Lo scandalo della Volkswagen è un duro colpo al capitalismo industriale moderno, quello che secondo la teoria neo-liberista, rappresenta la spina dorsale della crescita economica. E quindi va difeso a spada tratta. Ma sarà difficile, se non impossibile, anche per i più accaniti neo-liberisti far passare il software che inganna i controlli sulle emissioni di diossido di nitrogeno come un errore casuale, un’alterazione non programmata. Qualcuno l’ha pensata, l’ha studiata, ha prodotto ed applicato ai motori diesel il software per imbrogliare le autorità competenti ed i consumatori. E dato che la catena di montaggio automobilista è un meccanismo complessissimo di orologeria industriale, dove tutto è computerizzato, bilanciato e verificato al millimetro, di certo il software fraudolento è stato approvato dal board della Volkswagen perché per applicato si è dovuta modificare la catena di montaggio.
Loretta Napoleoni Economista
Non è la prima volta che la Volkswagen si trova in una situazione drammatica. Fondata per volontà di Hitler nel 1937 e disegnata da Ferdinand Porsche, la prima macchina doveva essere l’utilitaria della classe media tedesca. Ma la guerra interruppe questo progetto e la Volkswagen produsse veicoli per l’esercito tedesco usando più di 15 mila schiavi provenienti dai vicini campi di concentramento. Nel 1998 i sopravvissuti finalmente ottennero compensazione per quel trattamento disumano. Nel 1945, la fabbrica, che era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti, finì sotto il controllo dell’esercito britannico. Il maggiore Ivan Hirst convinse i suoi superiori a non distruggerla ma ad usarla nel contesto delle riparazioni di guerra. Nel 1949 venne restituita alla Germania. Da allora la sua crescita è stata spettacolare.
L’importanza odierna della Volkswagen nel contesto del capitalismo industriale europeo è confermata dal comportamento ‘protettivo’ nei suoi confronti da parte dei governi e della commissione europea. E’ dal 2013 che i verdi europei, Greenpeace e altri gruppi ambientalisti denunciano gli alti tassi di inquinamento prodotti dai motori diesel, tra cui quelli del gigante automobilistico tedesco, senza suscitare alcuna risposta. Nel 2013 perfino il Centro di ricerca congiunto della Commissione europea denunciò in uno studio la possibilità che i livelli di emissione della autovetture fossero truccati. Ma non successe nulla. A detta dei Verdi tedeschi l’ultima volta che il governo di Bonn è stato allertato riguardo alla possibilità che l’emissione delle macchine a diesel della Volkswagen fosse più alta di quanto dichiarato è stata a luglio di quest’anno, ma Berlino non è intervenuta, ha lasciato correre.
Tante dunque le connivenze politiche e tanta la corruzione. Nel 2014, secondo dati ufficiali raccolti da Greenpeace, i produttori di diesel, con in testa la Volkswagen hanno speso 18,5 milioni di euro attraverso 184 lobbisti a Bruxelles, chissà quante nuove autovetture sono state ‘regalate’ o ‘donate’.
C’è voluto l’intervento degli americani per scoperchiare il vaso di Pandora, a quanto pare gli europei erano ben intenzionati a lasciarlo chiuso. Ed adesso che lo scandalo è pubblico è iniziato il solito scaricabarile. La commissione sostiene che non è sua responsabilità controllare la qualità dei prodotti europei, nel tentativo di arginarne le conseguenze la Germania si è dichiarata pronta a far pulizia in casa propria. La Svizzera ha semplicemente sospeso l’importazione delle Volkswagen mentre negli altri Paesi europei si conducono controlli sistematici o sporadici per scoprire quali autovetture sono state truccate.
Rimane il problema di fondo: il gigante del capitalismo industriale europeo ha mentito ai suoi clienti. Se lo ha fatto la Volskwagen chiunque può farlo. Al di là dei sistemi di controllo stiamo toccando con mano la vera natura del capitale industriale, perché questa volta le banche e la finanza proprio non c’entrano. Ed ancora una volta il consumatore, il cittadino è vittima della frode.
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