mercoledì 11 dicembre 2013

Larghe intese contro l’aborto

Negli scorsi mesi il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, aveva dato un segnale importante al Parlamento, con la discussione e l’approvazione di mozioni contro il proliferare dell’obiezione di coscienza verso l’aborto negli ospedali. Ma nella relazione di settembre del ministero aveva anche negato che l’obiezione di coscienza creasse dei problemi di accesso ai servizi negli ospedali. Circostanza smentita dalle tantissime storie di donne che trovano difficoltà nell’ottenere un’interruzione di gravidanza, nonché da diverse inchieste che evidenziano il proliferare degli obiettori tra medici e altri operatori sanitari. Ne ha scritto ieri anche L’Unità , con un’inchiesta e un articolo del professor Carlo Flamigni. 

Il quotidiano parla esplicitamente di “boicottaggio” della legge 194, snocciolando cifre e dati. Catastrofici. Per esempio, in diversi ospedali del Lazio non ci sono più ginecologi non obiettori. Ampio, di regione in regione, lo scarto tra ospedali con reparti di ostetricia e ginecologia e quelli che effettuano aborti: in media, mentre le cliniche attrezzate sono decine, quelle che consentono l’interruzione di gravidanza si contano sulle dita di una mano. Ma si ricorda anche il caso di Jesi, dove dall’anno scorso non ci sono strutture per l’ivg e si fa propaganda no-choice anche in un consultorio pubblico . Qui diverse donne, di fronte a una situazione insostenibile, si sono attivate per chiedere la piena applicazione della legge e hanno fondato il Collettivo ViaLibera194 , sostenuto anche dal circolo locale dell’Uaar 



Carlo Flamigni, ginecologo e presidente onorario Uaar, critica in particolare la posizione del ministro e accenna tra le righe ai consulenti cui deve affidarsi. Tra questi al ministero della Sanità c’è la docente di chimica Assuntina Moresi, componente delComitato nazionale per la bioetica , nonché editorialista di Avvenire e coautrice di un libro di Eugenia Roccella sull’aborto, che ha spesso espresso posizioni clericali sui temi etici. Se nei ministeri ci si affida a specialisti con questa impostazione, non è strano che poi un ministro sminuisca il problema dell’obiezione di coscienza selvaggia. 

La Laiga , associazione dei ginecologi non obiettori che già aveva messo in guardia dal rischio di svuotamento della legge 194, aveva evidenziato le criticità del quadro: in diversi ospedali l’obiezione si è ormai fatta ‘di struttura’. Tradotto, in certe cliniche è impossibile ormai ottenere un aborto. Molte donne sono costrette a recarsi in altre città e regioni, aggravando il lavoro di queste altre strutture, andare all’estero o ricorrere all’aborto clandestino. Negli ospedali strutturalmente obiettori dove l’interruzione di gravidanza non è più praticata, fa notare Flamigni, i medici non devono nemmeno appellarsi all’obiezione di coscienza, quindi il numero di obiettori è ancora più alto di quanto non emerga dalle stime ministeriali. 

Flamigni ricorda che al documento approvato a maggioranza dal Cnb nel 2012 sull’obiezione di coscienza, caratterizzato da un’impostazione retriva, è stato integrato un suo dettagliato parere contrario. E cita l’ultimo libro del filosofo Carlo Augusto Viano, La scintilla di Caino , in cui si evidenzia come l’obiezione di coscienza — un tempo strumento per sottrarsi a una imposizione — sia ora diventata “un modo per imporre agli altri le proprie scelte impedendo il godimento di un diritto sancito dalla legge”. 

Sostiene inoltre che i dati italiani sull’aborto siano anomali. Chiede al ministro se non sia strano che il tasso di abortività delle ragazze italiane sia sensibilmente più basso rispetto alle coetanee di Gran Bretagna e Spagna e in linea con quello di Germania e Svizzera. Ovvero paesi dove esiste un’educazione sessuale e le adolescenti sono più consapevoli nella prevenzione di gravidanze e nell’uso di contraccettivi: tutte cose che in Italia non accadono. Secondo Flamigni, se da noi non si fa educazione sessuale e non funzionano i consultori, le ragazze molto più semplicemente si rivolgono a internet anche per avere pillole abortive, con tutti i rischi che ne conseguono. Invita quindi il ministro a indagare sugli aborti registrati come ‘spontanei’, che dopo che le ragazze si sono affidate al fai da tenecessitano di interventi successivi come il raschiamento. 

Anche tra le donne di origine straniera sono diffuse pratiche abortive tramite prodotti prescritti per altri usi dai medici, o in cliniche clandestine. Un’indagine più seria e approfondita su questi fenomeni sommersi, suggerisce, permetterebbe probabilmente di rispondere al perché gli aborti in Italia secondo le stime diminuiscono, in un paese dove dovrebbe accadere il contrario. 

Ci chiediamo, in questo clima di “larghe intese” se la convergenza in senso clericale continuerà anche su temi come l’aborto. E se il primo ministro Enrico Letta, sostenuto in maniera determinante proprio da esponenti del nuovo centrodestra come Lorenzin e Roccella, voglia avallare questa linea intransigente pur di salvare un esecutivo traballante. Il Paese ha bisogno, su questioni come aborto e contraccezione, di scelte governative più aperte e lungimiranti, senza farsi dettare l’agenda dalle posizioni più integraliste che prendono piede contro i diritti di autodeterminazione delle donne.

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