dinamopress di Rossella Marchini
,Chi una casa non ce l’ha, è minacciato da uno sfratto o vive in condizioni inadeguate non può difendersi dal contagio. Accanto a loro, come sempre, ci sono le associazioni che offrono l’assistenza necessaria. Chiedono misure per eliminare la condizione di emarginazione e lanciano un hashtag: #VorreiStareaCasa
Invisibili, nonostante il loro numero sia impressionante. Sono in Italia 50 mila le persone senza fissa dimora. 8 mila solo a Roma, cui si aggiungono le 12 mila persone che vivono negli stabili occupati e le 5 mila che sono stipate nei campi rom. Numeri da brivido e probabilmente sottostimati. Sono persone che non possono seguire le direttive del Decreto del Presidente del Consiglio. Non hanno una casa in cui restare e molta difficoltà nell’accesso all’acqua. Li chiamano “senza tetto”, “clochard”, “barboni”, “zingari”. Sono uomini e donne poveri, hanno un nome che nessuno pronuncia neanche quando li trovano morti fra i cartoni.
Restano solo un numero da aggiungere alla conta. Ognuno di loro ha una storia alle spalle che lo ha portato a vivere nomade in città: uno sfratto, una separazione, una malattia. Per tutti: la povertà. Sono italiani e stranieri, giovani e anziani, uomini e donne che ogni giorno, non solo adesso, lottano per la sopravvivenza, senza aver scelto questa condizione di vulnerabilità. La città non li vede e quando si accorge della loro presenza, non ne percepisce la sofferenza. Degrado è la parola che gli è stata appiccicata addosso.
In questo momento drammatico al loro fianco c’è chi da sempre li aiuta, li supporta e li assiste. E sono loro che alzano un grido promuovendo una campagna con l’hashtag #VorreiStareaCasa, insieme a un appello alla solidarietà, chiedendo donazioni non solo di vestiti e coperte, ma anche di mascherine e gel disinfettanti.
#VorreireStareaCasa, ma qual è la mia casa? Se lo chiedono le persone senza tetto, quelle minacciate di sfratto, quelle che vivono in condizioni abitative inadeguate, quelle che non possono al tramonto affacciarsi e intonare cori, per esorcizzare la paura. L’indifferenza sulla loro condizione è stata rotta finalmente dalla denuncia di Binario95, il centro di accoglienza che si occupa delle persone che gravitano intorno alla stazione Termini. Nei servizi di accoglienza che gestiscono, gli operatori sociali continuano a fornire l’assistenza necessaria a chi ha più bisogno, offrendo ascolto e supporto. Non basta però.
Infatti, è impossibile garantire condizioni adatte a impedire il propagarsi del contagio. Le persone sono costrette a utilizzare le mense per nutrirsi e i centri di accoglienza per dormire, luoghi affollati e promiscui, nei quali rispettare la distanza minima è molto difficile. Si forniscono informazioni sulle procedure da adottare in caso di rischio, attraverso una cartellonistica multilingue semplificata e ben visibile. Si predispongono dispositivi di sicurezza, gel, mascherine e fazzoletti. Si intensificano le pulizie delle superfici e degli ambienti. Si cerca anche di ridare conforto e vicinanza a chi, senza casa e senza famiglia, in questi giorni vive momenti di particolare tensione e paura sentendosi ancora più isolato. Tutto questo non basta.
Insieme a loro Medu denuncia la condizione di emarginazione e insicurezza in cui versano coloro che vivono in strada e che sono escluse dalle misure di prevenzione sanitaria per la pandemia di Covid-19. L’associazione, attiva da 2004, è nata con l’obiettivo di portare aiuto sanitario a chi è escluso dall’accesso alle cure e denunciare la violazione dei diritti umani.
Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medici per i Diritti Umani, racconta come stanno affrontando questa difficile realtà: «Abbiamo deciso di avviare un intervento urgente di triage medico telefonico per homeless e insediamenti precari. Verrà attivato anche un servizio di supporto psicologico. L’intervento si rivolgerà in particolare alle migliaia di persone che vivono negli insediamenti precari nel centro e nelle periferie di Roma, Firenze e Pistoia». Le attività ambulatoriali e le cliniche mobili attive finora sul territorio nazionale per assistere i senza dimora o chi vive in insediamenti precari sono state sospese. «I medici e gli operatori di Medu – continua Barbieri – si mantengono in costante contatto e coordinamento con le autorità sanitarie territoriali al fine di poter contribuire nei modi e nei tempi più opportuni alle strategie di contenimento dell’epidemia, fornendo le competenze e le risorse a disposizione dell’associazione».
Medu, insieme ad altre associazioni, fornisce anche assistenza sanitaria, legale e sociale alle persone che vivono presso gli insediamenti informali della Piana di Gioia Tauro. «Siamo molto preoccupati per i rischi per la salute che derivano dalle condizioni di vita all’interno della tendopoli di San Ferdinando e degli altri insediamenti precari presenti nella Piana», confida Barbieri. Le condizioni strutturali e igienico-sanitarie dei luoghi di dimora dei migranti impiegati in agricoltura sono tali che, se si presentasse un caso di contagio, la propagazione potrebbe avvenire in modo rapido e difficilmente controllabile. «I braccianti convivono numerosi in spazi ristretti, privi di acqua corrente ed elettricità e già soffrono per numerose patologie – racconta – per questo abbiamo chiesto alle istituzioni di adottare soluzioni per contenere il contagio, aumentando i servizi igienici e provvedendo alla loro disinfezione, allestendo uno spazio per la quarantena, fornendo disinfettanti, ma soprattutto pensando a soluzioni abitative alternative, capaci di garantire sicurezza per questi lavoratori».
A Roma si sono attivati contatti con l’amministrazione e la protezione civile per garantire in qualche modo una soluzione, affinché nessuno debba restare in strada e tutti abbiano accesso all’acqua. «Si potrebbe pensare almeno a un prolungamento di quanto previsto per il piano freddo», anche se i 450 posti messi a disposizione dall’amministrazione sono assolutamente insufficienti. Intanto anche Medu ha predisposto materiale informativo in tutte le lingue per consentire che le informazioni arrivino a tutti.
In questi giorni sono molte le associazioni che offrono aiuto e solidarietà a chi vive le difficoltà maggiori. Una di queste è Nonna Roma, nata nel 2017 dopo il ritrovamento di un uomo, morto di freddo e di abbandono in un parcheggio di un supermercato di Tor Bella Monaca. Un gruppo di volontari ha deciso allora di lanciare una raccolta di coperte e indumenti per chi dormiva in strada. La risposta è stata grande e i volontari, coordinati da Sant’Egidio, si sono occupati di distribuire durante la notte nelle zone più critiche della città di quanto raccolto. Da allora con lo scopo di aiutare le persone in difficoltà di ogni nazionalità, è stato attivato un banco alimentare di mutuo soccorso. Con la solidarietà dei cittadini si è arrivati a fornire un aiuto a più di 100 nuclei familiari, attraverso la distribuzione di cibo e generi indispensabili.
Si sono aggiunte man mano altre attività, dal doposcuola, alle lezioni di italiano per stranieri, all’assistenza legale e ai progetti di inserimento lavorativo, insieme all’impegno di stare accanto a chi si batte per il diritto alla casa. Soprattutto in questo momento in cui gli sfratti rischiano di mettere sulla strada altre famiglie Nonna Roma, alcune sigle sindacali e i movimenti per il diritto all’abitare hanno chiesto al governo il totale blocco degli sfratti in tutto il paese e ai Prefetti la sospensione dell’utilizzo della forza pubblica.
Sant’Egidio non ha chiuso le sue porte e osservando tutti i protocolli necessari continua a distribuire cibo e presidi sanitari. Insieme ad altre trenta associazioni ha inviato una lettera alla Sindaca Raggi e alla Prefetta Pantalone, per chiedere di attuare tutte le misure necessarie per assicurare a chi una casa non ce l’ha, assistenza e condizioni di vita sicure, a partire dal trasferimento in strutture di accoglienza. Scrivono: «Non basta, come ha stabilito un ordine del giorno approvato ieri dall’Assemblea capitolina, essersi impegnati a garantire ai volontari di continuare a distribuire i pasti e a prestare assistenza senza incorrere nelle sanzioni previste dall’ultimo provvedimento del governo. Serve la volontà politica di affrontare la situazione e una maggiore capacità di intervento ricorrendo a misure efficaci e attuabili in tempi brevi». Alla Prefetta in particolare chiedono di non far uscire dai centri di accoglienza i cittadini stranieri che hanno concluso il loro percorso e contemporaneamente di accelerare il trasferimento nelle strutture per quelli che sono in attesa di entrare.
Intanto dall’altro lato dello stivale, a Lecce, l’amministrazione comunale in collaborazione con la Croce Rossa Italiana ha montato unità prefabbricate presso il Cas di Masseria Ghermi, dove già erano attivi 25 posti letto per i senza fissa dimora, per garantire ospitalità in piena sicurezza. Si pensa anche a un possibile ampliamento se fosse necessario. Poi ovunque si sono attivati gruppi di volontari per portare cibo e medicine a chi, malato o troppo anziano, non può provvedere da solo a procurarsele. Una rete di solidarietà e condivisione che non nasce dal nulla, ma proprio da quelle realtà che da sempre hanno costruito un altro modo di concepire le relazioni e anche nella dimensione sconosciuta che stiamo vivendo continuano a costruire un mondo migliore, attraverso pratiche di mutualismo e azioni solidali.
Foto di Rinina25 & Twice25 da wikicommons
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