Dilettantismo a parte, per Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio, le iniziative del governo “sono preoccupanti”.
(Raffaella Malito – lanotiziagiornale.it)
La maggioranza
è stata battuta alla Camera sullo scostamento di bilancio con cui il
Def dirotta risorse al taglio del cuneo fiscale. Emiliano Brancaccio,
professore di Politica economica presso l’Università degli studi del
Sannio, che ne pensa?
“Al di là del dilettantismo che
talvolta sembra contraddistinguere l’andazzo di questa maggioranza, il
problema è il contenuto politico delle sue iniziative. Dall’indirizzo di
politica economica di questo governo emerge un chiaro attacco al
lavoro. Troveranno i voti per portarlo avanti”.
Nel merito ritiene che questo taglio del cuneo fiscale di 3-4 miliardi sia sufficiente?
“Una
misura modesta, e non è affatto detto che il taglio finisca nelle buste
paga dei lavoratori. La vera cifra del governo sta nel fatto che vuole
abolire la legge Dignità, in modo da rendere ancora più precario e più
debole il mondo del lavoro. Il risultato complessivo di questa politica è
una ulteriore compressione dei salari, non certo un loro aumento”.
Il governo intende convocare i sindacati 24 ore prima del varo di un provvedimento con misure ad hoc sul lavoro.
“È
una storia vecchia: da anni il sindacato non tocca palla quando si
tratta di decidere l’indirizzo di politica economica. Draghi era più
diplomatico, Meloni è più sfacciata. Ma il risultato non cambia, la
vecchia concertazione è finita da un pezzo”.
Nel mirino del governo c’è il Reddito di cittadinanza.
“Il
Reddito di cittadinanza rappresentava un tentativo di allineamento
delle politiche sociali italiane alle medie europee. La sua eliminazione
non stimolerà affatto l’occupazione, aggraverà solo le condizioni di
povertà”.
Il ministro Giancarlo Giorgetti propone un innalzamento del
limite dei fringe benefit per i lavoratori dipendenti con figli. Si
vince così il gelo demografico?
“Il cosiddetto inverno
demografico è una questione troppo complessa per affidarla alle piccole
trovate di Giorgetti. La denatalità è un grande fenomeno di portata
storica, che non riguarda solo l’Italia. Le determinanti sono molte e
sono di lungo periodo, non ultimo il fatto che in molti paesi avanzati
l’età media delle donne si è innalzata e di conseguenza c’è stata una
riduzione del grado di fertilità. Per affrontare questo tema servirebbe
in primo luogo uscire dalla retorica propagandistica del governo.
Iniziando ad ammettere, per esempio, che nelle società moderne può
tranquillamente accadere che la tendenza alla denatalità sia in parte
compensata dall’immigrazione”.
Questa maggioranza, però, è contraria all’immigrazione.
“Mettiamoci
dal punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori nativi. I dati
indicano che flussi di immigrati in realtà non incidono in modo
significativo sull’occupazione o sui salari dei nativi. Piuttosto, sono i
grandi flussi e deflussi di capitale che incidono sulle condizioni del
lavoro, costringendo i singoli paesi a creare condizioni favorevoli solo
ai profitti. Se l’obiettivo fosse davvero quello di proteggere le
condizioni di lavoro dei nativi, bisognerebbe insistere non sul blocco
dell’immigrazione ma sul blocco dei movimenti di capitale”.
C’è oggi un’emergenza salariale?
“Negli anni ‘70
l’inflazione era significativa ma era accompagnata da incrementi
salariali altrettanto significativi. Oggi no. I salari recuperano solo
in minima parte l’incremento dell’inflazione. Il risultato è che
l’aumento dei prezzi attuale va tutto a vantaggio dei profitti e
determina un ulteriore spostamento nella distribuzione del reddito dal
lavoro al capitale”.
Il salario minimo può essere uno strumento efficace per superare tale emergenza?
“Sì
a patto che aiuti a rafforzare la contrattazione sindacale e non a
sostituirla. Come di aiuto sarebbe una politica che è esattamente
opposta a quella avanzata dal governo. Vale a dire di superamento della
politica di precarizzazione del lavoro piuttosto che di un’ulteriore
precarizzazione dei contratti che alimenta il fenomeno della depressione
salariale”.
Che ne pensa della riforma del Patto di stabilità presentata da Bruxelles?
“è
troppo restrittiva. Ma i problemi principali vengono dalla politica
monetaria della Bce. Quale che sia la forma che prenderà il nuovo Patto,
rischieremo comunque una situazione di insostenibilità dei debiti
causata dal fatto che la politica monetaria è tornata a essere
restrittiva. Ciò che bisogna capire è che il debito diventa sostenibile
solo quando i tassi di interesse sono bassi rispetto alla crescita del
Pil. Se i tassi d’interesse diventano alti il debito esplode, anche se
facciamo austerity. La prova al contrario ce la danno proprio gli ultimi
anni. A causa della pandemia e della guerra tutti i paesi hanno fatto
registrare deficit pubblici molto alti, eppure il rapporto tra debito
pubblico e Pil non è aumentato ma addirittura si è ridotto! Il motivo è
che le banche centrali tenevano i tassi d’interesse estremamente bassi.
Ora che le banche centrali innalzano i tassi, c’è il rischio che
l’Italia e gli altri paesi fragili della zona euro cadano di nuovo in
crisi profonda. Col rischio di vedere di nuovo fibrillare lo spread. Al
di là della discussione sul Patto, la verità è che bisogitnerebbe creare
consenso in Europa per evitare che la banca centrale continui ad alzare i
tassi di interesse”.
Il governo insiste con l’invio di armi in Ucraina. Sul
Financial Times, lei con numerosi esponenti della comunità accademica
mondiale, avete proposto una linea diversa, pubblicando un appello sulle
‘condizioni economiche per la pace’.
“Con quell’appello
vogliamo segnalare che la politica che viene portata avanti dagli
oltranzisti della guerra è viziata dal fatto che non dispone di una
strategia credibile per aprire una via di pace. La nostra tesi è che per
allentare le tensioni internazionali è necessario capire le basi
economiche dei conflitti in corso. In particolare, bisogna comprendere
che i venti di guerra di questo tempo, dall’Ucraina a Taiwan, sono
alimentati dalla svolta protezionista aggressiva e unilaterale che gli
Usa hanno imposto nel corso di questi anni, e alla quale l’Ue si è
accodata, contro la Cina e i paesi non allineati, Russia inclusa. Se
l’Occidente non mette in discussione questa linea di protezionismo
aggressivo, sarà difficile creare condizioni favorevoli per l’avvio di
un concreto processo di pacificazione mondiale”.
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