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di Enrico Tomaselli
Arriva o non arriva? La più mediatica delle controffensive dei tempi moderni, più volte annunciata, non ha ancora preso corpo, ma la finestra temporale entro cui può iniziare si restringe di giorno in giorno. Per l’Ucraina è un vero e proprio all-in, perché se dovesse fallire non ci sarà la possibilità di lanciarne un’altra. E per avere successo, non sono pochi gli elementi che si devono mettere in asse, nel giusto modo.
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Quel che serve agli ucraini
Sono ormai mesi che si parla della controffensiva ucraina e, come sempre in questi casi, più se ne parla più crescono le aspettative – soprattutto occidentali. Da un lato, ovviamente, le leadership atlantiche vorrebbero vedere almeno un successo tattico, che consentisse di dare un senso all’enorme invio di armi e denaro con cui è stata sommersa l’Ucraina negli ultimi 14 mesi, oltre che dare agio alle forze armate ucraine di riprendere fiato, così da poter prolungare ancora la guerra. Dall’altro, le opinioni pubbliche (soprattutto europee) che sperano in una rapida conclusione del conflitto, non osando tifare per Mosca, si crogiolano almeno nell’illusione di una vittoria di Kiev.
Ma dietro il massiccio schermo propagandistico, ormai si intravede sempre più lo scetticismo realista di molti analisti ed esperti di cose militari. Per dirla con le parole di Franz-Stefan Gady, analista dell’International Institute for Strategic Studies, “gli ucraini potrebbero ottenere un successo tattico (…) innescando una disfatta nella fase iniziale della controffensiva. Se questo sarà sufficiente per l’Ucraina per ottenere guadagni strategici a lungo termine – figuriamoci vincere la guerra – è tutta un’altra questione.” (1)
Stante l’impossibilità di sfruttare il fattore sorpresa, visto che sia la linea di contatto che le retrovie sono costantemente monitorate dall’aria, sia a livello strategico che tattico, la questione fondamentale per lo stato maggiore ucraino non è tanto la localizzazione dell’accumulo di forze necessario per l’offensiva, quanto piuttosto il dove ed il come ottenere quella superiorità tattica, senza la quale si trasformerebbe automaticamente in un disastro. Superiorità che deve essere conseguita – sia pure localmente e temporaneamente – su più livelli. Innanzitutto, deve poter concentrare un numero sufficiente di uomini e mezzi tale da soverchiare le forze avverse nel settore identificato come obiettivo. Normalmente, si dà per scontato che chi attacca subisca maggiori perdite rispetto a chi si difende, ma in questo conflitto – e per una serie di fattori diversi – accade costantemente il contrario: anche quando sono attestati in difesa, le forze ucraine subiscono perdite molto più rilevanti di quelle russe (2). Ne consegue che, trovandosi nella condizione di dover attaccare e di dover sfondare in tempi brevi, devono necessariamente mettere in campo forze che siano in un rapporto di almeno 4:1 rispetto ai difensori russi.
Ovviamente, la mera superiorità numerica non è di per sé garanzia di successo. Soprattutto nella primissima fase dell’attacco, è necessario disporre di un’adeguata capacità di colpire le linee nemiche, sia con l’artiglieria che dall’aria. Sappiamo che da mesi l’Ucraina ha difficoltà a reggere il ritmo di fuoco per una crescente carenza di munizionamento per l’artiglieria; quello di standard sovietico, che costituisce comunque la gran parte della dotazione dell’esercito, è stato largamente consumato durante il primo anno di guerra (e durante gli otto anni di guerra tiepida contro il Donbass che l’hanno preceduto…), e la possibilità di reperirne all’estero si è quasi del tutto esaurita. Ugualmente, le munizioni su standard NATO sono ugualmente in esaurimento ed i paesi dell’Alleanza sono in difficoltà nel produrne a sufficienza, sia per alimentare il conflitto che per ricostituire le dotazioni dei vari eserciti nazionali.
Sicuramente gli ucraini hanno provveduto a stoccare dei quantitativi proprio in previsione della controffensiva, ma è comunque improbabile che siano in quantità tale da assicurare un vantaggio decisivo (anche considerato che, mediamente, i russi sparano 8/10 volte il numero di colpi sparato dagli ucraini); se l’attacco non ha successo rapidamente, le forze di Kiev rischiano di trovarsi con una copertura insufficiente.
Ugualmente, non potendo disporre di una superiorità nell’aria, devono quanto meno organizzare una efficiente rete di difesa aerea a protezione delle immediate retrovie dove – appunto – saranno schierate l’artiglieria e le riserve. A questo servono i sistemi Patriot, appena consegnati dagli USA, ed il SAMP-T regalato dall’Italia, così come gli Iris-T tedeschi. Per inciso, le autorità locali di Donetsk hanno recentemente segnalato che gli ucraini stanno appunto concentrando ai confini dell’oblast numerosi sistemi di difesa aerea.
Sul piano dei mezzi – carri armati MBT, corazzati da combattimento e per il trasporto truppe – ad essere in ballo non è tanto una questione di superiorità delle tipologie di mezzi rispetto a quelli russi, quanto di massa critica: devono essere concentrati in quantità tale da assicurare un’ampia superiorità numerica nel settore d’attacco, tale da consentire non soltanto lo sfondamento delle linee difensive, ma anche la rapida penetrazione in profondità. Al momento, questa superiorità sembra possibile, per quanto riguarda gli MBT, soltanto grazie ai tank di concezione sovietica, poiché quelli occidentali (Leopard (3) e Challenger) sono ancora in numero insufficiente per rispondere da soli alla necessità. Un certo peso avranno invece i carri leggeri Bradley, di cui Kiev dovrebbe avere già almeno una sessantina di esemplari.
Altri fattori decisivi
Affinché l’offensiva abbia successo, sono comunque necessarie altre condizioni. In primo luogo, le condizioni meteorologiche; per poter portare a termine con successo un attacco basato sulla concentrazione e la mobilità di forze corazzate e meccanizzate, è assolutamente necessario che il terreno sia assolutamente praticabile per mezzi che pesano decine di tonnellate. Attualmente, la primavera sembra che stia tardando anche nel Donbass, dove sino a pochi giorni fa si sono registrate ancora delle nevicate, e quindi sono necessari ancora alcuni giorni (quanti dipende dal meteo) perché il tempo più caldo faccia sì che il terreno divenga asciutto. Da un certo punto di vista, questo ritardo potrebbe essere un vantaggio per gli ucraini, che avrebbero così più tempo a disposizione per organizzarsi e, magari, per ricevere qualche fornitura militare last minute (4); ma, al tempo stesso, potrebbe rivelarsi come un grosso problema; se infatti le temperature non salissero rapidamente, in questo lasso di tempo i russi potrebbero completare la conquista di Bakhmut, di cui gli ucraini ormai tengono meno del 10% più occidentale. In tal caso, non solo si libererebbero parte delle forze lì impegnate (circa 25.000, tra PMC Wagner ed aviotrasportate), ma si sposterebbe il fronte assai più vicino all’ultima linea di difesa trincerata ucraina.
La seconda condizione è l’addestramento ed il morale delle truppe. La forza d’attacco non potrà essere inferiore ad 80/100.000 uomini, il che significa che inevitabilmente una parte di questi dovrà essere costituita da coscritti con scarsa esperienza ed addestramento. La quantità di uomini addestrati dalla NATO in Germania, UK e Polonia ammonta ad alcune decine di migliaia, parte dei quali, però, sono stati già consumati nel tentativo di tenere Bakhmut. E, d’altra parte, nemmeno possono essere lanciati tutti in una singola operazione, per quanto importante sia. È possibile, quindi, stimare che almeno la metà degli uomini impiegati non avrà una sufficiente capacità operativa. Sicuramente verranno impiegati i mercenari della Legione Internazionale, il cui numero si è comunque assottigliato di molto. Difficile fare valutazioni invece sul morale degli uomini. Sicuramente gli ucraini si sono finora dimostrati tenaci, ma ci sono comunque grossi problemi di insoddisfazione, quando non di vera e propria ribellione, sia per via della corruzione imperante nel corpo ufficiali, sia per le condizioni in cui spesso vengono mandati al fronte.
Terza condizione è, infine il comando. In una operazione di questo genere, e tanto più nelle condizioni operative in cui si colloca, diventa fondamentale sia la gestione complessiva dell’attacco, da parte di un centro di comando efficiente e capace, sia la gestione tattica, sul terreno, da parte degli ufficiali in comando delle unità impegnate. E questo è probabilmente il fattore di maggiore criticità per gli ucraini.
Anche se – ovviamente, viene da dire – da parte della NATO non c’è stata alcuna conferma, sappiamo che i russi, subito dopo l’attentato di San Pietroburgo in cui è rimasto ucciso il blogger Vladlen Tatarskij, hanno colpito con un missile Kinzhal un centro di comando sotterraneo NATO-ucraino (posto a 130 m di profondità), distruggendolo (5). All’interno, si trovavano circa 300 persone, tra ufficiali ucraini e di vari paesi NATO, oltre ad alcuni contractors per la gestione delle comunicazioni elettroniche; tutti sono morti nell’attacco.
Essendo abbastanza evidente che strutture di questo tipo – sia sotto il profilo logistico (bunker sotterraneo), sia sotto quello politico-militare (presenza di alti ufficiali NATO provenienti da Polonia, Gran Bretagna e Stati Uniti) – sono uniche, pure in un contesto di proxy war come quello ucraino, si comprende abbastanza intuitivamente come tale struttura, ed il personale militare che la gestiva, fossero fondamentali per la programmata offensiva di primavera.
Con questo attacco, quindi, i russi hanno posto una seria ipoteca sulle possibilità di successo da parte di Kiev. Oltre al fattore meteo, infatti, questa è probabilmente una delle ragioni principali per cui l’annunciatissima offensiva non è ancora partita. A parte il danno strutturale (la centrale di comunicazione e controllo), la perdita in un sol colpo di decine di ufficiali, anche di alto grado, che avevano certamente lavorato alla pianificazione strategica e tattica dell’operazione, non è un danno facilmente riparabile.
Ma, sotto questo profilo, gli ucraini hanno un problema anche a livello tattico. Un’operazione di attacco di questo genere, infatti, è caratterizzata dalla estrema mobilità dei reparti e dalla estrema variabilità della situazione sul campo, che richiede una grande capacità da parte degli ufficiali in comando alle unità impegnate. Considerato che l’offensiva sarà certamente condotta secondo gli standard operativi NATO, a cui solo una piccola parte dei graduati ucraini è addestrata sufficientemente, questa potrebbe rivelarsi un ulteriore criticità. A cui, peraltro, potrebbe benissimo darsi che si cerchi di ottemperare utilizzando ufficiali NATO mercenarizzati per l’occasione e posti al comando delle unità più importanti, o utilizzati come consiglieri.
Le difese russe
Come è logico che sia, tutte queste considerazioni vanno poste in relazione con il settore in cui verrà lanciata la controffensiva, o meglio con la consistenza del dispositivo difensivo russo. Posto che, a meno di assai improbabili colpi di scena, tutto porta a ritenere che avverrà comunque nel Donetsk, le opzioni sono fondamentalmente due. La prima, è puntare sulla città capoluogo, Donetsk appunto, che si trova relativamente vicina alla linea di contatto, e che non risulta essere stata fortificata dai russi. In tal caso, potrebbe essere relativamente facile investire con unità corazzate la città, determinando prevedibilmente una massiccia fuga di civili (che andrebbero ad intasare le vie di comunicazione, rendendo problematico l’afflusso di rinforzi), e magari di aggirare le forze russe che cingono Avdeevka, tagliarle fuori e quindi riprendere il controllo anche della cittadina. Riconquistare Donetsk sarebbe una mossa di grande impatto mediatico, e quindi politico, e principalmente in questo senso anche strategico.
La seconda è puntare su Melitopol, con l’arcinoto obiettivo di tagliare il collegamento terrestre tra Russia e Crimea. Dal punto di vista strategico militare, sarebbe un successo enorme – e quindi, a sua volta, di grande importanza mediatico-politica. Non soltanto isolerebbe la Crimea, infatti, ma tutti i territori ad ovest, negli oblast di Zaporizhzhya e Kherson, attualmente sotto controllo russo.
Naturalmente questa è anche l’impresa più difficile, sia perché i russi – proprio in questo settore – hanno predisposto ampie linee difensive, articolate in profondità, sia perché Melitopol è assai più lontana di Donetsk.
Negli ultimi giorni, i russi hanno allentato gli attacchi missilistici sull’Ucraina occidentale, concentrandosi di più sulle retrovie ucraine, colpendo preferibilmente depositi di munizioni, ed usando largamente le potenti bombe guidate FAB-500. Dopo aver largamente macinato l’esercito ucraino a Bakhmut, si preparano ad attendere l’annunciatissimo attacco, col preciso intento di completare il lavoro. Se, infatti, l’offensiva dovesse rovesciarsi in disfatta, sarebbe un colpo esiziale per Kiev (e per la NATO tutta), che potrebbe segnare davvero un punto di svolta nella guerra.
Non da avvicinare necessariamente la pace, purtroppo, ma certamente tale da far diminuire l’intensità dei combattimenti.
Quello che si avvicina, quindi, è un vero e proprio D-Day per l’Ucraina. Anche perché, effettivamente, è proprio nelle prime 24 ore che si decide sostanzialmente l’esito di un’offensiva di questo tipo.
Nelle prossime settimane, quindi, gli occhi del mondo saranno più che mai puntati su quelle terre dell’est Europa.
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