lunedì 31 ottobre 2016

"Terremoti ed altro, un grande piano nazionale di messa in sicurezza e manutenzione". Intervento di Domenico Moro

controlacrisi Autore: domenico moro
Mentre l’Italia è devastata da nuove scosse di terremoto, Moscovici, Commissario europeo per gli affari economici, e il ministro Padoan discutono se e in che misura le spese per il terremoto di agosto in Italia centrale possano essere defalcate dal computo del deficit di bilancio. Il punto imprescindibile, per Bruxelles, è, come sempre, rientrare nei limiti di bilancio. Francamente, ciò è ormai intollerabile. È ora di dire basta con il tira e molla tra governo Renzi e Commissione europea per una manciata di milioni per le spese per il terremoto, mentre si prevedono nella legge di bilancio super e iperammortamenti fiscali che andranno a beneficio soltanto delle grandi imprese. Più che di permessi della Commissione europea a includere nella legge di bilancio cifre non esorbitanti, c'è bisogno di un grande piano di ricostruzione nazionale, che metta in campo risorse adeguate (miliardi e non poche centinaia di milioni) per la messa in sicurezza del territorio italiano da terremoti e alluvioni e per la manutenzione della infrastruttura stradale e ferroviaria. Proprio pochi giorni fa a Lecco è crollato un cavalcavia stradale e, mentre le autostrade, costruite con i soldi pubblici e ora a gestione privata, aumentano le tariffe, le autostrade ancora pubbliche subiscono crolli, come quello che ha interessato l’anno scorso un tratto dell’autostrada Palermo-Catania. Ma basta guardare alla situazione del manto stradale in tutta Italia, persino a quello della Capitale e dalla sua provincia, per rendersi conto di quanto sia degradata la rete sotto il controllo pubblico, dopo anni di investimenti zero, a causa del Fiscal compact europeo, che ha prodotto il pesante decurtamento dei trasferimenti statali agli enti locali (-50% ai comuni).
Invece, per quanto riguarda la sicurezza ferroviaria non dimentichiamo la tragedia accaduta in Puglia a luglio, che causò ventitre morti. Secondo l'agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf) gli stanziamenti del governo per la messa in sicurezza sono inadeguati: non basteranno, secondo il direttore dell’agenzia, Gargiulo, i 300 milioni promessi dal ministro Del Rio, ma, ad una prima e prudenziale stima, ne serviranno almeno 500. Intanto, la situazione è talmente pericolosa che, per le tratte ancora non adeguate agli standard, l’Ansf propone il limite di velocità di appena 50 chilometri all’ora, che l’associazione dei gestori privati delle ferrovie rifiuta.
C'è un modo per combattere la disoccupazione e la crescita del debito, creando nuovi posti di lavoro e buona crescita del Pil: salvare vite umane, abitazioni, infrastrutture vitali e il nostro patrimonio storico. Ma, per fare questo, bisogna superare questa Europa: i suoi assurdi vincoli di bilancio e i suoi metodi di funzionamento, il Patto di stabilità in primis, in modo da mettere in atto una politica economica pubblica finalmente espansiva. Una politica che non si incentri tanto sulla riduzione dei tassi d'interesse, che va soprattutto a favore dei profitti, ma che si incentri soprattutto sulla ripresa massiccia degli investimenti pubblici, mediante un piano gestito direttamente dallo Stato. È in questo senso che si può e si deve parlare di ripristino della sovranità popolare e democratica, in opposizione ad un sovrannazionalismo europeista esclusivamente del capitale.
In definitiva, le ultime e dolorose vicende italiane ci parlano di una questione più generale. Il problema centrale cui dare risposta è quale sviluppo e quale crescita vogliamo. Più precisamente, il tipo di sviluppo e di crescita è strettamente collegato a come, per chi e cosa produrre. In altre parole, è connesso a uno sviluppo che sia utile al Paese, in termini certamente, in primo luogo, di sicurezza, ma anche, più in generale, di soddisfazione dei bisogni della collettività (ad esempio: diritto all’abitare e alla mobilità), mediante l’allargamento del perimetro dell’attività pubblica in economia e la riduzione del campo, ora predominante, dei rapporti di produzione privati.

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