(Vincenzo Bisbiglia – il Fatto quotidiano) – “Roma
come Milano? Ho paura di sì”. Gianni Rezza, direttore del dipartimento
di Malattie infettive dell’ Istituto Superiore di Sanità, ha scoperto le
carte. E ora l’ allarme non si può più ignorare: il Covid-19 ha
infettato la Capitale. Ieri pomeriggio, i dati disaggregati delle Asl di
Roma contavano 38 casi di positività in città sui 122 complessivi del
Lazio (domenica erano 84). Al Policlinico Umberto I sono stati infettati
7 fra medici e specializzandi. E sono già 40, secondo l’ Ordine dei
medici, i soli dottori in quarantena, di cui 11 infetti. Senza contare
gli infermieri. Scenario che stride terribilmente con le immagini del
weekend quasi primaverile romano, in cui centinaia di ragazzi hanno
invaso i quartieri della movida. Il Campidoglio sta studiando un’
ordinanza per chiudere locali e ristoranti di sera, vietare la vendita
degli alcolici e sospendere i mercati rionali: dovrebbe essere firmata
questa mattina.
“Ma serve un’ azione coordinata con la Regione e la
Prefettura”, spiegano da Palazzo Senatorio, perché alcuni operatori,
nonostante l’ emergenza, hanno già fatto intendere che impugneranno il
provvedimento al Tar. Resta sullo sfondo il problema delle strutture
sanitarie. Se il virus si dovesse diffondere come in Lombardia, pur con
il piano d’ emergenza, il Lazio finirebbe per reggere la metà del tempo,
dunque al massimo 10 giorni. Negli ultimi 12 anni la Regione ha chiuso
10 ospedali a Roma e provincia.
Il più importante resta il mega-complesso da 150 mila
metri quadrati dell’ ex Forlanini – adiacente all’ istituto Spallanzani
in zona Portuense-Gianicolense – eretto negli anni 30 come polo d’
eccellenza nella cura della tubercolosi e chiuso dal 2015 dalla giunta
guidata da Nicola Zingaretti. Ora da più parti arriva l’ invito alla
Regione e al governo nazionale di attivarsi subito per ripristinare l’
operatività dell’ ospedale. C’ è anche una petizione online, che nel
giro di due giorni ha superato le 3500 firme.
In virtù della crisi della sanità laziale, l’
ospedale aveva subito una rapida riduzione dei posti letto: da 3.000
erano arrivati a soli 50 all’ atto della serrata. A quanto comunicato
all’ epoca da Zingaretti, la struttura pesava sul sistema sanitario
regionale per 15 milioni di euro l’ anno, un macigno nell’ ambito del
commissariamento avviato nel 2010 e alla luce della vicinanza degli
ospedali Spallanzani (176 posti) e San Camillo (857 posti).
Così l’ ex nosocomio è rimasto fermo a marcire, con i
padiglioni trasformati in tuguri, ritrovo di tossicodipendenti e teatro
di fatti di cronaca come lo stupro di gruppo ai danni di una prostituta
nel 2014. Dati sui costi per il mantenimento di questa inerzia la
Regione non ne fornisce. Sul sito ufficiale di Zingaretti, si parla solo
di 300 mila euro l’ anno per la vigilanza e di almeno 1 milione di euro
speso per la parziale bonifica. In 5 anni, la Regione ha cambiato più
volte idea sul riutilizzo dei locali.
Due delibere del 2015 parlavano del trasferimento di
una parte degli uffici regionali, a costo zero, poi destinati a un
immobile del campus Eriksson di Roma, di proprietà della Release Spa
(gruppo Banco Bpm) al prezzo di affitto di 2,7 milioni l’ anno. A quel
punto, è stata scelta la cessione all’ Agenzia del demanio per 70
milioni di euro, affinché il ministero degli Esteri lo assegnasse all’
Onu per farne la sede italiana del Fondo Internazionale per lo Sviluppo
Agricolo (Ifad) e del programma alimentare mondiale (Wfp). La procedura è
però ancora in fase embrionale.
L’ ultimo atto approvato è una memoria di giunta del
10 dicembre 2019, dalla quale si apprende che il governo, in caso di
effettivo accordo con l’ Onu, destinerebbe un finanziamento di 4 milioni
per la ristrutturazione, a fronte dei 63 milioni di euro stimati dalla
stessa Regione. Con l’ emergenza Coronavirus, l’ appello a riaprire
urgentemente il Forlanini arriva da più parti. Mentre il sindacato Direr
è impegnato sul fronte legale, prima Fratelli d’ Italia e poi Lega e
M5S hanno lanciato l’ appello al vicepresidente Daniele Leodori di
attivarsi per una graduale riapertura a supporto dello Spallanzani.
Ma dalla giunta non ne vogliono sapere. Il secondo
“Covid Hospital” sarà alla Columbus, una clinica della Fondazione
Gemelli da 250 posti letto – collegata all’ Università Cattolica di Roma
– in crisi dal 2014 e che a ottobre 2019 ha rischiato seriamente di
chiudere, per rinnovare solo in extremis il contratto semestrale d’
affitto. “Potrebbe non bastare – afferma Chiara Colosimo, consigliera
regionale FdI -. Va studiata subito la riapertura straordinaria di
ospedali chiusi negli ultimi sette anni”.
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