“Se siete in cerca di guai siete nel posto giusto”, diceva Elvis Presley durante i concerti, e il posto giusto è stato, per qualche giorno, il Colosseo.
a.robecchiNiente belve feroci – da mo’ – ma lo spettacolo circense sì, una vera sagra di bugie e furbizie truffaldine, pardon storytelling, con annessi e connessi.
La vicenda è nota e non mi dilungherò: un’assemblea sindacale (convocata con tutti i crismi della legge), nessuno che avverte, due ore e mezzo di ritardo sull’apertura e turisti in attesa, fino al ministro Franceschini che sbotta “ora basta” e si fa saltare il tappo, e Matteo che lo segue a ruota, ribaldo e craxistico come sa essere lui quando c’è da picchiare i lavoratori. E va bene, tutto noto. Noto anche (la cosa viene fuori piano piano durante il week end) che i lavoratori in assemblea non vedevano loro soldi, legittimamente guadagnati, da più di un anno. E va bene anche questo, è così che si scatenano le guerre: tensione prima, incidente abilmente sfruttato poi, e subito partono i missili, un decreto d’urgenza in consiglio dei ministri.
Effetti collaterali. Esilarante il tweet di Flavio Briatore che ricorda al governo “più di sinistra degli ultimi trent’anni” (cfr. Renzi, febbraio del 2014) che “i dipendenti devono essere pagati”, ma va? E sul sottosegretario Barracciu che parla di “reato” e poi si corregge con “reato in senso lato” cali pure un velo pietoso.
Ma passiamo ai dettagli, dove si annida il diavolo.
Il primo, decisamente divertente: per sostenere la tesi del “danno al paese” e dei “lavoratori che non amano l’Italia”, l’attesa di due ore dei turisti fuori dal Colosseo è diventata una specie di tortura cinese. A sentire i raccontini populisti-renzisti (pardon, storytelling), era una moltitudine piagata dal sole, moribonda, afflitta, sul punto di accasciarsi. Sarà. Peccato che poi giri la pagina del giornale e trovi il grande vanto italiano: le ore di coda all’Expo, dove i turisti sotto il sole per quattro ore sono invece garruli e felici di partecipare all’evento.
Insomma, c’è coda e coda: intollerabile quella dovuta ad assemblea sindacale (vergogna! Puzzoni! Nemici dell’Italia!) e invece benedetta e trionfale quella al ristorantone sulla tangenziale (420 minuti di coda! Successo! Hurrà!). E va bene. Per non dire quando monumenti come Ponte Vecchio a Firenze furono chiusi per consentire feste private a maggior gloria del made in Italy: in quel caso i turisti in coda – perdonate il francesismo – non se li cagò nessuno.
Altro dettaglio notevolissimo, e non meno esilarante, l’impennata di provincialismo: vero testacoda. Perché la narrazione corrente dei renzisti è che bisogna smetterla di dire che qui non funziona niente, e che nel resto del mondo va tutto bene. Insomma, piantiamola di buttarci giù! E invece nel caso specifico, contrordine compagni, lo storytelling imponeva di dire che qui si trattano male i turisti con scioperi e assemblee, e nel resto del mondo no. Notevole autogol: il sottosegretario Scalfarotto, che ironizzava sui “famosissimi scioperi del Louvre”, negandoli con sarcasmo, è stato sommerso da ritagli di giornale, titoli, cronache pescate su Google.
Eh, già, dannazione, dal Louvre alla National Gallery, dalla Tour Eiffel, al museo nazionale di Edimburgo, si scopre che tutti, prima o poi, scioperano lasciando i turisti fuori (proprio ieri il parigino Musée d’Orsay), e nessun governo tuona che i lavoratori non amano la Francia, o la Gran Bretagna, o la Scozia, o… Provincialismo e tristezza. Tristezza segnalata in aumento quando si vanno a vedere gli investimenti sulla cultura: l’Italia è ultima in Europa, spende l’1,1 per cento del Pil, la metà della media europea, peggio della Grecia (1,2). E nessuno che sbotti indignato: ecco! Non amate l’Italia! Ora basta!
Alessandro Robecchi
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