mercoledì 26 aprile 2023

Rapporto UBS: l’inflazione è causata dagli extraprofitti delle aziende

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L’inflazione, che ha colpito soprattutto i Paesi occidentali a partire dalla pandemia del 2020 per inasprirsi con l’inizio del conflitto in Ucraina, dipende solo in minima parte dall’aumento delle materie prime e dei costi del lavoro: la causa prevalente dell’aumento dei prezzi dei beni di consumo è da imputare, invece, all’espansione dei margini di profitto delle imprese. È quanto sostiene Paul Donovan, capoeconomista della società di gestione patrimoniali della banca svizzera UBS. Secondo l’analista del gruppo elvetico, «il fenomeno non è causato da uno squilibrio tra domanda e offerta ma dal fatto che alcune aziende raccontano una storia che convince i clienti che gli aumenti dei prezzi sono giusti, quando in realtà nascondono l’espansione del margine di profitto». Al riguardo, in passato, l’ex consulente economico della Casa Bianca, Robert Reich, aveva esplicitamente parlato di un’«inflazione dei prezzi da profitto», per cui le società, sfruttando il contesto geopolitico e altre congiunture esogene, spingono i prezzi verso l’alto per ottenere maggiori guadagni. L’incremento dei costi finali, infatti, sarebbe ben superiore a quello dei costi del lavoro permettendo ai ricavi di aumentare a dismisura a scapito dei consumatori, ai quali non viene concesso l’aumento di stipendio per non acuire ulteriormente la spirale inflazionistica che però dipende da dinamiche esclusivamente speculative. Donovan ha proposto la sua soluzione a tutto questo: boicottare i prodotti di queste aziende.

Nonostante la stessa Banca Centrale Europea (BCE) abbia riconosciuto, in una riunione tenutasi in Finlandia a marzo, che l’aumento dei prezzi sia da imputare prevalentemente ai profitti delle imprese, l’istituto di credito ha proseguito con la sua politica monetaria restrittiva di aumento dei tassi d’interesse per far calare l’inflazione: nel giro di pochi mesi, infatti, l’istituto ha portato i tassi al 3,5%, rendendo più difficile per i cittadini accedere a mutui e prestiti e indebolendo la domanda. Una soluzione che Donovan ha definito «un approccio rozzo e inutilmente distruttivo». A fronte di un aumento dei profitti, che nel quarto trimestre del 2022 sono aumentati del 9,4% annuo secondo uno studio della BCE, i costi del lavoro sono aumentati solo del 4,7%. Tuttavia, l’istituto di Francoforte, invece di lavorare per vietare le speculazioni da parte delle imprese, lavora per tenere bassi i salari – di modo da non generare una nuova ondata inflazionistica – e aumentando i tassi. Rispetto all’inflazione, i salari sono cresciuti molto più lentamente, con una perdita del potere d’acquisto degli stipendi del 5% circa rispetto al 2021. Nonostante ciò, diversi esponenti della BCE tra cui Ignazio Visco – governatore della Banca d’Italia – sono contrari all’aumento dei salari.

La causa reale dell’inflazione – gli extraprofitti delle imprese – non viene denunciata dalle istituzioni, anche perché «la BCE farebbe fatica a giustificare la sua politica monetaria in un quadro in cui l’inflazione dipende soprattutto dai listini delle imprese», ha spiegato sempre Donovan. Basti pensare che, secondo i dati di Refinitiv, nel 2022, le aziende di beni di consumo della zona euro hanno aumentato i margini operativi in media del 10,7%: le grandi imprese monitorate sono state 106 inclusi gruppi come Stellantis e aziende di beni di lusso come Hermes. Secondo le conclusioni della BCE, che però non commenta la questione, sono loro ad aver spinto in alto i prezzi dando luogo all’inflazione. In America, dove l’inflazione si attesta al 6,4%, a sollevare la questione delle speculazioni aziendali è stata la senatrice democratica Elizabeth Warren che su Twitter ha scritto: «Un’analisi di Economic Policy ha rilevato che l’impennata di margini di profitto a partire dalla pandemia spiega circa il 40% dell’aumento dei prezzi dalla metà del 2020. Significato? Mentre gli americani erano alle prese con prezzi elevati, le grandi società stavano aumentando i loro profitti. Oltraggioso».

Ma il capoeconomista di UBS, Donovan, ha la soluzione per porre fine all’aumento illegittimo dei profitti delle imprese: boicottare i loro prodotti. Si tratta della possibilità di «convincere i consumatori a non accettare passivamente gli aumenti di prezzo. […] I social media potrebbero avere un ruolo in questo processo», ha asserito l’economista. A tal fine però, bisogna che i consumatori smettano di credere che i rincari siano giusti a causa della narrazione che li imputa all’aumento dei costi agricoli, ai cambiamenti climatici e ad altri fattori. Al contrario, se i consumatori capiscono che l’aumento dei prezzi non è giustificato «smetteranno di acquistare il prodotto ritardando l’acquisto o passando a fornitori alternativi. Se i consumatori sono arrabbiati, è probabile che i politici se ne accorgano». In tutto ciò è fondamentale il ruolo dei social media per coordinare le azioni dei consumatori.

In Europa, hanno cominciato a sollevare la questione degli extraprofitti Mario Centeno, governatore della banca centrale portoghese, e l’italiano Fabio Panetta, membro del board BCE. Panetta ha fatto notare come, a fronte degli svantaggi per i lavoratori e la classe media derivanti dal carovita, i margini aziendali in alcuni settori sono aumentati. Tuttavia, pare che la BCE non sia intenzionata a prendere atto del problema, ponendo fine alle politiche restrittive, ma preferisca proseguire sulla via del rialzo dei tassi, dando manforte – indirettamente – al business delle grandi aziende.

[di Giorgia Audiello]

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