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Facciamo una premessa che sennò mi va in ansia il
cittadino-responsabile-e-disciplinato che, grazie a Dio, alberga in
quasi tutti noi: le misure a cui stiamo ricorrendo sono giuste e
sacrosante perché c’è un’emergenza sanitaria nazionale; e prima vengono
la vita e la salute e poi tutto il testo. Va bene? Okay, ora cominciamo a
ragionarci su. E ragionarci su vuol dire chiedersi, per esempio, come
potremmo definire questo stato di cose se non ci fosse il Covid-19.
Voglio dire: le strade deserte, la spesa contingentata, l’ora d’aria
giornaliera, le pattuglie in divisa agli incroci, l’autogiustificazione
per guidare da casa tua a quella di tua nonna, persino la patente per
camminare, se sarà necessario.
La patente per camminare? Sì, o il foglio rosa, se preferite;
insomma, un documento attestante il privilegio giustificante la vostra
deambulazione, in barba all’articolo 16 della Costituzione. Se vi stanno
già venendo i fumi o i nervi, tornate alla premessa. Ho già detto che
tutte le misure di cui sopra sono condivisibili e accettabili, per via
del Corona virus. Adesso tornate alla domanda: come potremmo definire
questo stato di cose senza il Covid-19? Esatto! C’è una sola risposta
plausibile: dittatura. L’esperienza drammatica, e per certi versi
surreale, in corso ha pochissimi aspetti positivi, forse nessuno. Ma
uno, se me lo consentite, c’è.
Ci sta mostrando, anzi ci sta facendo vivere sulla nostra
pelle, in presa diretta, giorno per giorno, in cosa consista un regime.
Ripeto: parlo da un punto di vista oggettivo, al netto del morbo. Tutte
le misure eccezionali da cui siamo (volontariamente) “costretti”, e a
cui ci siamo (spontaneamente) consegnati, sono la “normalità” in una
dittatura, in un regime. Vi dirò di più: quella in fase di
sperimentazione è (sul piano oggettivo e astraendo dalle circostanze)
una dittatura sui generis, molto meno simile a quelle lugubri e
totalitarie del Novecento e molto più affine a quella immaginata da
George Orwell nel romanzo “1984” o da Ray Bradbury in “Fahrenheit 451”.
Anche noi, come Winston Smith (il protagonista di “1984”) o come Guy
Montag (l’eroe “Fahrenheit 451”), viviamo in case dove uno schermo
gigante, spesso coadiuvato nell’opera da molti altri schermi minori,
spara quotidianamente messaggi pedagogici da un lato (“Andrà tutto
bene!”) e invasivi dall’altro (“Restate a casa!”). E, come in 1984, il
suddetto monitor ha la funzione di distrarci dalla “oggettiva”
condizione di prigionieri in cui ci troviamo.
Ovviamente, per rassicurarci, è sufficiente pensare: ma noi stiamo
vivendo uno stato di eccezione, poi faremo una grande festa e torneremo
alla normalità. Proprio come accadrebbe a chi si ridestasse
all’improvviso da un brutto incubo, prima di rimettersi a dormire:
tranquillo – si direbbe – è stato solo un sogno. Ecco, è precisamente
questo il punto. Non diamolo per scontato. Ci sono piani inclinati che,
una volta imboccati, si inclinano sempre di più. Ci sono azioni,
pensieri, abitudini da cui, una volta appresi, si fa fatica a staccarsi.
Non sottovalutate l’insidiosità dello slogan da cui siamo tutti
letteralmente bombardati in questi giorni bastardi: “Bisogna rispettare
le regole”. E neanche la pericolosità di quell’altro: “Dobbiamo cambiare
le nostre abitudini”. Se anche paiono temporaneamente, ed
eccezionalmente, validi, queste nenie ipnotiche sono normalmente, e
ordinariamente, l’anticamera di ogni dittatura. Se ce lo dimentichiamo,
finiremo per accettare (se non a invocare) le nuove “regole” e le nuove
“abitudini” anti Covid, anche in assenza di Covid.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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