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Una donna di 32 anni è morta a Catania in seguito a complicanze della sua gravidanza: il medico si sarebbe rifiutato di intervenire perché obiettore di coscienza
Tutte abbiamo avuto più o meno a che fare nella nostra vita con degli obiettori di coscienza: quando ci è servita la pillola del giorno dopo, negata al pronto soccorso pubblico dove siamo andate in piena notte; quando abbiamo cercato di comprarla e il farmacista si è rifiutato di venderla; quando abbiamo deciso di abortire ed era impossibile trovare un medico che effettuasse l'operazione.Queste esperienze - subite da moltissime donne – rappresentano delle vere e proprie umiliazioni, nonché la negazione esplicita di quell’universale diritto alla salute definito dal Sistema Sanitario Nazionale: vedersi rifiutate le cure in una struttura pubblica non è proprio una stella al merito nell'avanzamento della civiltà.
Nel caso di Valentina Milluzzo - una donna di 32 anni incinta di 2 gemelli grazie alla fecondazione medicalmente assistita - entrare in un ospedale è stato addirittura fatale. Ancora non sono chiarite le cause della morte della donna e dei feti, se sia stata la morte di uno dei gemelli, un'infezione a far precipitare la situazione oppure altre cause. C'è di certo che sarebbe stato necessario intervenire tempestivamente con un aborto terapeutico d'emergenza. Invece Valentina è stata lasciata agonizzare per ore, come testimonia il marito, per l'indisponibilità del medico a intervenire in quanto obiettore.
Nonostante l'aborto in Italia sia garantito e normato dalla legge 194, gli obiettori di coscienza invece che diminuire sono aumentati nel corso del tempo rendendo di fatto inapplicata e inapplicabile una conquista fondamentale delle donne in Italia. In alcune regioni, come il Lazio o la Lombardia, è ormai molto difficile abortire, mentre in Sicilia – la regione in cui viveva Valentina Milluzzo – è praticamente impossibile. L'avanzata dell'obiezione nei reparti di ostetricia e ginecologia è spesso determinata da una scelta di comodo per la carriera – è gioco-forza rimanere marginalizzati nei repartini quando i medici non obiettori si contano ormai sulla punta delle dita. I reparti in cui si pratica l'IVG (anche terapeutica) chiudono uno dopo l'altro e non c'è direzione ospedaliera, ente regionale o ministero della Salute a provvedere alla continuità di un servizio fondamentale per la vita delle donne. A ciò si accompagna il disinvestimento nella formazione per cui i futuri medici ginecologi non sapranno proprio più come si pratica una IVG.
Il caso di Valentina è diverso, dice il primario di Ginecologia e Ostetricia del Cannizzaro: non si tratta di aborto volontario e quindi non c'entra che il medico sia un obiettore. Sarebbe un’ancor più grave omissione di soccorso per un caso di aborto spontaneo. Si, Valentina quei figli li voleva, ma voleva vivere, aggiungiamo noi.
Il punto è che si torna a morire di aborto, di setticemia o di parto – come accade sempre più spesso – ed è un fatto sconcertante quanto inaccettabile. Le indagini sulla morte di Valentina Milluzzo sono in corso, e non è chiaro se ci troviamo di fronte a un gravissimo caso di malasanità o di fronte a un vero e proprio omicidio. Probabilmente si tratta di entrambe le cose. Fatto sta che negli ultimi anni i finanziamenti dello Stato rivolti ai servizi sanitari pubblici sono drasticamente diminuiti, portando a un peggioramento delle prestazioni rivolte alla popolazione, in particolare per quanto riguarda la salute delle donne, e ad una conseguente riduzione dell’accesso ad esse. Con l'avanzare della crisi economica e con il dilagare delle politiche di austerity, il Sistema Sanitario Nazionale è stato oggetto di tagli lineari e indiscriminati (tanto che addirittura i chirurghi si lamentavano del fatto che venissero comprati bisturi scadenti che non incidevano...). . Non è assolutamente chiaro quale sia il finanziamento previsto dalla legge di stabilità per la sanità, tra stanziamenti diretti e tagli ai trasferimenti regionali. Si vocifera inoltre, che il governo di Matteo Renzi abbia deciso di diminuire di un ulteriore miliardo e mezzo i fondi destinati alla sanità pubblica. Tutto questo a fronte di una massiccia avanzata di strutture private convenzionate che assorbono quote sempre più consistenti di fondi pubblici, mentre le strutture sanitarie pubbliche diventano sempre più inefficienti, dequalificate e costose per i pazienti. D’altronde quando aumenta il costo dei ticket e le attese nei presidi pubblici sono infinite, la soluzione, per chi se lo può permettere, è quella di rivolgersi al privato. È così che viene progressivamente smantellato il Sistema Sanitario Nazionale e la salute diventa un business, non un diritto fondamentale da garantire a tutti.
In quest'ultimo periodo le donne sono diventate bersagli di una violenza senza precedenti: fisica, verbale, psicologica, lavorativa e anche “sanitaria”. Si, perché la violenza non riguarda solo i femminicidi - uccisioni volontarie da parte di uomini ossessionati dalla cultura del possesso - ma anche casi come quelli di Valentina, uccisa da un medico che non ha voluto salvarle la vita. Anche l'obiezione di coscienza è violenza, nel momento in cui pongono di nuovo in contraddizione la libertà di scelta delle donne e la loro stessa vita. Parliamo del caso di Valentina ma parliamo anche del ritorno all'aborto clandestino, in particolare tra le adolescenti e le immigrate, e del suo carico di morte.
Ragazze di 16 anni violentate, impalate e uccise; ragazze di 30 che si suicidano perché gli amici mettono sul web un video mentre fanno sesso; donne bruciate vive, uccise da una coltellata o da un colpo di pistola. Donne sfregiate con l'acido, donne che muoiono in un ospedale perché il medico si rifiuta di farle abortire. La violenza ha molte facce: è tempo di distruggerle tutte.
Per questo il 26 Novembre saremo in piazza a Roma, al grido #NonUnaDiMeno; e il 27 Novembre ci ritroveremo assieme per costruire dal basso un’alternativa reale a questa cultura fatta di sessismo.
Se il Medioevo è già qui, anche le Streghe tornano ad invadere le strade.
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