Me lo ricordo bene Cesare de Michelis in campo della Lana a Venezia, mentre mi mette a parte della sua “mattana”, quella che a Francoforte l’aveva spinto a aggiudicarsi, spericolatamente ma orgogliosamente, la trilogia di Millenium.
il Simplicissimus Anna Lombroso
i tre romanzi nerissimi dello scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson che in Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava col fuoco e La Regina dei castelli di carta fa collaborare la sua creatura Mikael Blomkvist, con Lisbeth Salander, una giovane ed eccentrica ricercatrice esperta di pirateria informatica. I tre romanzi dovevano essere i primi di una lunga serie di almeno dieci, ma la morte improvvisa dell’autore ha interrotto il suo sogno.
Il sogno invece pare prosegua senza danni per la produzione della più eclettica delle nostre patacche nostrane, Veltroni, il pensatore del ma anche che in nome della sua filosofia di vita se promette un esilio militante, resta in patria per salvarne a modo suo crescita e sviluppo, ma anche che scrive gialli più modestamente e domesticamente ambientati a Roma, gira film, concede interviste per dettare la “linea”, con un discreto successo attribuibile alla suo caratteristica fondamentale, un gran culo, una fortuna ineguagliabile che lo fa uscire praticamente indenne da comportamenti inopportuni (fece chiudere via dei Fori Imperiali per consentire alla sua figlioletta di passeggiarci romanticamente con la star hollywoodiana), ridicole auto attribuzioni (l’americanista de noantri non conosce l’inglese), la rivendicazione di una funzione pedagogica e educativa(è noto che è riuscito per il rotto della cuffia a conquistarsi il diploma di istruzione secondaria superiore rilasciato dall’Istituto statale di Cine-Tv Rossellini), un talento per il recupero e la valorizzazione di miti e icone pop, da Giovannone Coscialunga a bombolo, garantendogli l’esito cui tiene di più, la visibilità, l’appagamento narcisistico dell’essere riconosciuto, interpellato, premiato dalla gente che piace, leccato fino allo sfinimento dai Fazio.
Non poteva sottrarsi all’obbligo morale e culturale di prodursi nel Millenium nostrano, completando la trilogia per una Marsilio ormai retrocessa alle strenne tra Vespa e Bourla, dopo “Assassinio a Villa Borghese”, dopo “Buonvino e il caso del bambino scomparso” con una “nuova indagine per il commissario romano, forse la più intima e dolorosa” con “c’è un cadavere al Bioparco”.
Le recensioni benevole del suo film, “Quando” oggi nelle sale (dove un film non si limita ad essere guardato ma vissuto in prima persona con l’esperienza di un biglietto strappato, una sala piena ed emozioni condivise) ricordano che il “crimine non dorme mai”.
Proprio vero e riguarda anche, solo apparentemente, quelli meno sanguinosi e cruenti, i tradimenti, le abiure, le infedeltà. Quei misfatti dei quali il regista di “Quando”- nulla ci viene risparmiato!- sempre lui, è l’incarnazione creativa proprio nel suo film, storia di un uomo che si risveglia in un mondo nuovo, e passa da avere 18 anni ai funerali di Berlinguer, ad averne 50 al fianco di suor Giulia, in mezzo a sentimenti persi “ma anche tanta curiosità per quello che verrà”.
Lui quello che verrà non lo teme, vezzeggiato dalla sorte e blandito
da una buona stella: l’orfano più compianto d’Italia, oggetto di una
tale compassione da prendere per buona la favoletta di un padre
antifascista all’Eiar, passato agevolmente e tempestivamente da
praticante neghittoso a direttore dell’Unità, fondatore di un partito
del quale liquida tradizione e mandato facendo sapere il giorno prima
dell’evento fondativo, grazie a una tempestiva intervista concessa a un
quotidiano spagnolo, che il suo movimento liquido è uscito dalla
sinistra riformista per approdare a un contesto catto-borghese,
illuminato dalle fiaccole del neoliberismo che ha contribuito ad
accendere e mantenere vive.
Non conosce autocritica, e perché poi
dovrebbe? Quando vive una condizione di eterno giovinetto cui guardare
con la pietas che si deve all’orfano e con il compiacimento che si deve a
un eterno ragazzo talentuoso che promette promette ma del quale è
giusto non richiedere i risultati. E infatti non sa proprio riconoscere
la responsabilità privata e collettiva, come il protagonista del suo
film non conosce e non è tenuto a conoscere il mondo di oggi dalle
monetine contro Craxi, al crollo del muro di Berlino, dalla strage di
Capaci, al crollo delle Torri Gemelle, dal surriscaldamento globale, ai
naufragi dei migranti, dei quali il promotore dei repulisti romani ai
campi rom dovrebbe sentirsi partecipe.
È che il passato è bello,
ispira, risveglia una vena creativa. L’importante è che non imponga di
assumere oneri, di fare i conti con se stessi. Come naturale prosieguo
della sua carriera, nel corso della quale per una volta è stato al
fianco dell’antagonista di sempre in occasione della campagna di
esportazione della loro democrazia nell’ex Jugoslavia, ancora una volta è
dalla parte del più forte, a fianco del più prepotente, armato fino ai
denti capaci di masticare tutto nell’eterno ruminare della crudele
avidità e della iniqua smania di influenza e di potere.
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