sabato 29 aprile 2023

Il problema democratico: tre tentativi di colpo di Stato per arginare il partito comunista e socialista nella seconda metà del novecento italiano

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di Francesca Bagaglia

Nella primavera – estate del 1964 veniva concepito il Piano Solo, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 partiva e in poche ore veniva revocato il colpo di Stato Borghese, il 15 agosto del 1974 era il giorno previsto per il golpe Bianco.

Il filo rosso che accomuna questi tre tentativi di colpo di Stato è l’obiettivo di impedire ai partiti della sinistra italiana di entrare nella coalizione di governo al fianco della Democrazia Cristiana, filo atlantista e garante dell’equilibrio, per la nostra posizione nel Mediterraneo e alle porte dell’oriente, delle forze americane durante la guerra fredda.

Molte informazioni riguardo a questi tre tentativi eversivi, ci sono giunte postume tramite vicende giudiziarie avviate a più riprese e attraverso le dichiarazioni di “illustri” rilasciate in altre vicende giudiziarie parallele o ad alcune Commissioni parlamentari d’inchiesta.

Infatti, in queste vicende, ciò che manca o che è rimasto nell’alveo del dubbio storico, è l’individuazione dei mandanti. Accanto ai diretti protagonisti, compaiono i nomi di Licio Gelli, di Giulio Andreotti, Tommaso Buscetta, figure di spicco dei servizi segreti, alleanze con la NATO e con i programmi eversivi “segreti all’epoca” come Stay Behind e Gladio. Molte informazioni sono giunte a noi postume, ma andiamo con ordine cronologico.

Nel ’62 si forma il primo Governo di alleanza tra la DC di Fanfani con l’appoggio del partito socialista. La formazione di governo dura poco e nel ’63 è Aldo Moro a proseguire sull’apertura a sinistra della DC. Iniziano i piani per il colpo di Stato del quale apprenderemo le trame, non tutte, solo molto più tardi. Il Presidente Segni, dopo la crisi del Governo Moro del ’64, convoca il Generale De Lorenzo, allora a capo del SIFAR – Servizi Segreti delle Forze Armate – per poi affidare il nuovo incarico di formazione del Governo.

Il Generale De Lorenzo è colui che poi sarà individuato quale vertice esecutore del Piano Solo. Il piano prevedeva due fasi: nella prima fase uomini appartenenti all’Arma dei Carabinieri avrebbero dovuto occupare i palazzi strategici, tra cui le Procure ad esempio, la sede del Partito Socialista a Roma, la sede RAI.

Nella seconda fase del piano, secondo le ricostruzioni storiche, De Lorenzo che negli anni precedenti aveva costruito una rete di dossieraggio, progettava l’arresto di circa 732 enucleandi considerati pericolosi ed eversivi e, per lo più appartenenti al mondo dei partiti di sinistra, dei sindacati, della cultura. Tra queste diverse migliaia di dossier c’era anche quello che riguardava lo stesso Aldo Moro. Una volta in mano alle forze dell’arma i settecento “pericolosi eversivi” sarebbero stati trasportati nella sede del centro addestramento guastatori di Capo Marrargiu nei pressi di Alghero. Tale centro di addestramento verrà poi ufficialmente riconosciuto quale strumento militare del piano Stay Behind e Gladio.

Solo nell’autunno del 1964, gli Italiani appresero dalla stampa del Piano mai portato a compimento e previsto tra giugno e luglio dello stesso anno.

Tornò ad essere chiara la frase di Pietro Nenni “sentivamo un tintinnare di sciabole” e si ipotizzò il medesimo timore alla base delle dimissioni di Aldo Moro.

La notizia scossa violentemente la penisola e venne costituita una Commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Alessi con l’obiettivo di smascherare eventuali complicità e intrecci politici deviati facendo finalmente chiarezza sulle dinamiche del ’64.

Il futuro primo presidente della regione Sicilia, Alessi escluse però, la reale possibilità di colpo di stato. Dal 1967 in poi però, l’opinione pubblica iniziò familiarizzare con i termini quali eversione, colpo di stato, intentona – colpo di stato non attuato con funzione di avvertimento. Occorre ricordare che la volontà di fare giustizia e di mettere in luce i fatti del 64, fu continuamente ostacolata dai frequenti depistaggi che influenzarono la dialettica politica e portarono in oltre alla nascita di diverse teorie del complotto sulla questione.

Ciò che è certo, è che i dossier del SIFAR che sarebbero dovuti essere distrutti dopo le vicende giudiziarie dalle quali De Lorenzo uscì con condanne lievi e amnistiate, furono ritrovati per buona buona parte a casa di Licio Gelli dievrsi anni dopo.

Il Golpe Borghese scattò tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. A pochissime ore dall’avvio del piano, una telefonata richiamò le frange dell’esercito, dei forestali, dei gruppi di Avanguardia Nazionale, dall’obiettivo di ribaltare lo Stato, instaurare un governo possibilmente militare che avrebbe dovuto impedire l’avanzata delle sinistre che fossero socialiste o, ancora peggio, che fossero comuniste. Anche questo golpe mai avvenuto, fu capitanato dal principe Junio Valerio Borghese che si era distinto alla guida della X flottiglia MAS durante il secondo conflitto mondiale.

Valerio Borghese aveva poi intrapreso la sua lotta politica tra le file del Movimento sociale italiano, del quale fu presidente onorario nel 1951. La parabola di Borghese terminò in Spagna dove si rifugiò a seguito di un ordine di cattura per il golpe tentato e dove morì nel 1971.

Sono gli Stati Uniti e Washington in particolare, a sapere molto su quanto avvenne in quegli anni e in quella notte.

Noi oggi sappiamo che gli Stati Uniti, tramite il Segretario di Stato Kissinger, erano assolutamente a conoscenza del tentativo di golpe di Borghese e, non solo ne erano a conoscenza, ma probabilmente avevano dato anche il loro benestare. Avevano però messo delle condizioni molto rigide al loro appoggio al piano. Innanzitutto ci sarebbe dovuto essere il minimo spargimento di sangue possibile per evitare una contro risposta da parte della fazione comunista che avrebbe potuto produrre un ulteriore scontro con l’Unione Sovietica. Poi se pure il conseguente governo instaurato avesse dovuto avere carattere militare, a capo di questo governo ci sarebbe dovuto essere un politico civile, probabilmente un politico della democrazia cristiana: uscirà poi, da più fonti, il nome di Giulio Andreotti. L’altra condizione di Kissinger, riguardava la durata limitata a un anno del nuovo governo e questo avrebbe dovuto traghettare il Paese a nuove elezioni dalle quali sarebbero dovuti essere esclusi i partiti della sinistra e la Dc ne sarebbe dovuta uscire trionfante. Insomma, gli Stati Uniti non volevano che in Europa s’instaurasse una coalizione di centrosinistra o, ancor peggio si instaurassero governi come quelli che progressivamente prendevano corpo in Sudamerica.

Il golpe Borghese fu appoggiato anche da industriali italiani, anche di primo piano. Dai successivi processi emerse infatti, che qualcuno lo aveva appoggiato politicamente in cambio di appoggi politici e dell’accreditamento utile con la piazza americana, altri aiutarono direttamente il piano eversivo finanziando i congiurati. Così nella notte tra dell’8 dicembre, i vari reparti, ognuno separatamente, si attivarono e le forze di Avanguardia Nazionale entrarono nel palazzo del Ministero dell’Interno impossessandosi di circa 200 armi da fuoco utili ad occupare quello e altri palazzi romani, inclusa la sede RAI dalla quale Junio Valerio Borghese avrebbe dato il suo messaggio – già pronto – alla nazione. I forestali si diressero verso la RAI a Sesto San Giovanni, un gruppo dell’esercito guidato dal Colonnello Amos Spiazzi si diresse verso quella che all’epoca era conosciuta come la Stalingrado d’Italia e che, per l’alta concentrazione di industrie, era considerata una dei nuclei più rossi della Lombardia con l’obiettivo di assoggettarla – congiuntamente a frange di esercito e di artiglieria. Arrivò quindi l’ordine di annullamento dell’operazione attraverso la famosa telefonata di Borghese e, solo tre mesi dopo, fu prima lo Stato e poi la stampa, a darne notizia. Si avvia subito un processo, ma essendo poche le prove della cospirazione, viene chiamato al banco Vito Miceli, allora vertice dei servizi segreti (SID), che riferì di non aver avuto alcuna informazione a riguardo. Le dichiarazioni di Miceli apparvero in tutta la loro gravità un anno dopo. Infatti, nel 1974, giunse un fascicolo alla Procura di Roma, inviato da Giulio Andreotti – allora Ministro della Difesa – che raccontava per filo e per segno non solo tutto quello che era avvenuto durante il golpe del 1970 ma anche chi fossero i collegamenti e gli appoggi dei golpisti. Autori del fascicolo erano stati il numero due del SID, Gianadelio Maletti e Antonio La Bruna, il quale aveva scoperto che, tra i diversi incontri che Borghese aveva fatto tra le varie personalità dell’esercito con cui era entrato in contatto e che gli avevano dato appoggio, c’era niente di meno che il suo capo, ovvero lo stesso Vito Miceli. Tra i gruppi di appoggio individuati c’era la Loggia P2 e negli anni ’80, emersero anche gruppi di appoggio di stampo mafioso che facevano capo a Tommaso Buscetta. Borgese aveva chiesto l’appoggio di questi ultimi per il controllo della Sicilia e del sud Italia, in cambio aveva promesso la revisione di alcuni processi e una certa libertà di azione nei loro territori che sarebbero stati in parte abbandonati dallo Stato.

Il golpe bianco segna il 15 agosto del 1974. Un colpo di Stato, pare rimasto sola ideazione e pianificato da Edgardo Sogno, ex esponente del PLI, e da Randolfo Pacciardi del partito repubblicano – PRI.

Anche questa volta, lo scopo era quello di impedire l’ascesa del Partito Comunista e dei gruppi a questo vicini. Gli Stati Uniti sempre presenti e pronti a sostenere il clima di tensione sociale e politica per impedire ogni vicinanza all’Unione Sovietica, partecipano senza soluzione di continuità, alle vicende politiche italiane con modalità non sempre manifeste e spesso occultate nelle trame dei servizi segreti o nel ruolo di regia occulta pronta a suggerire uomini di fiducia in posizioni strategiche. Anche culturalmente gli Stati Uniti riescono a dirigere gli umori e le posizioni di una porzione strategica della popolazione. Sogno, che negli anni cinquanta aveva ricoperto incarichi diplomatici a Parigi, Buenos Aires, Washington e Rangoon, rientrò in Italia e, preoccupato dalla “pericolosa” ascesa del Partito Comunista, fondò a Milano i Comitati di Resistenza Democratica. Qui ritrova ex compagni ed amici, tra questi Randolfo Pacciardi. I Comitati sono molto attivi e organizzano incontri pubblici e privati con diverse personalità di spicco che condividevano idee anticomuniste e antifasciste. L’obiettivo era quello di giungere a una svolta presidenzialista – come nella Francia di De Gaulle, tra i suoi sostenitori c’erano il generale Giovanni Battista Palumbo, comandante della divisione dell’Arma di Pastrengo e altre cariche dei Carabinieri, altre importanti personalità della magistratura e importanti esponenti della corrente “gollista” della Democrazia Cristiana.

Tutto sarebbe dovuto partire ma non andò così e, nell’agosto del 1974, Luciano Violante – all’epoca giudice istruttore di Torino – emise un ordine di perquisizione dell’abitazione di Sogno e lo incriminò per cospirazione politica. L’arresto di Edgardo Sogno avvenne due anni più tardi, rimase in carcere per poche settimane e nel 1978 giunse il definitivo proscioglimento da tutte le accuse per la non sussistenza del fatto.

Rimangono le parole di Sogno che così descrive quegli anni: “Negli anni ’70 c’erano persone pronte a sparare contro chi avesse deciso di governare con i comunisti… Oggi la Dc si guarda bene dal dire queste cose perché ha paura. Ma noi prendemmo l’impegno di sparare contro coloro che avessero fatto il governo con i comunisti. Nei partiti di governo allora c’erano anche dei vigliacchi, dei traditori, pronti a governare con i comunisti…”.

Il suo progetto è sempre stato sminuito nella sua portata reale anche dagli storiografi contemporanei, ma che il tentativo di golpe ci sia stato lo dicono le carte e lo racconta lo stesso Sogno qualche anno dopo al magistrato, nell’estratto del processo per la strage dell’Italicus. Molti anni dopo, sempre Sogno dichiarò che era pronta anche la lista dei ministri del governo del dopo-Golpe e l’amico Pacciardi sarebbe stato il Presidente del Consiglio.

 

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