L'Italia ha il record di Neet, i giovani che non studiano né lavorano. Non è solo un problema economico. Il confronto con le generazioni precedenti non esclude una “radicalizzazione violenta”.
L'Espresso di Paolo FioreItalia Paese di santi, navigatori e Neet. Arriva anche dall'Ue, numeri alla mano, la conferma che a pagare la crisi sono soprattutto i più giovani. Con la probabilità che quella dei 15-24enni diventi la nuova generazione perduta.
Secondo un report dell'Eurofound , agenzia dell'Ue che si occupa di politiche sociali e lavoro, cresce il rischio di “povertà ed esclusione sociale”. Un'espressione che non significa solo mancanza di lavoro ma anche di partecipazione. Perché chi è escluso sopporta maggiori privazioni economiche, ha meno fiducia nelle istituzioni e non è coinvolto nella vita politica. Una condizione che riguarda un quarto dei giovani europei e che è più diffusa oggi rispetto al 2008 in 20 Paesi Ue su 28.
L'Italia non se la passa meglio. Tutt'altro: il rischio tocca poco meno del 30% dei giovani. Fanno peggio solo Irlanda, Croazia, Lituania, Ungheria, Lettonia, Grecia, Romania e Bulgaria. Se per alcuni di questi Paesi, si fanno sentire una scolarizzazione più modesta o condizioni sanitarie peggiori, per l'Italia la responsabilità dell'esclusione sociale è più univoca: manca il lavoro, almeno quanto la fiducia di un avvenire migliore.
Il record dei Neet
Nel 2014, periodo preso in esame dall'Eurofound, la disoccupazione giovanile in Italia ha toccato il 42,7%. La media Ue è pari alla metà e si avvicina al tasso che l'Italia contava nel 2008. In altre parole: la disoccupazione tra gli under 24 è raddoppiata nell'arco di appena sette anni. Colpa della crisi, certo. Ma non per tutti: nello stesso periodo, la media dei 28 Paesi Ue è aumentata di soli sei punti percentuali.
Il fatto che ci sia qualcuno che “sta peggio di noi” (Croazia, Spagna e Grecia) non è una consolazione. Anche perché l'Italia non si fa mancare un primato: è il Paese con il record di Neet: il 22,1% dei giovani non studia né lavora. Un primato ottenuto con distacco: per entrare nel ristretto club degli Stati con “very high rate” (insieme a Irlanda, Bulgaria, Grecia e Spagna) bastava il 17%. La media Ue si ferma al 12,4%.
Sull'essere Neet pesa la disoccupazione. Ma ancor di più il mercato del lavoro nel suo complesso. L'Italia è, alle spalle della Grecia, il Paese con la più alta incidenza di disoccupazione di lungo termine: il 60% dei senza lavoro non ha un impiego da almeno un anno. Insomma: chi esce dal mercato non riesce a rientrarci. E così perdere il lavoro non è un momento di passaggio da un'impiego all'altro ma una sosta. Spesso prolungata.
Essere escluso per così tanto tempo, afferma l'Eurofound, deve essere motivo di “profonda preoccupazione per l'Ue” perché “può causare conseguenze che si protrarranno per tutta la vita in termini di scarsa occupazione, salari e vita sociale”.
Lo scontro tra generazioni
Se non fosse abbastanza chiaro, gli analisti sottolineano che “i giovani tra i 16 e i 24 anni costituiscono oggi il gruppo con il maggiore rischio di esclusione sociale” e vedono allargarsi sempre di più la forbice con gli over 65. Ossia con i loro padri, zii e nonni.
Disoccupazione, stasi e un confronto generazionale impietoso con chi ti sta accanto sono gli elementi di una bomba sociale pronta ad esplodere: si parla di 13,7 milioni di Neet e 27 milioni di giovani a rischio di esclusione sociale in tutta Europa.
È la stessa Ue, nel suo Youth Report 2015 , a lanciare l'allarme: “I tassi di povertà sono più elevati per i giovani che per la popolazione in generale”. Un divario socioeconomico che espone le nuove generazioni “al rischio di povertà a lungo termine” e non esclude la prospettiva di una “radicalizzazione violenta”.
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