venerdì 28 aprile 2023

Anna Lombroso. Italiani come merce da turismo.

Ci avevano già provato molti anni fa, quando linguisti, filologi, italianisti si mobilitarono pronti a difendere insieme alla razza superiore anche il sacro idioma patrio minacciato da indegni esotismi. 

(Anna Lombroso per il Simplicissimus)

Così la garçonnière divenne ragazzeria e perfino l’innocente ano venne sottoposto a restrizioni, preferendogli il più domestico culo tanto che circolava una freddura (anche allora l’opposizione di esercitava a colpi di barzellette) secondo la quale la delegazione degli ambasciatori turchi era stata ricevuta dal gran ciambelculo in persona. Oggi l’interprete della guerra ai forestierismi che compromettono la purezza della nostra lingua è solo e isolato, anche se da parte mia sono pronta a allearmi con chi si batte contro gli abusi dello slang imperiale. Il senatore Fabio Rampelli, che per ora limiterebbe l’impegno per la messa al bando dell’inappropriato esotismo alla comunicazione della pubblica Amministrazione, è invece solo.

E non c’è da stupirsene. basta guardare all’ultima prodezza pensata e realizzata per propagandare il paese in veste di meta, location, sfondo di selfie, quella Open to meraviglia, promossa dalla ministra Santanchè che rivendica lo spirito pop dell’iniziativa che non può non piacere a che va in gita col parroco e compra pure le pentole in offerta, a chi preferisce pizza e tavernello al posto del Krug millesimato di Briatore, a che si riconosce nell’entusiasmo per le prodezze della influencer più fotogrammata, rievocata abilmente dalla manomessa venere botticelliana che gira per la penisola a immortalarsi su laghi, fiumi e monti. 

Che scandalo per il messaggio così rozzo e pedestre che il ricorso all’idioma ormai universale non riscatta, per il costo (in realtà di gran lunga inferiore a quello delle precedenti iniziative, dal “Please visit Italy” di Rutelli al Very bello (o very disaster?) di Franceschini, costato oltre 25 milioni di euro e poi chiuso nel vergognoso silenzio vergognoso dei governi e degli operatori del settore. 

Che scandalo: i contenuti iconografici sono stati realizzati in Slovenia, con tanto di foto del vinelli locali allestiti sulla tavola. 

Che scandalo, il Foglio lamenta il messaggio così kitsch, privo di “patriottismo” e alla lunga controproducente in un paese dove “di turisti ce ne sono pure troppi e aizzare gli arrivi rischia solo di peggiorare una situazione già complicata”, indirizzandolo verso le mete tradizionali già assediate e compromesse. 

Che scandalo promuovere il consumo brutale del territorio, gli abusi dei frequentatori per caso, invece di valorizzare i piccoli centri ognuno dei quali vanta un suo tesoro di arte, memoria, storia. 

Che scandalo, il ministero si è affidato a degli incompetenti che non hanno pensato di registrare il sito, beffato da un imprenditore del Mugello che se lo è aggiudicato per meno di 5 euro. Che scandalo! 

È che lo scandalo è ben altro che con una sapiente strategia di distrazione viene nascosto. Ormai viene consolidata la vocazione perversa del Paese: diventare uno sfondo, uno scenario, una destinazione, un punto d’arrivo, nel quale i residenti costretti all’esodo dai centri abitanti si muovono come mesti figuranti in veste di facchini, autisti, locandieri, camerieri. Ormai è banale dire che viviamo nell’età del turismo, considerato un diritto anche se contiene- solo apparentemente – elementi di pericolo pensando alle 62 persone uccise dai terroristi presso il tempio funerario di Hatshetput a Luxor, o le 202 ammazzate a Bali in Indonesia. Pare siano i rischi del mestiere di viaggiatore goloso di emozioni forti, che rendono imprudenti, espongono a minacce, facendo dimenticare quella più fatale, l’esproprio della propria identità, della propria memoria, del proprio territorio fatto di tradizioni, relazioni, ridotto a merce da spacciare. Tanto che le città già svuotate dei residenti, delle attività artigianali e commerciali, sono cadute preda della cosiddetta gentrificazione digitale, quella di airbnb, che vive beatamente grazie ai pellegrini con il trolley, a una economia di transito, facendo scomparire la dimensione della comunità, del vicinato, per far posto a un capitalismo immobiliare e della rendita.

E non si accontentano di svuotare le case dei ricordi, divellono le azulejos portoghesi, le patere veneziane dai muri, scardinano le vere da pozzo per trasferirle in Texas a fianco della piscina del petroliere, in modo che non resti traccia né impronta di quello che è stato. Aggiungeteci l’industria del souvenir, cartoline, guide turistiche, mappe e app, governate da una galassia di istituzioni e società, agenzie di viaggio, catene alberghiere, imprese di advertising, interi dipartimenti statali e locali, servizi bancari incaricati di facilitare il finanziamento delle vacanze, catene immobiliari, nel contesto di quello che è stato chiamato “l’apparato produttivo turistico”, che non a caso costituisce anche l’industria più inquinante e a più alta pressione sull’ambiente, se il puro e semplice trasporto aereo dedicato produce il 6% dell’anidride carbonica globale emessa dall’umanità, poco meno dei trasferimenti dei Grandi di Davos. O pensando al turismo invernale autopromosso da eventi e iniziative sportive che deve dotarsi di infrastrutture a elevatissimo impatto, come sta succedendo a Milano, Cortina, proprio oggi. Che crimini stiano organizzando è facile intuirlo pensando a quel perverso laboratorio rappresentato dal progetto riguardante la valorizzazione del territorio colpito al cuore dal sisma del Centro Italia, che dovrebbe diventare la meta del turismo “sacro”, se i finanziamenti pubblici sono stati destinati al restauro e alla ricostruzione di edifici di culto e opere di carattere religioso, mentre è stati affidato ai pochi rimasti, tenaci e attaccati alla loro terra, alle proprie attività tradizionali, alle stalle, alle piccole aziende dell’agroalimentare, l’incarico di tutelarle, rilanciarle sanarle coi propri risparmi, proprio come le loro case sventrate, con ancora a tanta distanza di tempo, ferite dalla catastrofe. Era quella la loro vocazione, ma intanto sono cannibalizzati dalle grandi catene della distribuzione e dai norcini del regime, qualsiasi esso sia, con segnato il destino di prestarsi a fare gli inserviienti, i locandieri, i camerieri con la benedizione dei santi locali. 

Nel 1849 Ruskin scrisse che la ferrovia trasformava “l’uomo da viaggiatore in pacco vivente”. Oggi va peggio di così, ha convertito l’uomo e il suo spazio in merce, in prodotti esposti sugli scaffali dell’emporio globale, souvenir impolverati e dimenticati.

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