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L’aeroporto di Ural’sk è stato ridenominato in memoria dell’eroina sovietica Manšuk Mametova (1922-1943), uccisa dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale.
La stampa kazaka ha pubblicato in questi giorni la notizia della ridenominazione dell’areoporto di Ural’sk in onore dell’eroina sovietica Manšuk Mametova, morta nel corso della seconda guerra mondiale mentre combatteva contro i nazisti. Una decisione che potrebbe parere di poco conto, ma che assume grande valore in un momento in cui il revisionismo storico la fa da padrone in diversi Paesi dell’ex Patto di Varsavia, mentre in Ucraina si arriva addirittura a considerare eroi nazionali personaggi come il collaborazionista filonazista Stepan Bandera.
Mametova nacque il 23 ottobre 1922 Jiekq?m, che allora faceva parte della Repubblica Socialista Sovietica del Kirghizistan, ma che oggi appartiene al Kazakistan. Rimasta orfana all’eta di soli cinque anni, crebbe con dei familiari nella principale città kazaka, Almaty. La diciottenne Mametova frequentò con successo gli studi di infermieristica ma, dopo l’invasione nazista dell’URSS, tentò di entrare nell’Armata Rossa, venendo però rifutata.
Al contrario di quanto accadeva nella maggioranza degli eserciti del mondo, infatti, in Unione Sovietica le donne potevano arruolarsi. Solamente nel corso della seconda guerra mondiale, circa 800.000 donne presero parte alle operazioni militari, rappresentando approsimativamente il 5% dell’esercito sovietico. Inoltre, il personale medico militare era diviso quasi equamente tra uomini e donne: secondo il Forum Internazionale di Studi sulla Donna, il 40% dei paramedici, il 43% dei chirurghi, il 46% dei medici, il 57% degli assistenti medici e il 100% degli infermieri dell’Armata Rossa erano donne.
Tornando alla storia di Manšuk Mametova, fu proprio come infermiera in un ospedale da campo che riuscì ad ottenere un posto, nonostante la sua richiesta di essere assegnata ad un’unità di fucilieri. Nel tempo libero, però, Mametova continuava l’addestramento all’uso delle armi da fuoco. Notando le sue grandi abilità al tiro, il comandante della divisione decise di promuoverla al grado di sergente maggiore, permettendole finalmente di essere trasferita alla 100ma brigata di fucilieri.
Mametova si mise in luce sin dalle prime operazioni belliche, guadagnandosi il rispetto dei suoi colleghi uomini. In particolare, prese parte alla battaglia di Nevel’, cittadina russa situata nella regione di Pskov, che i sovietici erano riusciti brevemente a strappare al controllo tedesco. Il 15 ottobre 1943, i tedeschi passarono al contrattacco, ma Mametova non si ritirò da una collina strategica, opponendo una strenua resistenza all’armata nemica. Nonostante fosse stata colpita alla testa ed avesse brevemente perso conoscenza, continuò a combattere sparando da tre postazioni diverse, anche dopo che alcuni colpi di mortaio avevano ucciso il resto dei suoi compagni.
Alla fine Mametova, fu ferita a morte dal fuoco nemico, ma continuò a combattere fino all’ultimo momento. Si dice che in questa battaglia uccise da sola almeno 70 soldati della Wehrmacht tedesca. I suoi resti furono scoperti dalle forze sovietiche quando riuscirono definitivamente a respingere i nazisti dall’area di Navel’, dove venne sepolta e onorata con un monumento dedicato al suo coraggio. Mametova divenne anche la prima donna kazaka a ricevere il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica dopo che il Soviet Supremo le conferì l’onoreficenza postuma, nel marzo del 1944.
Nel 1982, venne aperta ad Ural’sk la casa-museo dedicata all’eroina sovietica, dove si possono ammirare foto, documenti e oggetti personali della famiglia Mametov sin dal 1812. Nel 2016, la Russia ha condotto alcuni scavi per ricostruire la battaglia di Nevel’, riportando alla luce alcune armi utilizzate da Mametova ed oggi conservate nella casa-museo. Prima dell’aeroporto di Ural’sk, le erano già state dedicate strade, scuole, piazze e persino una montagna nei pressi di Almaty. Nel 2018, infine, è stata inaugurata una statua a lei dedicata nella nuova piazza della città di Aqjaiyq.
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