mercoledì 1 giugno 2016

Kurdistan turco, il mattone dopo il cannone

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Sembrerebbe un mea culpa, ma non lo è. Il vicepremier e portavoce del governo turco Numan Kurtulmus dichiara che i nove mesi (s’iniziò il 4 settembre 2015) d’assedio continuato e semi interrotto a varie città kurde del sudest anatolico, da Diyarbakır a Cizre, passando per Silopi, Idil, Yukeskova e in quest’ultime settimane Nusaybin, hanno prodotto la distruzione di 6.320 edifici. E’ la guerra condotta dalle Forze Armate di Ankara contro la popolazione locale accusata tutta, indiscriminatamente d’essere un supporto alla guerriglia del Partito Kurdo dei Lavoratori. Così son venuti giù ben 11.000 appartamenti e case e oltre 90.000 persone risultano sfollate. Molte di loro restano accampate perché non sanno dove andare. Non hanno parenti visto che i congiunti sono rimasti vittime delle incursioni distruttive. La nota ‘leggera’ dell’intervento del vicepremier è il calcolo dell’operazione ricostruzione che l’amministrazione dovrebbe dirigere. Le spese ammonterebbero a 260 milioni di euro, occasione per i privati di agguantare commesse governative. Nulla si dice sulla morte e sui drammi che quei bombardamenti hanno prodotto. Questo lo ricordiamo con alcune testimonianze dei superstiti. Negli assedi dei mesi scorsi la località di Cizre è risultata la più colpita, tantoché la sua agonia e la sua resistenza sono state paragonate alla nota Kôbane, città martire del Rojava.
In città vivevano 130.000 abitanti, ora dopo mesi di pressione e stragi molti di meno, ma in tanti hanno giurato di affrontare morte e disagi pur di non farsi sradicare da propria terra. Tuttora risuona il grido di un’anziana donna registrato in un filmato che mostra gli effetti delle stragi “State massacrando bambini, donne incinte, vecchi”. Invocazione vana. Da una postazione dell’esercito, da dove si mira con armi pesanti a edifici sottostanti, risuona “Prendi questo, bastardo. Prenditi questo missile”, sono gli improperi dei militari turchi che sfogano sui civili l’odio e la frustrazione di essere colpiti dai militanti del Pkk. Sempre in quel filmato girato da attivisti locali si sente un altoparlante che intima “Non muovetevi o spareremo”. In realtà per settimane si è sparato senza preavviso a Cizre sono stati uccisi 282 abitanti, ben 177 anche negli scantinati dove si nascondevano o s’erano rifugiati per scampare alle granate con cui l’esercito martellava interi quartieri. “Arrivavano fin sotto le scale e sparavano, sparavano” ricordano due donne, mentre le figlie dopo settimane mostravano ancora occhi sbarrati e urlavano per la paura. Tutto ciò è accaduto nel silenzio dello scenario internazionale che avallava la necessità di “lotta al terrorismo” proclamata da Davutoğlu ed Erdoğan e la necessità di “sicurezza nazionale” di fronte alla sequela di attentati seminati fra Istanbul e Ankara.
Ma per i vertici della politica turca terrorista è chiunque s’oppone ai disegni dell’establishment, e lo sono parlamentari dell’opposizione, giornalisti, movimenti pacifisti come quello giovanile, contro cui si  scatenavano polizia e agenti dell’Intelligence. Contro la popolazione kurda s’è innescata la catena di assassini e terrore, come negli anni Novanta. “I cecchini erano ovunque e sparavano nel mucchio, colpivano i civili indiscriminatamente” raccontano alcuni testimoni, mentre uno rammenta la povera fine d’un congiunto “Non in ospedale, non in strada, la sua vita era appesa e noi non potevamo spostarlo, eravamo intrappolati. Sequestrati e chi non moriva colpito dalle armi, poteva morire di fame perché a lungo non abbiamo avuto cibo e non potevamo procurarcene”. Per giorni i reparti dell’esercito hanno impedito che camion della Mezzaluna Rossa e Croce Rossa internazionali consegnassero cibo e medicinali agli assediati. “Non ci lasciavano portar via i morti né i feriti negli ospedali, tanti sono morti dissanguati”, hanno sparato anche sulla delegazione parlamentare Hdp recatasi sul posto per osservare la situazione. Colpiti da tanks, artiglieria, elicotteri. Circondati e prigionieri, e dopo settimane di tiro a bersaglio ai soldati veniva impartito l’ordine di bruciare e demolire. Questo il comunicato di Kurtulmus non lo dice. Però tutto questo è accaduto.

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