel documento, oltretutto, non si fa cenno alla privatizzazione delle Poste, promessa da Renzi all'Unione Europea ma fin qui nascosta dalla “comunicazione” governativa (insomma: non ce lo avevano nemmeno detto, temendo che i pensionati potessero correre a ritirare i loro risparmi).
Le voragini che si vanno aprendo su tutti i fronti sono tali che Padoan, per recuperare qualche entrata certa, sta progettando la rinuncia a un'altra misura pro-evasori, la cosiddetta “norma Corona”, che avrebbe permesso di ripulire le somme in contanti nascoste sotto il materasso o nelle cassette di sicurezza in cambio di un prelievo forfettario da parte del fisco. Viveur di discoteca a parte, la gente che oggi dispone di grandi cifre in contanti è in genere “classe dirigente” della malavita organizzata, tangentari, ecc.
Il governo, ancora indietro nei sondaggi per il referendum, nonostante misure specchietto come “la chiusura di Equitalia” (un semplice cambio del nome dell'agenzia di riscossione, con qualche sconto di ancora difficile quantificazione), è talmente precario che già si fanno avanti i candidati alla prevedibile successione del divin Matteo. Come sempre più spesso gli accade, è Tito Boeri – presidente dell'Inps nominato dallo stesso Renzi, due anni fa – a recitare la parte del critico che saprebbe cosa fare al suo posto. L'argomento scelto è l'ormai classico “questa manovra non pensa ai giovani” – che è verissimo! – e ha scatenato una polemica sopra le righe da parte del ministro delle Coop – pardon, del lavoro… – Giuliano Poletti.
Un quadro in disfacimento in cui – complice proprio la riuscita dello sciopero generale di ieri – persino i sindacalisti complici sono costretti a nominare la parola “sciopero” per invitare il governo a cambiar registro. Tranquilli, non l'hanno proclamato. Si sono limitati a dire, camminando frettolosamente, che “non si può escludere”…
In conclusione, possiamo dire almeno una cosa con certezza. La “legge di stabilità” di cui parlano i media non esiste. E' un canovaccio fatto di segnali elettorali mirati, per agguantare disperatamente consensi per il “sì”.
Il 5 dicembre quel canovaccio sparirà dalla scena e il ministero dell'economia verrà invaso dai tecnici di Bruxelles, armati di forbici e diktat. Se avrà vinto il NO, dovranno cercarsi un altro frontman per ammansire le folle; se dovesse vincere il “sì”, vedremo cose che noi umani…
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