Dopo
il fallimento della Lehman Brothers nel 2008 si diffuse in Germania un
malcelato orgoglio che contrapponeva le frodi e i sotterfugi della
finanza anglosassone al mondo chiaro e ordinato dell'industria tedesca.
Ma si trattava di un autoinganno: l'idea che esista un capitalismo
buono e uno cattivo è un'illusione.
Das Auto: questo è lo slogan della Volkswagen. Breve, solo due parole, molto orgoglioso. Oggi si aggiungono altre due parole: der Betrug, la truffa.
La Vw ha venduto milioni di veicoli che emettono più gas di scarico di quelli dichiarati e consentiti. E, per evitare di essere smascherati, ha equipaggiato queste auto con dei software il cui scopo era proprio quello di occultare la truffa. La Vw non è un'azienda qualunque. Per la sua storia, le sue dimensioni e per la particolare struttura del suo azionariato, è l'azienda tedesca per eccellenza. Se può fallire la Vw, può fallire anche la Germania. Per questo motivo questo scandalo colpisce al cuore la stessa immagine di sé dei tedeschi.
Che razza di azienda è quella che usa il proprio punto di forza – la tecnologia – per infrangere le leggi? Che razza di persone sono quelle che al mattino vanno al lavoro per violare le norme? Non siamo di fronte al comportamento sbagliato di un singolo. Si tratta di un reato commesso da un'intera azienda che ha smarrito il senso delle misure. E quando il reato è parte del lavoro, allora possiamo parlare di crimine professionale. E quando il crimine è ben organizzato si può parlare di criminalità organizzata.
Ma perché la Vw ha infranto le leggi? Per avidità. Circa 600mila dipendenti, 200 miliardi di fatturato, 119 fabbriche: un'auto su otto nel mondo è costruita dalla Vw. E deve continuare a essere così. L'agente di borsa americano Ivan Boesky, negli anni Ottanta, di fronte a una platea di studenti di economia, disse: “L'avidità è perfettamente accettabile. È bene che lo sappiate. Io penso che l'avidità sia sana. Voi potete essere avidi e sentirvi comunque bene”.
Poco dopo Boesky è stato arrestato dall'autorità di vigilanza sulla Borsa per insider trading e condannato a 3 anni e mezzo di reclusione e al pagamento di una multa di 100 milioni di dollari. Oliver Stone, con il personaggio di Gordon Gekko, gli ha dedicato un inglorioso monumento nel suo film Wall Street.
Bene, non c'è nessuna differenza fra Boesky e la Volkswagen.
Dopo il 15 settembre 2008, quando il fallimento di una banca d'investimenti di New York, la Lehman Brothers, devastò la finanza internazionale, si diffuse in Germania un malcelato orgoglio, una certa superbia tedesca. Là le frodi e i sotterfugi della finanza anglosassone, qui il mondo chiaro e ordinato dell'industria tedesca. E risuonava in sottofondo la famigerata differenza fra il capitalismo “rapace” e quello “creativo”, proposta una volta da Joseph Goebbels nel suo opuscolo Il piccolo abc del nazionalsocialista.
Ma si tratta di un autoinganno. L'idea che esista un capitalismo buono e uno cattivo è un'illusione. Ed è ingenuo supporre una qualsivoglia superiorità morale dell'industria sulla finanza. L'amoralità è connaturata all'idea stessa di azienda. Gli uomini hanno (forse) una moralità, le aziende no. E qui sta un fondamentale equivoco del capitalismo moderno.
Più sono grandi, meglio è
In un lungo articolo sull'etica aziendale l'Economist una volta ha scritto: “Le aziende che mentono e truffano non possono aspettarsi di rimanere a lungo sul mercato, anche quando le loro azioni non sono contro le leggi”. Noi sappiamo che è vero l'esatto opposto. Ma così i guardiani dell'ideologia economica neoliberale si gettano da soli sabbia negli occhi.
Joel Bakan, giurista e regista canadese, nel suo importante libro The Corporation ha fatto notare che nel 19mo secolo il diritto americano ha iniziato a trattare le aziende come individui agenti. In quello tedesco la distinzione fra persone fisiche e persone giuridiche è stata compiuta un po' più tardi. Eppure c'è una grande differenza: le persone fisiche hanno una coscienza, quelle giuridiche no.
Le persone litigano con la propria coscienza. Questa li tormenta, quelle la vogliono mettere a tacere. Senza coscienza non c'è salute mentale. Un uomo senza coscienza rientra nella psicopatologia. Non a caso Bakan ha descritto le grandi aziende come degli psicopatici. Quali sono i tratti caratterizzanti della personalità psicopatica? Ingannatore dalla parola facile dotato di fascino superficiale, esagerata autostima, menzogna patologica, comportamento ingannevole-manipolativo, mancanza di senso di colpa, freddezza, mancanza della disponibilità ad assumersi la responsabilità del proprio comportamento.
Non è la perfetta descrizione delle grandi aziende? Più sono grandi, meglio è. E la Volkswagen è molto grande.
(traduzione di Cinzia Sciuto)
(29 settembre 2015)
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