Sulla crisi siriana il presidente russo Vladimir Putin sta sfruttando il vuoto lasciato dagli Stati Uniti e dai governi europei. Quel vuoto – che dura ormai da quattro anni – è lo spazio di manovra che il leader del Cremlino vuole utilizzare per dimostrare che la Russia è ancora una grande potenza, impossibile da ignorare. Ne è convinto Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, che sul Financial Times dà questa lettura dell’incontro di ieri notte tra Putin e il presidente americano Barack Obama.
Da qualche parte – esordisce Haas - Yevgeny Primakov starà sorridendo. Primakov, per i lettori che non riconoscono o non ricordano il nome, era un politico dell’ex Unione Sovietica e della Russia che coltivava stretti legami con i sovrani autoritari del Medio Oriente (in particolare Saddam Hussein) e che raramente si è lasciato sfuggire l’opportunità di lavorare contro gli interessi occidentali. I dettagli – prosegue Haas – sono cambiati, ma lo schema è familiare.Putin, interessato a distogliere l’attenzione internazionale dall’Ucraina e quella interna da un’economia che si sta contraendo, ha lanciato uno sforzo dell’ultima ora per sostenere il regime sotto scacco di Bashar al-Assad. Per farlo ha fatto arrivare soldati ed equipaggiamenti militari in Siria e lanciato una nuova offensiva diplomatica. In questo sforzo si è unito anche l’Iran e il governo diviso e mal funzionante dell’Iraq, la cui politica estera si fa a Teheran.
Il gioco di Putin - sintetizza l’editorialista del Ft – è reso possibile proprio dal vuoto lasciato dall’Occidente. La decisione del presidente Obama di non intervenire militarmente in Siria dopo il superamento della cosiddetta “linea rossa” – l’utilizzo di armi chimiche da parte del governo di Assad – ha rincuorato il regime e demoralizzato l’opposizione. Un altro errore degli Usa – prosegue Haas – è stato pensare di poter attaccare l’Isis in Siria prendendo come base l’Iraq. Un piano che non ha mai funzionato, come dimostrato dalle prestazioni fallimentari delle forze governative irachene. Il risultato è stato che l’Iraq occidentale è diventato, proprio come la Siria, un terreno fertile per i jihadisti dello Stato islamico.
Impietoso, il Ft definisce "un fiasco" anche il conseguente sforzo guidato dagli Stati Uniti di identificare, addestrare e armare un'opposizione moderata al signor Assad. L'errore dell'amministrazione Obama, secondo Haas, è a monte, poiché la rimozione di Assad non è di per sé una strategia. Da questo punto di vista, Russia e Iran non hanno tutti i torti a temere che un cambio di regime possa tradursi in un collasso di regime, spianando la strada al Califfato in tutta la Siria. Se ciò dovesse succedere, l'intera regione sarebbe a rischio e il collasso del governo siriano potrebbe portare a un genocidio, a una nuova ondata di rifugiati, o entrambe le cose. La soluzione più desiderabile - ossia che Assad venga 'convinto' a cedere il potere e l'Occidente collabori con Mosca e Teheran per la transizione - è anche, sempre secondo il presidente del Council on Foreign Relations, la meno probabile. Nel prossimo futuro, la politica più realistica per gli Usa e i governi europei è quella basata sulla collaborazione con i curdi e tribù sunnite selezionate nelle rispettive regioni.
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