Nel
gennaio del 1919 Rosa Luxemburg, fondatrice del Partito comunista
tedesco (Lega di Spartaco) fu uccisa da un’unità dei Freikorps, le bande
di ufficiali e militari controrivoluzionari – un terreno fertile per il
futuro partito nazista- inviati a Berlino dal ministro
socialdemocratico Gustav Noske per schiacciare la rivolta spartachista.
cairn-int.info Michael Löwy
Lei fu –
come Emiliano Zapata in quello stesso anno – una “vinta dalla storia”.
Ma il suo messaggio rimane vivo in quella che Walter Benjamin definisce
“la tradizione degli oppressi”; un messaggio allo stesso tempo, e
inseparabilmente, marxista, rivoluzionario e umanista.
Sia per quanto
riguarda la critica del capitalismo come sistema disumano, la lotta
contro il militarismo, il colonialismo, l’imperialismo, sia per la sua
visione di una società emancipata e per la sua utopia di un mondo senza
sfruttamento, senza alienazione e senza confini, questo umanesimo
comunista attraversa come un filo rosso i suoi scritti politici e anche
le sue corrispondenze, le sue emotive lettere dal carcere, lette e
rilette da generazioni successive di giovani attivisti del movimento dei
lavoratori.
Nella
prospettiva di una ripresa del comunismo nel XXI secolo vorrei
evidenziare in particolare quattro temi del suo pensiero:
l’internazionalismo, una concezione aperta della storia, l’importanza
della democrazia nel processo rivoluzionario e il suo interesse per le
tradizioni comuniste pre-moderne(1) .
L’internazionalismo
In
primo luogo, nell’era della globalizzazione capitalista, della
mondializzazione neoliberista, del dominio globale del grande capitale
finanziario, dell’internazionalizzazione dell’economia al servizio del
profitto, della speculazione e dell’accumulazione, la necessità di una
risposta internazionale, di un’internazionalizzazione della resistenza –
in breve di un nuovo internazionalismo – è più attuale che mai.
Tuttavia, poche figure del movimento operaio hanno incarnato così
radicalmente come Rosa Luxemburg l’idea di internazionalismo,
l’imperativo categorico dell’unità, dell’associazione, della
cooperazione e della solidarietà degli sfruttati e degli oppressi di
tutti paesi e di tutti i continenti.
Come sappiamo, insieme a Karl Liebknecht, è stata uno dei pochi leader del socialismo tedesco ed europeo che si oppose all’Union Sacrée e
al voto a favore dei crediti di guerra nel 1914. Le autorità imperiali
tedesche – con il sostegno dell’ala destra dei socialdemocratici – le
fecero pagare caro per la sua coerente opposizione internazionalista
alla guerra imprigionandola per la maggior parte del conflitto. Di
fronte al drammatico fallimento della Seconda Internazionale, lei
sognava di creare una nuova associazione mondiale di lavoratori. Solo la
morte le impedì di partecipare, insieme ai rivoluzionari russi, alla
fondazione dell’Internazionale comunista nel 1919.
In
pochi compresero, come lei, il pericolo mortale rappresentato per i
lavoratori dal nazionalismo, dallo sciovinismo, dal razzismo, dalla
xenofobia, dal militarismo e dall’espansionismo coloniale o imperiale.
Che si
sia d’accordo o meno con le sue tesi sulla questione nazionale, non si
può mettere in discussione la forza profetica dei suoi scritti. Uso la
parola “profetico” nel suo senso biblico originale (così ben definito da
Daniel Bensaid nei suoi ultimi scritti): un profeta non è colui che
afferma di fare una “previsione oracolare di un destino implacabile”, ma
colui che pronuncia una “anticipazione condizionale”, che avverte le
persone dei disastri che accadranno se non prendono una strada
diversa.(2)
Una concezione aperta della storia
In
secondo luogo, e dopo un secolo che non è stato solo quello degli
“estremi” (Eric Hobsbawm), ma anche delle espressioni più brutali della
barbarie nella storia dell’umanità, non possiamo che ammirare un
pensiero rivoluzionario come quello di Rosa Luxemburg, che rifiutò
l’ideologia confortevole e conformista del progresso lineare, il
fatalismo ottimista e l’evoluzionismo passivo della socialdemocrazia, la
pericolosa illusione – di cui Walter Benjamin parla nelle sue Tesi del
1940 – secondo cui bastava nuotare nella direzione della corrente, e
aspettare che sorgano le condizioni oggettive giuste (3). Quando nel
1915 scrisse nell’opuscolo La crisi della socialdemocrazia
(firmato con lo pseudonimo di Junius), lo slogan “socialismo o
barbarie”, Rosa Luxemburg ruppe con la concezione -di origine borghese-
della storia come un progresso irresistibile, inevitabile, garantito
dalle leggi oggettive dello sviluppo economico o dell’evoluzione
sociale(4). Una concezione che fu sostenuta, per esempio, da Gyorgy
Valentinovitch Plekhanov, per il quale la vittoria del programma
socialista era inevitabile come il sorgere del sole. La conclusione
politica di questa ideologia “progressista” poteva essere solo la
passività: chi sarebbe abbastanza pazzo da rischiare la vita combattendo
per assicurarsi che il sole sorgesse al mattino?
Ritorniamo
brevemente sul significato politico e filosofico dello slogan
“Socialismo o barbarie”. È suggerito in alcuni testi di Marx o
Engels(5), ma è Rosa Luxemburg a dargli una formulazione esplicita e
definita. Essa implica una percezione della storia come un processo
aperto, come una serie di “biforcazioni” in cui il “fattore soggettivo”
degli oppressi – coscienza, organizzazione, iniziativa – è un fattore
decisivo. Non si tratta più di aspettare che il frutto “maturi” secondo
le “leggi naturali” dell’economia o della storia, ma di agire prima che
sia troppo tardi. Rosa Luxemburg non usa questo termine per riferirsi a
una “regressione” impossibile a un passato tribale, primitivo o
“selvaggio”; per lei, è una barbarie eminentemente moderna, di cui la
prima guerra mondiale ha presentato un esempio lampante, anche peggiore
nella sua omicida disumanità delle pratiche bellicose dei conquistatori
“barbari” del tardo impero romano. Mai prima di allora le moderne
tecnologie – carri armati, gas e aviazione militare – erano state poste
al servizio di una politica imperialista di massacri e aggressioni su
una scala così immensa.
Dalla
prospettiva della storia del XX secolo, lo slogan di Rosa Luxemburg si è
rivelato profetico: la sconfitta del socialismo in Germania aprì la
strada alla vittoria del fascismo di Hitler e, in seguito, alla Seconda
Guerra Mondiale, la scena della più mostruosa barbarie moderna che
l’umanità abbia mai conosciuto, di cui il nome di Auschwitz è diventato
un simbolo.
Non è
un caso che l’espressione “socialismo o barbarie” sia diventata bandiera
e simbolo di riconoscimento di uno dei gruppi più creativi della
sinistra marxista della Francia del dopoguerra: il gruppo che si radunò
intorno alla rivista con lo stesso nome durante gli anni ’50 e ’60,
animato da Cornelius Castoriadis e Claude Lefort.
La
scelta e l’avvertimento indicati dallo slogan di Rosa Luxemburg
continuano a essere all’ordine del giorno nei nostri tempi. Il lungo
periodo di declino delle forze rivoluzionarie – da cui cominciamo a
uscire poco a poco – è stato accompagnato dalla proliferazione di guerre
e massacri di pulizia etnica, dai Balcani fino all’Africa, dalla
crescita di ogni genere di razzismo, sciovinismo e fondamentalismi,
anche nel cuore dell’Europa “civilizzata”.
Ma
c’è un nuovo pericolo che Rosa non aveva previsto. Ernest Mandel, nei
suoi ultimi scritti, disse che la disgiunzione per l’umanità del XXI
secolo non sarebbe stata più, come nel 1915, socialismo o barbarie, ma
socialismo o morte. Comprese il rischio di una catastrofe ecologica come
risultato dell’espansione capitalista globale, con la sua logica
distruttiva per l’ambiente. Se il socialismo non viene a interrompere
questa corsa folle verso il precipizio – della quale l’aumento della
temperatura del pianeta e la distruzione dello strato di ozono sono gli
elementi più visibili- ciò che è minacciato la sopravvivenza stessa
della specie umana .
La democrazia nel socialismo
In
terzo luogo, di fronte al fallimento storico dalle principali correnti
del movimento operaio, cioè, da un lato, il crollo inglorioso del
cosiddetto “socialismo realmente esistente” – erede di 60 anni di
stalinismo – e, dall’altro, la sottomissione passiva (o una adesione
attiva?) della socialdemocrazia alle regole del gioco capitalista
neoliberista mondiale, l’alternativa rappresentata da Rosa Luxemburg,
cioè un socialismo allo stesso tempo autenticamente rivoluzionario e
radicalmente democratico, appare più rilevante che mai.
Come
attivista del movimento operaio nell’impero zarista – lei fondò il
Partito Socialdemocratico di Polonia e Lituania, affiliato al Partito
socialdemocratico dei lavoratori russo – criticò le tesi difese da Lenin
prima del 1905 per le loro tendenze autoritarie e centraliste. Le sue
critiche coincidevano su questo punto con quelle del giovane Trotsky ne I nostri compiti politici (1904).(6)
Allo
stesso tempo, mentre era una leader dell’ala sinistra della
socialdemocrazia tedesca, si batté contro la tendenza a monopolizzare le
decisioni politiche da parte della burocrazia sindacale e politica e
delle rappresentanze parlamentari. Lo sciopero generale russo del 1905
le sembro un buon esempio da seguire in Germania: aveva più fiducia
nell’iniziativa dei lavoratori che nelle sagge decisioni degli organi
direttivi del movimento operaio tedesco.
Apprendendo,
mentre era in prigione, degli eventi dell’ottobre 1917, fece
immediatamente causa comune con i rivoluzionari russi. In un opuscolo
sulla rivoluzione russa scritto in prigione nel 1918, pubblicato postumo
nel 1921, accolse con entusiasmo questo grande atto storico di
emancipazione e rese un caloroso tributo ai leader rivoluzionari di
ottobre:
“Quanto
un partito in un’ora storia può offrire, in termini di coraggio,
visione e coerenza rivoluzionaria, Lenin, Trotsky e gli altri compagni
lo hanno in gran parte fornito. Tutto l’onore rivoluzionario e la
capacità d’azione che mancava alla socialdemocrazia occidentale i
bolscevichi lo hanno rappresentato: la loro insurrezione di ottobre non
solo ha davvero salvato la rivoluzione russa, ma ha anche salvato
l’onore del socialismo internazionale”.(7)
Questa
solidarietà non le impedisce di criticare ciò che le sembra sbagliato o
pericoloso nella loro politica. Mentre alcune delle sue critiche –
sull’autodeterminazione nazionale o sulla distribuzione della terra –
sono certamente discutibili e poco realistiche, altre, in relazione alla
questione della democrazia, sono del tutto pertinenti e
straordinariamente contemporanee. Riconoscendo l’impossibilità per i
bolscevichi – nelle drammatiche circostanze della guerra civile e
dell’intervento straniero – di creare “per magia la più bella delle
democrazie”, Rosa Luxemburg attira l’attenzione sul rischio di uno
slittamento autoritario e definisce alcuni principi fondamentali della
democrazia rivoluzionaria:
“La
libertà riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un
partito -non importa quanto numerosi – non è libertà. La libertà è
sempre ed esclusivamente la libertà per coloro che la pensano
diversamente. (…) Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di
stampa e di riunione, senza una libera lotta di opinioni, la vita muore
in ogni istituzione pubblica, diventa vita apparente in cui solo la
burocrazia rimane come elemento attivo “.(8)
È
difficile non riconoscere l’importanza di questa argomentazione. Pochi
anni dopo, la burocrazia monopolizzò tutto il potere, eliminando
progressivamente i rivoluzionari dell’ottobre 1917, fino a sterminarli
senza pietà negli anni ’30.
Comunismo e la “comune” primitiva
In
quarto luogo, l’interesse di Rosa Luxemburg per la comune primitiva è
molto meno conosciuto e, pertanto, gli dedicheremo particolare
attenzione in questo articolo. Il tema centrale della sua Introduzione all’economia politica
(manoscritto incompiuto pubblicato da Paul Levi nel 1925) è l’analisi
di quella che lei chiama la società comunista primitiva e la sua
contrapposizione alla società capitalista mercantile. È vero che è un
testo incompleto, scritto in carcere intorno al 1916 a partire dalle
note del suo corso di economia politica nella scuola del Partito
socialdemocratico (1907-1914); aveva programmato altri capitoli che non
sono stati scritti o sono andati persi. Ma questo non spiega perché i
capitoli dedicati alla società comunista primitiva e alla sua
dissoluzione occupino più pagine di quelle dedicate alla produzione
mercantile, al lavoro salariato e alle tendenze dell’economia
capitalista nel suo insieme!
Questo
approccio inusuale all’economia politica è probabilmente una delle
ragioni principali per cui a questo libro non è stata prestata molta
attenzione, è stato relegato o ignorato dalla maggior parte degli
economisti marxisti e persino da biografi o specialisti delle opere di
Rosa Luxemburg, con l’eccezione di Paul Frölich e Ernest Mandel, autore
della prefazione all’edizione francese. Al contrario, Nettl a malapena
lo menziona e non offre alcuna informazione o commento sul suo
contenuto. Per quanto riguarda l’Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin di
Berlino Est, responsabile della redazione del testo nel 1951, sostiene
(nella sua introduzione) che sia una “presentazione popolare degli
elementi fondamentali del modo di produzione capitalista”, senza fare
alcun riferimento al fatto che quasi la metà del libro è in realtà
dedicata al comunismo primitivo.(9). Ma la reale importanza di questo
libro, a mio parere, risiede precisamente nella sua visione delle
comuni precapitalistiche e il suo modo critico e originale di concepire
l’evoluzione delle formazioni sociali, da un punto di vista orientato,
come direbbe Walter Benjamin , “a spazzolare la storia contropelo”.(10)
Come
spiegare l’interesse di Rosa Luxemburg per le comunità primitive? Da un
lato, è evidente che lei vedeva nell’esistenza di queste antiche società
comuniste un modo per scuotere e persino distruggere “la vecchia
nozione della proprietà privata come qualcosa di eterno e della sua
esistenza fin dall’origine del mondo” (11). Gli economisti borghesi,
incapaci di concepire la proprietà comune e di comprendere qualcosa che
non somigliava alla civilizzazione capitalista, rifiutavano
ostinatamente di riconoscere l’esistenza storica di queste comuni. Per
Rosa Luxemburg, quindi, si tratta di una leva nella lotta teorica e
politica su un aspetto fondamentale della scienza economica. In secondo
luogo, lei vedeva il comunismo primitivo come un cruciale punto di
riferimento storico per la critica del capitalismo, un modo per rivelare
la sua natura irrazionale, reificata, anarchica e per evidenziare la
radicale opposizione tra valore d’uso e valore di scambio.
Come
giustamente sottolinea Mandel nella sua prefazione, “la spiegazione
delle differenze fondamentali tra un’economia basata sulla produzione di
valori d’uso progettati per soddisfare le esigenze dei produttori, e
un’economia basata sulla produzione di merci, occupa la maggior parte di
questo libro “(12). Per lei, inoltre, si trattava di recuperare e
“salvare” dal passato primitivo tutto ciò che, almeno in una certa
misura, avrebbe prefigurato il comunismo moderno.
L’attitudine
di Rosa Luxemburg non era senza affinità con le concezioni romantiche
della storia che rigettavano l’ideologia borghese del progresso e
criticavano gli aspetti disumani della civiltà industriale/capitalista
(da qui, del resto, il suo interesse per il lavoro di un economista
romantico come Sismondi). Mentre il romanticismo tradizionalista sognava
di ripristinare un passato idealizzato, il romanticismo rivoluzionario a
cui era vicina Rosa Luxemburg cerca in certe forme del passato
precapitalista elementi e aspetti che anticipavano il futuro
post-capitalista.
Nei
loro scritti e corrispondenze, Marx ed Engels avevano già richiamato
l’attenzione sulle opere dello storico (romantico) Georg Ludwig von
Maurer in relazione alla vecchia comune germanica (la Mark).(13)
Come loro, Rosa Luxemburg studiò con passione gli scritti di Maurer e si
meravigliò del funzionamento democratico ed egualitario della Mark e
della sua trasparenza sociale: “E’ impossibile immaginare qualcosa al
tempo stesso più semplice e più armonioso di questo sistema economico
della vecchia Marca germanica. Qui, l’intero meccanismo della vita
sociale è esposto a tutti. Un piano rigoroso e un’organizzazione salda
incorporano tutto ciò che ogni individuo fa e lo collocano come una
parte nel tutto. I bisogni immediati della vita quotidiana e l’eguale
soddisfazione di tutti; questo è il punto di partenza e il fine
dell’organizzazione. Tutti lavorano per tutti gli altri e decidono
collettivamente su tutto”. (14) Qui, il suo apprezzamento e la sua
attenzione vanno alle caratteristiche di questa primitiva formazione
comunista che la contrappone al capitalismo e la rende, per alcuni
aspetti, più grande nell’umanità della civiltà industriale borghese:
“Così, più di duemila anni fa [...] tra i tedeschi prevalse una
situazione fondamentalmente diversa dalla nostra: nessuno Stato con
leggi scritte vincolanti, nessuna divisione tra ricchi e poveri, tra
padroni e servi”.(15)
Basandosi
sul lavoro dello storico russo Maxime Kovalevsky, che era stato un
amico di Marx (16), Rosa Luxemburg enfatizza l’universalità del
comunismo agrario come una forma generale della società umana in una
certa fase del suo sviluppo, che si trovava sia tra gli indiani
d’America, gli Incas, gli Aztechi, sia tra i Kabyli, le tribù africane e
gli indù. L’esempio peruviano le sembra particolarmente significativo
e, in questo caso di nuovo, non manca di suggerire un confronto tra la MarK
degli Incas e la società civilizzata: “La moderna arte di nutrirsi
esclusivamente del lavoro degli altri e fare del proprio ozio
l’attributo del dominio, era ancora estranea all’essenza di questa
organizzazione sociale in cui la proprietà comune e l’obbligo generale
di lavorare costituivano tradizioni popolari profondamente radicate”.
Esprime anche ammirazione per “la fantastica tenacia del popolo indigeno
e dei meccanismi della comunità della marca, visto che si sono
conservati resti di entrambe, nonostante tutto, fino al XIX secolo”
(17). Venti anni più tardi, l’eminente pensatore marxista peruviano José
Carlos Mariátegui avanzava una prospettiva che aveva impressionanti
somiglianze con le idee di Rosa Luxemburg (della quale certamente
ignorava le osservazioni sul Perù): il socialismo moderno doveva
attingere alle tradizioni indigene risalenti al comunismo Inca per
conquistare le masse contadine dalla sua parte(18).
Ma in questo campo l’autore più importante per Rosa Luxemburg – come per Engels ne L’origine della famiglia – era l’antropologo americano L. H. Morgan. Ispirata dal suo classico lavoro, Ancient Society,
1877, lei va oltre Marx ed Engels e sviluppa tutta una grandiosa
visione della storia, una concezione innovativa e audace dell’evoluzione
millenaria dell’umanità, nella quale la civiltà attuale con “la sua
proprietà privata, il suo dominio di classe, il suo dominio maschile, lo
Stato e il suo matrimonio coercitivo” appare come una semplice
parentesi, una transizione tra la società comunista primitiva e la
società comunista del futuro. L’idea romantico/rivoluzionaria di un
legame tra il passato e il futuro appare qui in modo esplicito: ” La
nobile tradizione di un lontano passato estende così la sua mano alle
aspirazioni rivoluzionarie del futuro; il cerchio della conoscenza trova
il suo completamento; e da questo punto di vista, l’attuale mondo del
dominio e dello sfruttamento di classe, che afferma di essere il nec plus ultra
della civiltà, l’obiettivo finale della storia universale, non è altro
che un piccolo e transitorio passo nella grande marcia in avanti
dell’umanità “(19).
Da
questa prospettiva, la colonizzazione europea dei popoli del Terzo mondo
appariva fondamentalmente come un’impresa socialmente distruttiva,
barbara e disumana; e questo è particolarmente vero per l’occupazione
britannica dell’India, che saccheggiò e disintegrò le strutture
comuniste agrarie tradizionali, con tragiche conseguenze per i
contadini. Rosa Luxemburg condivideva con Marx la convinzione che
l’imperialismo porti il progresso economico ai paesi colonizzati,
sebbene lo faccia attraverso “gli infami metodi di una società di
classe”(20).
Tuttavia,
mentre Marx, senza nascondere la sua indignazione per questi metodi,
insisteva in particolare sul ruolo economicamente progressista delle
ferrovie introdotte dagli inglesi in India(21), l’enfasi della Luxemburg
era piuttosto sulle conseguenze socialmente disastrose di questo
“progresso” capitalistico: ” I vecchi legami furono spezzati, il
pacifico isolamento del comunismo dal resto del mondo fu infranto e
sostituito da conflitti, discordie, disuguaglianze e sfruttamento. Il
risultato: da un lato, enormi latifondi; dall’altro, milioni di
agricoltori ridotti all’indigenza. La proprietà privata entrò in India
e, con essa, tifo, fame e scorbuto divennero ospiti permanenti nella
valle del Gange. “(22). Questa differenza con Marx corrispondeva a una
differenza nei loro punti di vista storici che le permettevano di avere
uno sguardo nuovo sui paesi coloniali, ovviamente, ma era anche
un’espressione della particolare sensibilità della Luxemburg alle
qualità sociali e umane delle comuni primitive.
Questo problema non fu affrontato solo nell’Introduzione all’economia politica, ma anche ne L’accumulazione del capitale,
dove criticava ancora una volta il ruolo storico del colonialismo
britannico, si indignava per il disprezzo criminale espresso dai
conquistatori europei verso l’antico sistema di irrigazione: il
capitale, nella sua cieca voracità, “è incapace di vedere abbastanza
lontano da riconoscere il valore dei monumenti economici di una civiltà
più antica”; la politica coloniale produsse il declino del sistema
tradizionale e, di conseguenza, nel 1867, la carestia provocò milioni di
vittime in India. Per quanto riguarda la colonizzazione francese
dell’Algeria, è stata contrassegnata, ai suoi occhi, da un tentativo
sistematico e deliberato di distruggere e disgregare la proprietà
comune, portando alla rovina economica della popolazione indigena.
Ma al
di là di questa o quell’istanza, fu l’intero sistema coloniale –
spagnolo, portoghese, olandese, inglese o tedesco, in America Latina,
Africa e Asia – che la Luxemburg denunciò, schierandosi risolutamente
dalla parte delle vittime del “progresso” capitalista : “Per i popoli
primitivi nei paesi coloniali in cui un tempo prevaleva il comunismo
primitivo, il capitalismo è una catastrofe indicibile, piena della
sofferenza più spaventosa”(24). Questa preoccupazione per la condizione
sociale delle popolazioni colonizzate è uno dei segni della sorprendente
modernità di questo testo; specialmente se confrontato con
l’equivalente libro di Kautsky (pubblicato nel 1886), in cui i popoli
non europei erano praticamente assenti (25).
Da
questa analisi derivava la solidarietà di Rosa Luxemburg con la lotta
dei popoli indigeni contro le metropoli imperialiste, un combattimento
nel quale lei vedeva la resistenza tenace e ammirevole delle vecchie
tradizioni comuniste contro la ricerca del profitto e contro
l’”europeizzazione” capitalista. Implicita era l’idea di un’alleanza tra
la lotta anti-coloniale di questi popoli e la lotta anticapitalista del
proletariato moderno come una convergenza rivoluzionaria tra il vecchio
e il nuovo comunismo. (26)
Secondo
Gilbert Badia, il cui libro su Rosa Luxemburg è uno dei rari casi in
cui viene esaminato criticamente questo tema, nella Introduzione all’economia politica
le vecchie strutture delle società colonizzate vengono spesso
presentate come fisse “e radicalmente opposte, in un contrasto
bianco-nero, al capitalismo”. In altre parole “A queste comunità dotate
di tutte le virtù e concepite come congelate nel tempo, Rosa Luxemburg
oppone il ruolo distruttivo del capitalismo che non è in nessun modo
progressiva. Siamo ben lontani dalla borghesia conquistatrice evocata da
Marx nel Manifesto” (27) .
Queste
obiezioni non mi sembrano giustificate per via dei seguenti motivi: 1)
Rosa Luxemburg non concepiva le comunità come fisse e immobili: al
contrario, lei mostrava le loro contraddizioni e trasformazioni,
sottolineando che “la società comunista primitiva porta con il suo
sviluppo interno allo sviluppo della disuguaglianza e del dispotismo”
(28); 2) lei non negava il ruolo economicamente progressivo del
capitalismo, ma denunciò gli aspetti “base” e socialmente regressivi
della colonizzazione capitalista; 3) Se enfatizzava gli aspetti più
positivi del comunismo primitivo in contrasto con la civiltà borghese,
non nascondeva in alcun modo i suoi limiti e fallimenti: ristrettezza
parrocchiale, basso livello di produttività del lavoro e sviluppo
civile, impotenza di fronte alla natura, violenza brutale, un stato di
guerra permanente tra comunità, ecc.(29); 4) In effetti, l’approccio
della Luxemburg era molto lontano dall’inno di Marx alla borghesia nel
1848; d’altra parte, era molto vicino allo spirito del capitolo 31 di
Capital (“Genesi del capitalista industriale”), in cui Marx descriveva
la barbarie e le atrocità della colonizzazione europea.
In
effetti, sul tema della comune di villaggio russo (obshchina), Rosa
Luxemburg aveva una visione molto più critica dello stesso Marx. Sulla
base dell’analisi di Engels, che notò, alla fine del diciannovesimo
secolo, il declino e la degenerazione dell’obshchina, lei trovò un
esempio dei limiti storici della comune tradizionale e della necessità
di trascenderla. (30).
Il suo
sguardo era rivolto risolutamente verso il futuro, e qui si separò dal
romanticismo economico in generale e dai populisti russi in particolare
al fine di enfatizzare “la differenza fondamentale tra l’economia
socialista mondiale del futuro e i primitivi gruppi comunisti della
preistoria”. (31)
Nel
richiamare l’attenzione su questi testi, non desideravamo solo salvare
dall’oblio un capitolo sconosciuto dell’opera di Rosa Luxemburg. Mi
sembra che contengano molto più di un’indagine accademica sulla storia
economica: suggeriscono un altro modo di vedere il passato e il
presente, la storicità sociale, il progresso e la modernità.
Confrontando la civiltà industriale capitalista con il passato
comunitario dell’umanità, la Luxemburg ruppe con l’evoluzionismo
lineare, il “progressivismo” positivista, il darwinismo sociale e tutte
le interpretazioni del marxismo che lo riducono a una versione più
avanzata della filosofia di Monsieur Homais in Madame Bovary. Quello che è in gioco in questi testi è, in definitiva, il significato stesso della concezione marxista della storia.
Il suo
lavoro sta acquisendo una nuova rilevanza oggi, come noi constatiamo in
molte regioni del mondo, ma in particolare in America Latina – Messico,
Ecuador, Bolivia e Perù, tra gli altri luoghi – nella lotta delle
comunità contadine e indigene, le cui le tradizioni pre-capitaliste sono
ancora molto vive, per difendere le loro foreste, le loro terre e i
loro fiumi dalle multinazionali del petrolio e delle miniere,
dall’agrobusiness capitalista e dalle politiche neoliberiste dei loro
governi, responsabili di catastrofi sociali ed ecologiche sempre più
gravi.
NOTE:
1 Rosa
Luxemburg usava il termine “socialismo” per descrivere l’”obiettivo
finale” del movimento rivoluzionario e, dalla fine del 1918, il termine
“comunismo” per riferirsi al partito rivoluzionario.
2 Daniel Bensaïd, Marx for Our Times: Adventures and Misadventures of a Critique (London: Verso, 2002), 55-56.
3 Walter Benjamin, Illuminations, ed. Hannah Arendt, trans. Harry Zohn (New York: Harcourt, Brace & World, 1968), 258.
4 La crisi della socialdemocrazia tedesca https://www.marxists.org/italiano/luxembur/1915/4/junius.htm
5 Ad
esempio, nelle prime righe del Manifesto, in riferimento al fatto che la
lotta di classe “ogni volta finiva, o in una ricostituzione
rivoluzionaria della società in generale, o nella rovina comune delle
classi in lotta”
6 Lev Trockij, I nostri compiti politici, Massari editore 2017
7 Rosa
Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti Politici (a cura di Lelio
Basso), Editori Riuniti 1976. Disponibile on line nella biblioteca di
Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149
8 Rosa
Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti Politici (a cura di Lelio
Basso), Editori Riuniti 1976. Disponibile on line nella biblioteca di
Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149
9
Vedere Paul Frölich, Rosa Luxemburg, Ideas in Action (London: Pluto
Press, 1994), 159-161; Ernest Mandel, “Préface,” in Rosa Luxemburg,
Introduction à l’Économie Politique (Paris: Éditions Anthropos, 1970);
John P. Nettl, Rosa Luxemburg (Oxford: Oxford University Press, 1969),
265; Marx-Engels-Lenin-Stalin Institut beim ZK der SED, “Bemerkungen zu
Rosa Luxemburgs ‘Einführung in die Nationalökonomie’” in Rosa Luxemburg,
Ausgewählte Reden und Schriften (Berlin: Dietz Verlag, 1955), 403-410.
10 Benjamin, Illuminations, 257..
11 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Rosa Luxemburg. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970
12 Mandel, “Préface,” xviii.
13 Lettera di Marx a Engels del 25 marzo 1868 in Marx-Engels, Opere complete, vol.XLIII, Editori Riuniti 1975
14 Rosa Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader, 75
15 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Rosa Luxemburg. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970
16 David McLellan, Karl Marx. La sua vita, il suo pensiero, Rizzoli 1976
17 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader
18 Michael Löwy, “Le marxisme en Amérique Latine de José Marategui aux Zapatistes du Chiapas,” Actuel Marx 42 (Oct. 2007):25-35.
19 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970
20 Rosa Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader
21
Kolja Lindner, “Marx’s Eurocentrism: Postcolonial studies and Marx
scholarship,” Radical Philosophy 161 (May-June 2010):27-41.
22
Luxemburg, Introduzione all’Economia politica. Questo passaggio sembra
suggerire una visione idilliaca della struttura sociale tradizionale in
India, ma in un altro capitolo del libro, la Luxemburg riconosce
l’esistenza, al di sopra delle comunità rurali, di un potere dispotico e
una casta sacerdotale privilegiata che stabilisce relazioni di
sfruttamento e disuguaglianza sociale.
23 Rosa
Luxemburg, L’accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione
economica dell’imperialismo, Einaudi. Disponibile on line nella
biblioteca di Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149
24 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica.
25 Su questo punto la prefazione di Ernest Mandel a Luxemburg, Introduction à l’Économie politique, xvii-xviii.
26 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica
27 Gilbert Badia, Rosa Luxemburg: Journaliste, Polémiste, Révolutionnaire (Paris: Éditions Sociales, 1975), 498, 501.
28 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader
29 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader
30 Rosa Luxemburg, Selected Political Writings of Rosa Luxemburg, ed. Dick Howard (New York: Monthly Review Press, 1971), 201.
31
Luxemburg, Introduzione all’economia economica. Nello stesso contesto,
Rosa Luxemburg, come Marx, riconosceva che “la società capitalista
offre, per la prima volta, la possibilità di realizzare il socialismo”,
in particolare con l’unificazione economica del mondo e lo sviluppo
delle forze produttive.
*Fonte:
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