Pancia indentro e penna
infuori, è tornato il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo, già
Supercommissario dell’invincibile armata draghiana che spezzò le reni al
Covid.
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Sembra ieri che tentava di vendere l’autoagiografia scritta a quattro mani con Severgnini, o forse a sei con Cutugno: Un italiano. Fu l’ultima impresa sul suolo patrio, dopo l’intrepida campagna vaccinale condotta infilandosi come un cuculo nel nido di Arcuri, con uniforme piastrellata, piglio ginnico e frasi perentorie da colonnello Buttiglione: “Sono abituato a vincere”, “Svoltiamo”, “Acceleriamo”, “Cambiamo passo”, “Chiudiamo la partita”, “Fuoco a tutte le polveri”, “Non siamo ancora a régime, “Diamo la spallata”, “Stringiamci a coorte” (incurante dell’infausta rima), “Fiato alle trombe” (posseduto da Mike), “Mi affido a Santa Rita”, anzi “alla Madonna del Grappa” (o a una grappa della Madonna). Poi, con la guerra in Ucraina, fu spedito sul fronte ungherese: dal Covid al Covi (Comando Operativo di Vertice Interforze), a fare bau a Putin a debita distanza. Il Foglio l’ha appena candidato a commissario per il Pnrr, che ha giusto bisogno di alpini. Nell’attesa, l’altra sera era a Ciampino a ricevere i 150 italiani fuggiti ai golpisti sudanesi addestrati da noi prima che passassero alla Wagner. L’evacuazione l’ha coordinata lo staff di Tajani. Ma chi ha servito Draghi non può finire nell’ombra, vedi Di Maio. Infatti il merito va tutto a Figliuolo. Libero celebra “la trionfale campagna vaccinale da lui presa in mano e rivoltata come un calzino”. Veni, vidi, pedalini. “Un militare che mezzo mondo ci invidia” (l’altro mezzo lo conosce), “da sempre restio ai riflettori” (fotografi e cameraman devono intrufolarsi nei sottoscala, per riprenderlo), “non ha smesso un secondo di lavorare per il suo Paese” e ora ha finalmente avuto ciò che meritava: “È stato citato nei ringraziamenti di Giorgia Meloni”. Sono soddisfazioni.
Il Pindaro del Corriere esalta la “penna bianca (d’oca) sul lato sinistro del cappello” e sulla proverbiale allergia ai riflettori: schivo com’è, tenta di sfuggire ai giornalisti con agile balzo, ma è sopraffatto dalla stanchezza: “Si siede sfinito su una poltrona poggiando sul tavolo il cappello d’alpino”. Con un fil di voce, siccome “è religiosissimo”, “cita papa Francesco”, poi i cronisti gli strappano col forcipe i dettagli dell’eroica “missione ‘via dal Sudan’”: “Non nego che ci sono stati momenti di apprensione… tensione… i sudanesi si erano innervositi… sudavo freddo, ma senza darlo a vedere”. Avrebbe voluto riposare, ma niente, c’era il 25 Aprile: “È andato con la moglie Enza all’Altare della Patria. Poi, forse, ha anche potuto dormire un po’, dopo tante notti in bianco”. Dall’agenzia Stefani è tutto, linea allo studio.
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