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Un altro passo verso l’abisso. E’ ufficiale, l’ENI ha detto no alla richiesta russa di pagare il gas in rubli a partire dal 31 marzo. Tre giorni… E poi?
Lo scenario più verosimile contempla la chiusura del rubinetto russo dal quale passa poco meno del 40% del gas utilizzato in Italia. I contratti per il gas sono fra i segreti meglio custoditi d’Italia e d’Europa, ma quelli con la Russia dovrebbero appunto far capo ad ENI.
Sostituire il gas russo col carbone, almeno per la produzione di energia elettrica, così da evitare se non altro i black out? Lo suggeriva il nonno prestato alle istituzioni, ma viene dalla Russia oltre il 40% del carbone importato in Italia. Non è richiesto il pagamento in rubli né è il carbone russo è soggetto a sanzioni, per ora: ma – a parte che il carbone è immensamente inquinante – acquistare carbone russo significherebbe defilarsi dalla crociata, economica e non solo, dell’Occidente contro la Russia. Lo stesso significato avrebbe peraltro il pagamento del gas in rubli: e l’ENI, di fatto controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è ormai partito per le crociate.
Sembra passato un secolo, ma solo due mesi fa i manager italiani incontravano Putin in teleconferenza e Il Fatto Quotidiano scriveva papale papale
Mario Draghi non ha mai fatto mistero di essere contrario all’applicazione di severe sanzioni nei confronti della Russia
Cosa ha fatto cambiare idea a lui e agli altri Stati UE, tipo Germania e non solo, che erano riluttanti? Gli USA ci hanno minacciati di un bombardamento atomico? Hanno posizionato teste di cavallo davanti agli usci più idonei? Mistero. Sta di fatto che ora tutti zitti e mosca, rigorosamente con la minuscola: seguono lo Zio Sam come se fosse il pifferaio di Hamelin.
E così non resta che contemplare l’abisso verso il quale siamo diretti. Checché ne dica il ministro Di Maio al ritorno da Doha (“Saremo indipendenti dal gas russo!”), il gas del Qatar non è in grado di sostituire quello russo. Non dalla sera alla mattina, per lo meno. O meglio, per trovare altri fornitori ci vorrà qualche anno, come dice l’amministratore delegato ENI.
L’Italia importa ogni anno circa 73 miliardi di metri cubi di gas. Oltre che dalla Russia, viene dal Nord Europa (circa il 3%: giacimenti norvegesi ed olandesi, questi ultimi in esaurimento) e dall’Azerbaijan: 9%, quantità che quest’anno non dovrebbe aumentare in modo significativo. Il 4% del fabbisogno è assicurato dalla Libia: potrebbe essere ben di più ma anche quel poco è appeso a un filo, dato che il Paese attraversa ancora i postumi di una, diciamo, importazione di democrazia veicolata attraverso copiosi bombardamenti. L’Algeria assicura un altro sostanzioso 28% circa, ma la strombazzata missione ad Algeri del ministro Di Maio, che mirava ad ottenerne di più, è stata in sostanza un gran buco nell’acqua.
Il resto – circa il 13% – è gas liquefatto che arriva via nave, soprattutto dal Qatar, e viene trattato dai rigassificatori. Via nave verosimilmente arriverebbe anche il gas di Paesi tipo Congo ed altri ai quali il ministro Di Maio si è rivolto nel suo giro del mondo col cappello in mano.
Se anche il gas liquefatto da Congo & C. affluisse copioso, rimarrebbe un problemino. La capacità di rigassificazione dell’Italia è pari a 15,25 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Nel 2021 è stata già sfruttata per 65% circa. Quel poco di capacità che resta è pari a meno di 10 miliardi di metri cubi di capacità all’anno. Il ministro Di Maio dica cosa vuole: con quelli, non potrà mai sostituire i i 29 miliardi di metri cubi di gas che ogni anno compriamo dalla Russia.
GIULIA BURGAZZI
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