venerdì 25 settembre 2015

Senza investimenti, non c’è Pil che tenga.

Ancora una volta sen­ti­remo il primo mini­stro soste­nere che l’Italia ha cam­biato verso. Standard&Poor’s afferma che l’Italia è uscita dalla reces­sione, ma la ripresa è tie­pida per­ché i salari non cre­scono abba­stanza e per­si­ste un alto livello di disoc­cu­pa­zione. Siamo usciti dalla reces­sione tec­nica, ma il paese rimane lon­tano dai paesi euro­pei.
In altri ter­mini: l’Italia è uno dei pro­blemi dell’Europa. Infatti, il titolo dell’ultimo report dell’agenzia Standard&Poor’s si inti­tola «Ripresa super­fi­ciale dell’Italia».
Forse ci sono dei segnali di con­tro­ten­denza, ma nulla di com­pa­ra­bile a quanto accade nei paesi di area euro. Ci doman­diamo quale sia il segnale posi­tivo che Renzi con­ti­nua a pub­bli­ciz­zare. Inol­tre, nell’ultimo periodo c’è stato un declino nella for­ma­zione di capi­tale, aggiun­giamo coe­rente con la per­dita del 20% della capa­cità pro­dut­tiva. Se l’Italia esce dalla crisi, occorre ricor­dare che il suo cam­mino sarà più lento e fra­gile. Alla fine con­cor­diamo con l’affermazione di Six: «Dalla fine del 2014 si sono visti segni di un’economia che sta rina­scendo ma sarà una lunga strada per tor­nare a tassi di cre­scita del Pil sem­pli­ce­mente supe­riori a 1,5%».
Nella let­tura della situa­zione economico-sociale del paese, le pro­po­ste e gli inter­venti «pre­con­cetti» del governo rischiano di creare una barriera-freno alla com­pren­sione della crisi.
Un difetto che ini­bi­sce la solu­zione dei pro­blemi, e si aggiunge ai tanti e già gravi pro­blemi di strut­tura. Vogliamo ricor­dare due que­stioni messe in evi­denza anche nel recente Def. La discus­sione sui deci­mali di cre­scita e la disputa sull’uscita dalla reces­sione, che è solo una que­stione tec­nica, sem­bra fer­marsi alla con­sta­ta­zione della varia­zione per­cen­tuale del nostro Pil, come se vivere in que­sto mondo e, in par­ti­co­lare, nell’Unione, fosse inin­fluente, anche per quanto riguarda la valu­ta­zione di que­sti deci­mali di cre­scita. In sostanza, si vor­rebbe far cre­dere che un anda­mento (final­mente) posi­tivo del nostro Pil fosse l’uscita dal declino e, quindi, un suc­cesso di que­sto Governo.

In realtà si ripete lo stesso errore di valu­ta­zione e di luogo di osser­va­zione. Se l’Italia cre­sce dello 0,9% men­tre il resto dei paesi Ue dell’1, 4%, in realtà, si allarga il nostro diva­rio dai paesi euro­pei, accre­scendo il ritardo accu­mu­lato in que­sti ultimi 15 anni. Ma imma­gi­niamo per un momento di avare una cre­scita del Pil uguale a quella della media euro­pea. Il risul­tato non sarebbe diverso. Infatti, dal 2002 il valore del Pil pro-capite medio dei paesi Ue è molto più alto di quello nazio­nale. In altri ter­mini, la «cre­scita poten­ziale pro-capite» sarebbe comun­que infe­riore a quella degli altri paesi.
Que­sti «cavilli» arit­me­tici hanno un rilevo non solo per gli indi­ca­tori del Pil, ma regi­strano una dif­fi­coltà di strut­tura che deve essere rimossa se vogliamo avere dei reali anda­menti posi­tivi del Pil. Pro­viamo a guar­dare alle espor­ta­zioni che, come per tutti i paesi, risen­tono della crisi inter­na­zio­nale. All’interno di que­sto feno­meno, però, il com­por­ta­mento dei sin­goli paesi avan­zati è tutt’altro che omo­ge­neo. Se l’euro area dal 1990 al 2015 ha perso quasi il 30% delle pro­prie quote di espor­ta­zione, è altret­tanto indi­scu­ti­bile che l’Italia ha perso più del 40% della pro­pria quota. Ciò testi­mo­nia che la strut­tura pro­dut­tiva è debole e inca­pace di misu­rarsi con il mer­cato internazionale.
Ser­vi­rebbe una sana poli­tica indu­striale, ma il Def uti­lizza slo­gan che pre­val­gono sul merito dei pro­blemi, arri­vando a soste­nere che per miglio­rare «alla radice le capa­cità com­pe­ti­tive del Paese, ser­vono nuovi in inve­sti­menti pri­vati, cru­ciali per irro­bu­stire la ripresa». Il pro­blema è che que­sti inve­sti­menti pri­vati hanno deter­mi­nato una spe­cia­liz­za­zione e una strut­tura pro­dut­tiva pro-ciclica del declino italiano.

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