Slitta infatti a data da destinarsi la consultazione elettorale confermativa sul taglio dei parlamentari. Era previsto per il 29 marzo. Ipotesi (remota) election day con le regionali in maggio.
Al
tempo del coronavirus anche il referendum va in quarantena. Non si
celebrerà più nulla il prossimo 29 marzo. Slitta infatti a data da
destinarsi la consultazione elettorale confermativa sul taglio dei
parlamentari.
Era nell’aria che sarebbe finita così. D’altro canto, le prese di posizioni di queste ore da parte dell’esecutivo Conte-2 – si pensi alla chiusura della scuole e alla cancellazione di qualsiasi manifestazione – andavano già in questa direzione.
Così il consiglio dei ministri, convocato stamane, ha deciso di sospendere il referendum.
La data fissata a suo tempo (29 marzo) è stata considerata troppo vicina, data l’emergenza sanitaria che impedisce una adeguata campagna informativa.
Sia come sia all’interno del cdm si è stabilito di prendere altro tempo anche perché, confidano, “c’erano visioni diverse, fra chi avrebbe voluto comunque celebrarlo perché riteneva fosse una questione di principio (i cinquestelle ndr.) e chi invece avrebbe preferito celebrarlo più in là”.
A questo punto il governo ha tempo fino al 23 marzo per decidere una data entro la quale tenerlo. Se fosse così basterebbe un nuovo Dpr (Decreto del presidente della Repubblica) che fisserebbe il referendum in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo all’indizione. In tal caso, la consultazione slitterebbe al 17 maggio o al 24 maggio. Ma non è detto. Perché se si andasse oltre il 23 marzo la procedura ripartirebbe dall’inizio e i tempi potrebbero addirittura allungarsi. Il tutto, va da sé, dipende soprattutto da quanto si espanderà la pandemia. Se in sostanza si tornerà alla normalità nel giro di poco. “Abbiamo rinviato seguendo le indicazioni di Tabacci”, ironizza in Transatlantico Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Il quale poco prima di materializzarsi alla Camera utilizzava queste parole: “Il Governo ha ritenuto opportuno rivedere la decisione circa la data del referendum che era stata fissata prima dell’emergenza sanitaria, allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’informazione adeguata. Le procedure referendarie in Italia e all’estero dunque si sospendono e saranno rinnovate quando sarà fissata una nuova data per il referendum”.
Ecco, una delle ipotesi sul tavolo è quella di abbinare il referendum alle regionali del maggio prossimo. Non a caso nel corso di una conferenza stampa Vito Crimi, reggente dei cinquestelle, approva l’idea dell’election day: “Visto che stiamo cercando di recuperare ogni euro disponibile, non possiamo permetterci che sia un costo aggiuntivo come quello del Referendum. Proporremo l’accorpamento di tutte le elezioni da qui a giugno in un’unica data. Non possiamo permetterci di sprecare nemmeno un euro”. Eppure c’è chi già storce il naso. Ad esempio, i senatori Andrea Cangini, Tommaso Nannicini e Nazario Pagano, ovvero coloro che hanno promosso la consultazione, respingono strenuamente qualsiasi ipotesi di abbinamento: “Sarebbe molto grave se il governo decidesse di accorpare il referendum con le elezioni regionali. Non sarebbe accettabile una consultazione referendaria con un’affluenza a macchia di leopardo e soprattutto la confusione che si creerebbe per la sovrapposizione tra campagne elettorali così diverse tra loro”. Di certo, l’ultima parola spetterà al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale ha già fatto sapere che nelle prossime ore consulterà i comitati dei Sì e dei No. “Volevo consultarmi - osserva il premier -con i comitati, ma vi confesso che non ho avuto neanche un piccolo spazio per interloquire con loro”.
Era nell’aria che sarebbe finita così. D’altro canto, le prese di posizioni di queste ore da parte dell’esecutivo Conte-2 – si pensi alla chiusura della scuole e alla cancellazione di qualsiasi manifestazione – andavano già in questa direzione.
Così il consiglio dei ministri, convocato stamane, ha deciso di sospendere il referendum.
La data fissata a suo tempo (29 marzo) è stata considerata troppo vicina, data l’emergenza sanitaria che impedisce una adeguata campagna informativa.
Sia come sia all’interno del cdm si è stabilito di prendere altro tempo anche perché, confidano, “c’erano visioni diverse, fra chi avrebbe voluto comunque celebrarlo perché riteneva fosse una questione di principio (i cinquestelle ndr.) e chi invece avrebbe preferito celebrarlo più in là”.
A questo punto il governo ha tempo fino al 23 marzo per decidere una data entro la quale tenerlo. Se fosse così basterebbe un nuovo Dpr (Decreto del presidente della Repubblica) che fisserebbe il referendum in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo all’indizione. In tal caso, la consultazione slitterebbe al 17 maggio o al 24 maggio. Ma non è detto. Perché se si andasse oltre il 23 marzo la procedura ripartirebbe dall’inizio e i tempi potrebbero addirittura allungarsi. Il tutto, va da sé, dipende soprattutto da quanto si espanderà la pandemia. Se in sostanza si tornerà alla normalità nel giro di poco. “Abbiamo rinviato seguendo le indicazioni di Tabacci”, ironizza in Transatlantico Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Il quale poco prima di materializzarsi alla Camera utilizzava queste parole: “Il Governo ha ritenuto opportuno rivedere la decisione circa la data del referendum che era stata fissata prima dell’emergenza sanitaria, allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’informazione adeguata. Le procedure referendarie in Italia e all’estero dunque si sospendono e saranno rinnovate quando sarà fissata una nuova data per il referendum”.
Ecco, una delle ipotesi sul tavolo è quella di abbinare il referendum alle regionali del maggio prossimo. Non a caso nel corso di una conferenza stampa Vito Crimi, reggente dei cinquestelle, approva l’idea dell’election day: “Visto che stiamo cercando di recuperare ogni euro disponibile, non possiamo permetterci che sia un costo aggiuntivo come quello del Referendum. Proporremo l’accorpamento di tutte le elezioni da qui a giugno in un’unica data. Non possiamo permetterci di sprecare nemmeno un euro”. Eppure c’è chi già storce il naso. Ad esempio, i senatori Andrea Cangini, Tommaso Nannicini e Nazario Pagano, ovvero coloro che hanno promosso la consultazione, respingono strenuamente qualsiasi ipotesi di abbinamento: “Sarebbe molto grave se il governo decidesse di accorpare il referendum con le elezioni regionali. Non sarebbe accettabile una consultazione referendaria con un’affluenza a macchia di leopardo e soprattutto la confusione che si creerebbe per la sovrapposizione tra campagne elettorali così diverse tra loro”. Di certo, l’ultima parola spetterà al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale ha già fatto sapere che nelle prossime ore consulterà i comitati dei Sì e dei No. “Volevo consultarmi - osserva il premier -con i comitati, ma vi confesso che non ho avuto neanche un piccolo spazio per interloquire con loro”.
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