A un mese esatto dal roboante annuncio del rilancio del progetto del Ponte sullo Stretto,
la maxi-retata di mercoledì 26 ottobre ha tolto dalla circolazione
alcuni di quelli che erano gli uomini chiave del progetto e che erano
proprio di fianco al premier Matteo Renzi a Milano nel giorno
dell’annuncio. Si tratta del presidente e del vice-presidente del Consorzio Cociv, Michele Longo ed Ettore Pagani. Due uomini espressione del gruppo Salini-Impregilo. Il primo, Longo, ne è una delle figure apicali essendo general manager domestic operation e avendo quindi la responsabilità non solo delle opere del cosiddetto Terzo Valico,
ma anche di tutte le altre operazioni italiane che coinvolgono il
gruppo. Di più, è l’uomo del Ponte, colui con il quale lo Stato deve
parlare se l’argomento è la maxi opera tra Sicilia e Calabria. E Pagani è
il suo braccio destro, nonché “responsabile del progetto Ponte sullo
Stretto” per conto di Impregilo, come recita il suo curriculum.
Le misure di custodia cautelare sono scattate nell’ambito di un’operazione sulle Grandi Opere,
dove – secondo i magistrati – non c’è solo la solita gigantesca
corruttela, ma anche e soprattutto la sistematica violazione delle
normative di sicurezza, con lavori non fatti a regola e uso di materiali
scadenti (“il cemento sembrava colla”, intercettano gli inquirenti).
Opere costosissime, spesso inutili e soprattutto pericolose. Opere su
cui il governo Renzi si è esposto molto. L’annuncio del rilancio del
progetto del Ponte il premier lo ha fatto il 27 settembre intervenendo
alla festa per i 110 anni del gruppo Salini-Impregilo che si è svolta alla Triennale di Milano. Accanto a lui, l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Salini
(più volte citato nelle intercettazioni dell’inchiesta), l’ambasciatore
degli Stati Uniti e molti top manager, tra cui, come detto, gli stessi
Longo e Pagani. “Non accetteremo che si possano spendere 6-7 miliardi
per la Torino Lione, 1,2 per la Variante di Valico e poi se facciamo
un’infrastruttura al Sud non si può perché rubano. O siamo italiani
sempre o siamo italiani mai”, ha detto Renzi giusto qualche giorno fa.
Ora che gli uomini del Ponte sono finiti nei guai lui minimizza: “Mi
auguro un processo equo e rapido. Il punto centrale è che non sono le
regole che fanno l’uomo ladro. E in ogni caso stiamo parlando di arresti
legati a vicende del passato”.
Se le storie sono antiche, gli uomini però sono sempre gli
stessi. Ma chi sono veramente Longo e Pagani e chi è il “terzo uomo”, Pier Paolo Marcheselli,
di cui si parla tanto in queste ore? Riguardo a Longo e Pagani le carte
dei pm riportano soprattutto due contestazioni: “Longo e Pagani
decidevano di affidare l’appalto a “Grandi Lavori Fincosit spa”
nonostante tale società avesse previsto nell’ambito delle spese
generali un costo per la sicurezza aziendale interna senz’altro
incongruo (93mila euro, un ottavo dei concorrenti, ndr)”. C’è poi la
gara per realizzare la viabilità per smaltire il materiale di scavo:
“Longo, Pagani e Giulio Frulloni (quest’ultimo remunerato
dall’imprenditore Marciano Ricci mediante l’offerta di serate con
“escort”) prima dell’indizione della gara promettevano allo stesso Ricci
l’affidamento dell’appalto… e fornivano loro informazioni sul progetto
che sarebbe andato in gara”.
Ci sono molti fili che legano le grandi opere italiane.
Parti dal Terzo Valico e arrivi molto lontano. Al Ponte, ma non solo. La
grande opera tra Milano e Genova ha
già collezionato molti record. Giudiziari, prima che ingegneristici. Per
non parlare dei costi: “Eravamo partiti da 3.200 miliardi di lire per
127 chilometri e siamo arrivati a 6,2 miliardi di euro per 54
chilometri”, racconta Stefano Lenzi, responsabile delle
Relazioni Istituzionali del Wwf. Le rogne cominciano negli anni ‘90
quando il pm genovese Francesco Pinto indaga sui tunnel pilota. Si
parlava di una truffa da 100 miliardi di lire. Gli indagati – Luigi
Grillo, Ercole Incalza, Marcellino Gavio e Bruno Binasco – ne uscirono
puliti: furono tra i primi a beneficiare della ex Cirielli
sulla prescrizione. La storia del Terzo Valico era cominciata nel 1991.
Poi le inchieste, il silenzio. Se ne riparla con il ritorno di Silvio
Berlusconi nel 2001. E già allora si ritrovano nomi di oggi. Nel marzo
2005 Andrea Monorchio aveva terminato il mandato di
Ragioniere Generale dello Stato e trovato altre prestigiose poltrone.
Tra le altre quelle di presidente di Infrastrutture Spa e della Consap
(Concessionaria dei Servizi Assicurativi Pubblici). Disse allora
Monorchio Senior: “La delibera Cipe ha individuato la cifra necessaria
per realizzare il Terzo Valico, 4,7 miliardi di euro, noi siamo pronti a
finanziare l’opera”.
A questo punto ecco che entra in scena Giandomenico Monorchio,
citato nell’inchiesta fiorentina del 2015 su Ercole Incalza
(archiviato). Di Monorchio jr. (arrestato ieri nella nuova inchiesta)
parla nelle intercettazioni l’imprenditore Giulio Burchi: sostiene che
si “…stanno negoziando le ultime direzioni lavori… il Cociv… il
Milano-Genova ce l’aveva il figlio di… nella spartizione fantastica di
queste direzioni lavori commissionate dai general contractor… che sono
una delle vergogne grandi di questo Paese”. Spiegano i magistrati: “Si
ricorda che, di recente, il Consorzio Cociv ha affidato a Giandomenico
Monorchio la direzione dei lavori per il Terzo Valico”. Ma dalle carte
dell’inchiesta romana di oggi, sul Terzo Valico, potrebbero emergere
altri dettagli sul ruolo di Monorchio jr. Il retroscena del Terzo Valico
non viene solo dalle inchieste. Dietro il Terzo Valico c’è anche
l’abbraccio tra banche e governi. Perché era Intesa (attraverso Biis, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo) che si occupava del project financing
privato. Ai vertici di Biis c’era chi parlava di un finanziamento che
doveva costare 374 milioni l’anno. Mentre le Ferrovie prevedevano un
ricavo da 40 milioni. Ma ecco che con Monti i banchieri vanno al
Governo: Corrado Passera, ex numero uno di Intesa, finisce allo Sviluppo Economico e alle Infrastrutture. Viceministro è Mario Ciaccia,
il numero uno di Biis che finanziava l’opera. Il progetto riparte. E in
un attimo la spesa si riversa sulle spalle pubbliche. E ci sarebbero
anche da contare le previsioni del traffico merci: si era detto di 5
milioni di container l’anno. Siamo a 1,8 e la linea attuale ne regge 3.
C’è poi chi, come il Wwf, ricorda che i costi (115 milioni a chilometro)
sono superiori dell’800% a quelli affrontati in Spagna. Chi sottolinea che dopo 53 chilometri la nuova linea finirebbe nel nulla.
Ma c’è chi continua a crederci. Di sicuro la ‘ndrangheta, come ha rivelato l’inchiesta Alchemia: “Dalle intercettazioni – raccontò il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho
– rileviamo l’interesse di imprenditori prestanome delle cosche a
sostenere finanziariamente il movimento Sì Tav per creare nell’opinione
pubblica un orientamento favorevole all’opera”.
C’è poi ò’ultimo tassello: la nomina del presidente del Porto di Genova.
Perché il Terzo Valico servirebbe proprio allo scalo ligure. Ormai è
questione di ore: il nuovo presidente sarà Paolo Emilio Signorini, già
delfino di Ercole Incalza. Il suo nome è stato proposto da Giovanni
Toti. L’opposizione, soprattutto di centrosinistra, tace. Si cerca un
accordo sulla figura del Segretario dell’Autorità Portuale. Altra
poltrona cardine per il Porto (e il destino del Terzo Valico). Si
profila un’intesa con il Pd.
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