2 / 6 / 2016
globalproject
Nella discussione
di oggi il tema dell’estensione della guerra contemporanea (finanziaria, commerciale,
mediatica, di risorse) ha dimostrato come anche un problema umanitario come l’immigrazione
venga percepito ed affrontato con metodi militari.Raffaele Crocco, curatore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, ha spiegato bene come la dimensione militare sia quella che più di ogni altra stia condizionando la società contemporanea. In questo momento ci sono nel mondo 46 guerre “ufficiali”, a cui si aggiungono una decina di situazioni a rischio. Il numero dei conflitti ci spiega il perché ci sono oggi 60 milioni di persone in fuga dalle proprie terre.
Secondo Crocco le guerre non sono mai la causa, ma sono un effetto di tanti processi che s’intrecciano. Perché ci sono le guerre?. Tra gli esempi portati c’è quello legato all’acqua. Per produrre un hamburger occorrono 2300 litri d’acqua; «quanta lotta si scatena per avere il controllo dell’acqua a scopi industriali?». Una risposta a questa domanda può essere l’occupazione del Tibet da parte della Cina, fatta proprio perché in Tibet ci sono i principali bacini d’acqua di tutta l’Asia.
La guerra è inoltre un effetto della concentrazione della ricchezza nelle mani di poche persone. Una concentrazione che nel pianeta aumenta sempre di più. Alcuni dati confermano che l’1,5% delle persone possiede oltre il 65% della ricchezza. Nel “civilissimo” Trentino, ad esempio, il 65% della popolazione lavorativa guadagna meno di mille euro al mese. Chi controlla i luoghi della produzione ed i flussi di trasporto dei prodotti controlla il mondo e, nel frattempo, ci sono 930 milioni di esseri umani ogni giorno che rischiano di morire di fame, nonostante la produzione agricola sia aumentata dell’1,5% dall’inizio della crisi mondiale. La cattiva distribuzione delle ricchezze, e di conseguenza del cibo, rappresenta lo sfondo per la proliferazione delle guerre in tutto il mondo.
Crocco ha concluso il suo intervento dicendo che occorre lavorare sulle cause per combattere politicamente la guerra e, di conseguenza, per affrontare la crisi delle migrazioni.
Antonio Mazzeo ha affrontato l’evoluzione della guerra nella contemporaneità, in termini tecnologici e politici. Il suo intervento è partito inquadrando il rapporto tra Paesi occidentali e Paesi arabi nel contesto delle guerre in Medioriente. L’Italia, nonostante non abbia un ruolo di primo piano sul piano geopolitico, ha invece un ruolo fondamentale nelle strategie commercial-militari. I cacciabombardieri prodotti in Gran Bretagna e diretti a Ryad, ad esempio, fanno una sosta tecnica in Italia. Il Ministero della difesa ha inoltre firmato recentemente accordi con diversi Paesi che in questo momento stanno finanziando l’Isis, in particolare Arabia Saudita e Oman.
Il nostro Paese svolge un importante ruolo nell’addestramento e nella formazione di chi combatte le tante guerre nel mondo. Dice Mazzeo: «Le guerre non le fanno i selvaggi, ma soggetti che vengono costantemente addestrati, anche a livello di intelligence, in Occidente».
Anche rispetto all'ingarbugliata situazione libica l’Italia, nonostante dopo il 2011 abbia perso il ruolo di interlocutore unico nella gestione petrolifera, ha continuato a fornire armi a fazioni spesso in guerra tra loro. Per questa ragione il nostro Paese è direttamente responsabile della “balcanizzazione” della Libia.
Uno dei passaggi politici fondamentali per la ridefinizione degli assetti globali della guerra è rappresentato dal meeting annuale della Nato, che quest’anno si svolge durante la prima settimana luglio a Varsavia. In questo incontro verranno formalizzate modifiche strutturali dell’Alleanza atlantica, sia rispetto all’intervento diretto nei conflitti mondiali sia nella gestione complessiva della guerra. Al centro della discussione ci sarà l’avanzamento delle tecniche della cyberg-war. L’automatizzazione militare rappresenta per la Nato, e per le potenze che la sostengono, una chiara scelta strategica, che consente di ridurre la il numero di morti tra i propri militari e deresponsabilizza sul piano etico chi combatte le guerre. Esiste una data, il 2048, in cui la guerra sarà completamente dronizzata. Assistiamo dunque ad un processo in cui si ha da un lato una politicizzazione e centralizzazione del comando della guerra, dall'altro l’automatizzazione della sua fase esecutiva.
Al vertice di Varsavia si discuterà inoltre del rilancio del riarmo nucleare, sia rispetto ai nuovi trasportatori di testate, sia relativamente alla nuclearizzazione dell’Est Europa. Infine si parlerà della questione migratoria. La Nato ritiene che le migrazioni siano un attentato alla sicurezza del Patto Atlantico e pertanto richiedono un costante intervento militare. Nel Mediterraneo sono già presenti numerose lotte militari, di diverse bandiere, che operano all’interno di acque libiche, a cui si affiancherà (per la prima volta nella storia) una flotta Nato.
In Italia di questo vertice, ed in generale dell’argomento che riguarda l’automatizzazione del conflitto, non si fa menzione. Eppure la Nato ha scelto l’Italia come centro di sviluppo e sperimentazione della guerra automatizzata. In Campania è presente la seconda base militare in Europa, che diventerà il centro operativo di tutti i processi che riguardano l’azione della Nato nell’Euromediterraneo. Il nuovo sistema AGS (Alliance Ground Surveillance) diventerà operativo nel 2017 ed avrà come centro di comando la base di Sigonella, dove sono stati trasferiti i droni killer usati nella guerra semi-clandestina che si sta combattendo in Libia. Il CNR e il MIUR sono direttamente coinvolti in questo processo: «i soldi sottratti alla scuola pubblica servono per implementare l’automatizzazione della guerra». Diversi aeroporti civile italiani già sono stati trasformati in luoghi di transito e sosta di mezzi militari. L’aeroporto di Trapani, ad esempio, è stato messo a disposizione come base per lo smistamento dei droni killer.
In conclusione Mazzeo afferma che la guerra ai migranti rappresenta l’ultima frontiera della cosiddetta “guerra interna”. «Verranno a moltiplicarsi strutture di internazione di persone in tutta l’Europa mediterranea. Si riproduce quello che accadeva durante la seconda guerra mondiale nei confronti di ebrei e rom». La militarizzazione degli hotspot dimostra inoltre che i migranti sono le cavie di un processo che riguarda chiunque si oppone al modello unico neoliberista.
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