di Aldo Scorrano*
e Francisco La Manna**
(*Presidente e **Vicepresidente di CSEPI – Centro Studi Economici per il Pieno Impiego)
“Il principio di sussidiarietà, in diritto, è il principio secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione.”
Il principio di sussidiarietà è stato ufficialmente sancito dal trattato di Maastricht e poi in quello di Lisbona.
Nel nostro caso è evidente che l’ente “inferiore”, lo Stato membro chiamato Italia, è incapace di “svolgere bene” il compito di assicurare uno stato assistenziale pieno e dignitoso, per un’insieme di regole e vincoli stringenti dettate dall’ente superiore, l’Unione Europea, la quale non deve intervenire ma può “sostenere l’azione” dello stato membro, cosa che risulta estremamente difficoltosa. Tuttavia, de facto, l’ente superiore, non ‘vuole’ politicamente, non ‘può’ giuridicamente, non ‘deve’ economicamente aiutare l’ente inferiore.
Come se ne esce?
Qualcuno sostiene che la “Brexit” sia una evidenza empirica dell’insostenibilità del “sistema Europa” intesa come UE, della cd. “governance”, per cui meglio uscire dalla morsa unionista, tentando di trovar fortuna al di fuori del perimetro vessatorio imposto da Bruxelles.
Si scontrano dunque due visioni: da una parte la pletora mainstream che non si stanca di ricordarci quotidianamente che nel caso in cui il nostro Paese abbandonasse l’Europa Matrigna farebbe esperienza di disastri economici e sociali maggiori; dall’altra assistiamo a ricette politiche ingenuamente radicali e prive di scenari programmatici adeguati a risolvere gli innumerevoli conflitti sociali che ne scaturirebbero!
Esiste una terza via?
Fermo restando che, a nostro giudizio, l’Unione Europea è irriformabile “da dentro”, e volendo concedere il beneficio del dubbio a chi ritiene il contrario, le riforme da attuare sarebbero tante e tali da determinare una vera “rivoluzione” dell’Unione, un ribaltamento dello status quo che le stesse élites, compresa una larga fetta del mondo imprenditoriale globalista, impedirebbero con ogni mezzo, per cui ci pare abbastanza chiaro che tale alternativa, seppur auspicabile, sia invece politicamente impraticabile a causa dell’enorme disparità delle potenze di fuoco in campo.
Anche perchè, la percezione che abbiamo ogniqualvolta si invoca il fatidico cambiamento è che la governance allenterà solo mediaticamente la morsa, soprattutto per l’evidenza suggerita dall’empirica constatazione dei pregressi tentativi pseudoriformisti (la politica monetaria della BCE inefficace, il piano Junker, gli investimenti verdi della Der Layen), magari con aperture temporanee “della valvola di ossigeno”: quel poco necessario dunque per far superare l’ennesima emergenza, scandito da campagne mediatiche sensazionalistiche, per poi richiudere la valvola di nuovo e presentare il conto “dell’ossigeno respirato”.
Non resterebbe quindi che la via della “rottura” degli accordi giuridici, economici e monetari, nonchè politici, che aprirebbero, però, scenari complessi quanto poco gestibili dalle attuali classi politiche nazionali.
Pertanto, dati gli attuali rapporti di forza, endogeni all’Europa ed esogeni rispetto gli USA, ci domandiamo:
1. chi sarebbe in grado di portare avanti questo processo, soprattutto senza un appoggio esterno (che in questo momento storico potrebbe arrivare dalla Russia) che “garantisca” una sorta di protezione internazionale?
2. quali forze politiche sarebbero in grado di gestire l’uscita dall’UE e dall’UME?
3. con riferimento proprio all’euro, siamo proprio sicuri che le forze politiche del momento sappiamo cosa fare, in tema di politica monetaria, fiscale, industriale e del lavoro?
4. ad esempio, nel campo economico, a cosa serve “uscire” dall’attuale sistema monetario se si resta imbrigliati nelle stesse logiche e dinamiche appannaggio di una “visione” abbondantemente superata, tipica della teoria neoclassica o marginalista, o perseverando nel mito dell’export (svalutare – moneta/lavoro – per esportare), come da “tradizione” di una certa politica economica italiana?
Sic stantibus rebus, noi temiamo che in tale
prospettiva – priva di una coscienza sociale e orfana di una conoscenza
esatta dei rapporti di forza degli attori in campo e con proposte di
politica economica completamente sbagliate – la realtà sia tragicamente
più complicata e che possa quindi essere molto più auspicabile optare
per una “terza via passiva”, cioè quella di Fabio Massimo Quinto “il
Temporeggiatore”: bisogna prendere atto che siamo in una fase di resistenza
e il nostro Paese oggi è privo di quel sistema immunitario che gli
consentirebbe la possibilità di vincere la guerra con il suo oppressore
malato ed è costretto ad attendere la mossa sbagliata di qualcun altro,
aspettando che il morbo dell’insostenibilità, soprattutto fiscale,
faccia il suo corso, magari coadiuvato dalla spinta dell’ottusità della
Commissione Europea e del Consiglio d’Europa.
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