Scontri con gli agenti e guerriglia urbana riportano all’attenzione
pubblica un dibattito difficile, quello sui limiti delle Forze
dell’ordine. Quali sono e perché vanno rispettati. Marco Preve, autore
di “Il partito della polizia” (Chiarelettere), descrive il sistema
trasversale che minaccia la democrazia.
micromega di Rossella Guadagnini
“Non
sono contro la polizia, ne ho solo paura”. Parola di Alfred Hitchcock. E
se lo diceva lui, riconosciuto maestro del brivido, qualcosa vorrà pur
dire. Possiamo fidarci della polizia e di quella italiana in
particolare? Vediamo come si può rispondere.
Versione A.
“Quel poliziotto è un cretino, va punito”. A parlare è il capo della
Polizia, Alessandro Pansa. Commenta l’immagine di un poliziotto in
borghese che calpesta il fianco destro di una ragazza a terra, tenuta
ferma da un altro agente insieme a un ragazzo. Deborah, 22 anni, era in
corteo con Andrea, 20 anni, che l’ha difesa facendole scudo col suo
corpo; dell’uomo che l’ha aggredita ha poi detto: “Non posso
perdonarlo”. E riferisce che avrebbe detto: “Siete gente di merda”.
Versione B.
“Azioni come quelle che portano al lancio di colli di bottiglie
spaccate contro i poliziotti, di biglie e monetine, sampietrini e
bulloni, sono molto più significative dell’eventuale errore di un
poliziotto che si fa 10-12 ore di servizio continuativo e che diventa il
capro espiatorio di una manifestazione”. Saturno Carbone, segretario
generale del Siulp di Roma difende l’agente che scambiò la manifestante
per uno zainetto.
Versione C. “E’ terribile. Gli
agenti non possono picchiare così”. Filippo Bubbico viceministro
dell’Interno con delega alla Pubblica sicurezza, commenta le immagini di
“quel poveretto a terra con la maglietta bianca” preso a manganellate
in testa e a calci. E’ un altro degli episodi clamorosi avvenuti sabato,
12 aprile, alla manifestazione romana dei Movimenti per la casa. Oltre a
quello della ragazza calpestata da un artificiere di 45 anni, che si è
presentato il lunedì seguente in questura autodenunciandosi e dicendo
che non si era reso conto. “Sono io quello del filmato”, ha affermato,
ma la sua identità rimane segreta. “La polizia deve agire diversamente –
conclude Bubbico – Non può mai essere messa in discussione l’integrità
fisica delle persone”.
Tre dichiarazioni a confronto sugli stessi
fatti, espresse da tre rappresentanti delle istituzioni. Censura e
condiscendenza; rabbia e difesa corporativa; sconcerto e meraviglia.
Sono le emozioni che hanno scosso non solo i protagonisti di questi
eventi, ma anche l’opinione pubblica stavolta in prima fila per via dei
filmati resi pubblici. Forse senza nemmeno volerlo. Ma eravamo tutti là.
Le immagini nitide ed esplicite sono passate e ripassate in tv, in
rete, sui social network. La foto shock dei due ragazzi schiacciati per
terra ha fatto il giro del mondo.
Come ci può essere una simile
divergenza nel valutare gli avvenimenti? Perché “le cose” si sono viste,
eccome. I pestaggi, la violenza, l’intimidazione, la forza, la rabbia,
la paura. E’ stato un giorno di guerriglia urbana a Roma, durante il
corteo dei 20mila, tra Movimenti per la Casa, No Tav, No Muos,
antagonisti vari, ma anche Rifondazione, Cobas e sigle dell’estrema
sinistra, che si erano dati appuntamento a Porta Pia per la prima
manifestazione contro il governo Renzi. Poi la guerra è passata
sui mezzi d’informazione. Non è andata molto diversamente il mercoledì
seguente, 16 aprile, a causa dello sgombero di un edificio occupato in
zona Montagnola, a seguito di un ordine della magistratura a cui la
polizia dava esecuzione. Anche qui aggressioni, botte, feriti. Certo
nessuno si aspettava un ‘un pranzo di gala’.
Versione D.
Ma per qualcuno la manifestazione del 12 aprile è stata un successo.
“Sì, un successo. Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Davvero
vogliamo giudicare quello che è accaduto in piazza da pochi
fotogrammi?”. A parlare stavolta è il prefetto di Roma, Giuseppe
Pecoraro, dopo gli scontri della Montagnola. “Ora basta, sono i
poliziotti le vere vittime”. La sua posizione è: un agente prende 1200
euro al mese e si trova in balia dei manifestanti, che possono essere
tali grazie alla presenza dei poliziotti, i quali sono lì a garantire
proprio il diritto a manifestare.
Intanto, il presidente della
Commissione parlamentare dei Diritti Umani, Luigi Manconi, chiede il
codice di identificazione per carabinieri e poliziotti. “Sono troppe le
illegalità commesse negli ultimi 15 anni da militari chiamati a gestire
l’ordine pubblico”. E il 17 maggio si replica: è prevista nella capitale
una manifestazione sull’acqua pubblica, a cui parteciperà anche il
Movimento per la casa. Che accadrà allora, come andrà a finire?
Versione E.
“Sto con la Polizia, stop a scontri e saccheggi o chiudo il centro di
Roma”. Punta il dito contro i protestatari violenti il ministro
dell’Interno Angelino Alfano, dichiarandosi contrario all’identificativo
per le Forze dell’ordine. A lui si uniscono rappresentanti politici del
centrodestra, i sindacati di polizia Siulp e Sap, i commercianti di
Confesercenti. “La Polizia è un corpo sano, nel momento in cui c’è uno
che sbaglia se ne occuperà chi se ne deve occupare”, precisa Alfano.
Ma
è davvero così? I nomi di Giuliani, Uva, Sandri, Cucchi, Aldrovandi e
Shalabayeva non dicono questo. Raccontano una storia diversa fatta di
sopraffazioni, e violenze ingiustificate a opera di chi è chiamato a
difenderci. Una storia di abusi coperti da falsità e bugie nel tentativo
di nascondere e proteggere i veri colpevoli. Perché giustificare,
tollerare, consentire tutto questo? Che accade alla nostra Polizia,
corpo del quale dovremmo andare fieri, il cui motto storico è “sub lege
libertas”, cioè qualcosa che suona come sotto il segno della legalità
c’è la libertà?
Indossare una divisa non significa essere
autorizzato a travestirsi da giustiziere armato. “La polizia ha sempre
funzionato come termometro della democrazia” spiega Marco Preve, autore
di un saggio appena uscito per Chiarelettere, intitolato “Il partito
della Polizia”. “Più è presente in una società, meno quella società è
libera e democratica. Nessuno Stato può fare a meno della polizia: ad
essa è affidato l’ordine pubblico, la difesa della proprietà privata,
l’incolumità delle persone. Il sacrificio di una piccola porzione di
libertà individuale vale la pena se, in cambio, tutti si sentono più
sicuri. A patto che, attraverso le istituzioni, la società sia in grado
di controllare l’operato dei poliziotti e riesca a intervenire laddove
emergano degli abusi”.
“Nessun abuso, infatti, può essere
commesso contro cittadini inermi – prosegue il giornalista – Se non è
così, i responsabili devono saltare. In Italia ciò non è avvenuto. E
continua a non avvenire, dai tempi delle torture alle Br fino alle morti
di Cucchi, Aldrovandi, Uva e molti altri: la polizia non garantisce la
sicurezza, la politica non sorveglia, la stampa non sempre denuncia, la
magistratura non sempre indaga”.
Perché questa anomalia lo
rivela Filippo Bertolami, vicequestore e sindacalista di polizia. “Negli
ultimi anni si è assistito al paradosso di un sistema capace da un lato
di coprire e premiare i colpevoli di violenze e insabbiamenti,
dall’altro di punire chi ha ‘osato’ mettersi di traverso”. Imputati.
Condannati. Premiati. A vincere è la paura. Il partito della polizia è
“troppo forte, troppe protezioni politiche a destra e a sinistra
–ricorda Preve – da Berlusconi a Prodi, da Violante a Renzi. De Gennaro,
ad esempio, è diventato presidente di Finmeccanica e i suoi
collaboratori non si toccano. Troppe onorificenze, troppe amicizie,
anche tra i media. Intanto le auto rimangono senza benzina e gli agenti
continuano ad avere stipendi da fame, mentre vengono assegnati appalti
miliardari”.
Il partito della polizia è anche il partito degli
affari. “Se non c’è una cultura del diritto in chi orienta il pensiero
collettivo – sostiene il criminologo Francesco Carrer – mi chiedo come
possa nascere in un corpo di polizia i cui vertici sono più attenti ai
desiderata dei politici che alle esigenze di chi è in prima linea”. Un
ragionamento che, volenti o nolenti, non fa una piega.
“E’
successo che i gruppi che hanno controllato e controllano i vertici del
Dipartimento della pubblica sicurezza hanno potuto permettersi o
consentire ai loro fedelissimi, comportamenti al di sopra delle regole e
delle istituzioni. E questo –riassume Preve – nonostante una ‘base’
sicuramente non collusa, in molti casi insofferente e addirittura
vittima di questa gestione”. E fissa un discrimine: tutto questo è
potuto accadere a partire dal 21 luglio 2001, la notte della macelleria
messicana della scuola Diaz.
Il principale difetto della nostra
polizia è la presunzione, secondo Carrer, che al tema ha dedicato
numerosi studi, da “La polizia nel Terzo Millennio” (Franco Angeli,
2006) a “Le patologie della legge 121” (stesso editore 2013). “Se ci
pensiamo bene sottolinea il criminologo – la presunzione spiega tutto.
Ogni paese ha la polizia che si merita e, comunque, che è stato capace
di darsi. Il che sarà democratico, ma garantisce risultati prevedibili”.
(22 aprile 2014)
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giovedì 24 aprile 2014
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