lunedì 4 novembre 2019

STAZIONE DI FINLANDIA - La forza propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre.

7 novembre 1917: presa del Palazzo d’Inverno, a Pietrogrado, da parte dei bolscevichi guidati da Lenin ed inizio della Rivoluzione d’Ottobre. Per il calendario giuliano (perché promulgato da Giulio Cesare nel 46 a.c.) vigente in Russia era il 25 ottobre, per il calendario gregoriano (perché stabilito da Papa Gregorio nel 1582 e vigente in Italia ed in gran parte del mondo) era il 7 novembre. Per questo, in questo giorno, i comunisti, i rivoluzionari di tutto il mondo ricordano e commemorano la Rivoluzione d’Ottobre.

 
 
Fosco Giannini,direzione nazionale PCI
 
La commemorazione è un atto decisivo affinché la memoria della più grande rivoluzione della storia dell’umanità non venga cancellata e sia invece sempre riconsegnata ai lavoratori, alle lavoratrici, alle giovani generazioni e ai giovani rivoluzionari dell’intero mondo. Vi è tuttavia, anche per ciò che riguarda la commemorazione della rivoluzione leninista, il pericolo, sempre in agguato, di una liturgia ossificata che rimuova parti essenziali dell’Ottobre. I comunisti, i rivoluzionari che ogni anno, ad ogni 7 novembre, meritevolmente, rievocano l’Ottobre sono fondamentalmente e giustamente d’accordo sul riproporre una scaletta di importantissime questioni, che dobbiamo continuare a fare nostre e rilanciare contro l’ideologia imperialista e capitalista: con l’Ottobre, per la prima volta nella Storia, si superano i rapporti di produzione capitalistici, che il pensiero liberale definiva eterni e “naturali”, si abbatte l’ordinamento statuale borghese e si costruisce concretamente il socialismo, che quello stesso pensiero definiva un’irrealizzabile utopia; con l’Ottobre si danno le basi materiali per l’apparizione nella storia dell’umanità dell’ “uomo nuovo” e della “donna nuova” e nessuno è in grado di contestare la verità storica per la quale nei (soli) sette decenni della storia sovietica, in virtù del fatto che è anche la legge che crea la morale, non si sia costituito nel Paese dell’Ottobre un senso comune di massa socialista, anti individualista, umanamente evoluto; dall’Ottobre si costituisce quella forza materiale, morale e ideale che contribuisce in modo assolutamente prioritario alla vittoria sul nazifascismo, in totale antitesi ai dubbi, alle speculazioni e ai conseguenti e untuosi ritardi che gli stati imperialisti e capitalisti mostrano nella stessa lotta contro le orde nero-brune; dall’ esperienza sovietica consolidata scaturisce un’immensa e planetaria onda rivoluzionaria, anti imperialista e anti colonialista che libera tanti popoli di tanti Paesi in tutto il mondo; dall’Ottobre e attraverso l’URSS il socialismo diviene tra i più grandi ed universalmente estesi ideali dell’umanità e da questo ideale si costituiscono ovunque i partiti comunisti e le forze anti imperialiste, anticolonialiste e rivoluzionarie.

Questo è ciò che si deve rievocare e doverosamente si rievoca in ogni commemorazione dell’Ottobre, in ogni 7 novembre. Ma vi sono vicende, aspetti, “tagli ideologici”, idee-forza dell’Ottobre e del pensiero e della prassi leninista che con più difficoltà vengono ricordati, che spesso vengono rimossi. E che abbiamo invece il dovere di riportare alla luce.

Molte commemorazioni partono dalla presa del Palazzo d’inverno, appunto il 7 novembre, da parte dei bolscevichi, quasi come se da lì, improvvisamente, fosse partita la rivoluzione e come se lì, nella conquista della ex residenza degli zar, fosse terminato lo stesso processo rivoluzionario. Una lettura di questo tipo sta ad esempio alla base del pensiero borghese e reazionario (ma, ormai, spesso, anche “progressista”) tendente a definire l’Ottobre solo come un “sanguinario colpo di stato”. Invece, è proprio negli eventi che precedono la conquista del Palazzo d’Inverno e in quelli che succedono ad essa che si trovano gli elementi che sconfessano tale analisi e nei quali s’addensano il pensiero e la prassi della rivoluzione, nei quali si possono ritrovare le lezioni per gli attuali processi rivoluzionari.

Lunghe, affascinanti e ricchissime di lezioni per l’attuale esperienza rivoluzionaria sono le vicende che segnano il pensiero e la prassi dei bolscevichi verso l’Ottobre. Lezioni così dense che ogni scuola dei partiti comunisti dovrebbe di nuovo divulgare, affinché diventino parte importante della coscienza di classe. Solo alcune di queste “lezioni”, di queste vicende si possono, in questo contesto, ricordare.

Possiamo azzardare l’ipotesi che tutte le vicende che portano i bolscevichi alla rivoluzione d’Ottobre sono inseribili, nella loro diversità, all’interno di un’unica idea-forza: credere nella rivoluzione, credere nel socialismo, credere nel carattere materialista delle contraddizioni storiche, politiche e sociali che vanno manifestandosi nella Russia prerivoluzionaria e su questa base lavorare per accentuare tali contraddizioni, attraverso la costruzione del soggetto rivoluzionario ( il partito) e del suo gruppo dirigente.

Non è dunque, solo con la presa del Palazzo d’Inverno, non è solo con il 7 novembre 1917 che si produce l’Ottobre. Contano i lunghi anni di resistenza bolscevica che precedono il Palazzo d’Inverno; contano i sacrifici di Lenin, di Stalin e di tutto il gruppo dirigente rivoluzionario; contano i lunghi anni d’esilio e di galera dell’intero gruppo dirigente, la terribile e spesso miserabile durezza della vita dei bolscevichi (nel gennaio del 1916, a circa un anno dalla rivoluzione, Lenin e la moglie Krupskaija si trasferiscono da Berna a Zurigo e vanno a vivere in una stanzetta buia e strettissima, nello stesso appartamento dove viveva una prostituta e poveri emarginati dei bassifondi); conta la tenacia – con Lenin in testa – della lunga lotta politica e teorica contro le posizioni più moderate dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari, contro Plekhanov e contro Martov; conta la lotta leninista “contro il pensiero moralista e piccolo-borghese” dei menscevichi contrari alla conquista dei fondi economici per la rivoluzione anche attraverso le rapine alle banche capitalistiche; conta la genialità di Lenin nell’aver messo in luce la natura profonda della Prima Guerra Mondiale, definita dal capo dell’Ottobre “guerra inter imperialistica”, che dunque non chiedeva, per questa sua intima natura, ai popoli e alle forze socialiste, di schierarsi con una parte degli Stati in guerra, ma solo per la fine della guerra; conta la lucidità rivoluzionaria di Lenin che, anche contro le posizioni dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari russi, chiuse nella trappola del falso patriottismo e dunque della prosecuzione della guerra contro la Germania, chiede che la Russia firmi con il Kaiser tedesco una pace separata, conquistando con questa linea i marinai, i soldati, gli operai e i contadini russi, tutti destinati all’insensato macello del fronte, mentre in Italia la debolezza rivoluzionaria dei socialisti lascia che sia Mussolini a conquistare la fiducia dei soldati tornati dal fronte per poi organizzarli nelle squadracce fasciste. Così Lenin arriva alla presa del Palazzo d’Inverno, con il popolo e gran parte dell’esercito conquistato a sé, ai bolscevichi. Che visione anticonformista, che lezione questa di Lenin e dei bolscevichi, una lezione per tutte quelle forze di sinistra che anche oggi non utilizzano la discriminante antimperialista nella lettura delle contraddizioni internazionali e nazionali!

E prima del Palazzo d’Inverno, prima del 7 novembre, c’è il 16 aprile del 1917, quando Lenin, proveniente da un esilio decennale, scende alla stazione Finlandia di Pietrogrado e lì, di fronte ad una folla di operai e rivoluzionari, senza tentennamento alcuno, indica che la strada è quella della presa del potere bolscevico e della fine immediata della guerra, contro il governo Kerenskij che intanto, con le forze mensceviche, socialiste rivoluzionarie e con i rappresentanti della borghesia russa, aveva scalzato lo zar dirigendo il Governo Provvisorio.
Anche qui – stazione Finlandia – che lezione per i tentennamenti, i cedimenti, le degenerazioni tatticistiche di tante odierne forze di sinistra, italiane e internazionali.

E con quanta determinazione Lenin spinge affinché sia il 7 novembre il giorno della presa del Palazzo d’Inverno. Una schiera infinita di oppositori si leva contro la decisione di Lenin, dai menscevichi ai socialisti rivoluzionari, da Plekhanov allo stesso Maksim Gor'kij, il grande scrittore russo del romanzo “La madre”, che accusa Lenin di “anarchismo”, dalle aree zariste dell’esercito collegate a Kerenskij sino a significative aree stesse dei bolscevichi: “non è questa l’ora della presa del potere!”. Ma i leninisti sferrano l’attacco e aprono il processo rivoluzionario dell’Ottobre.

Ma la rivoluzione, appunto, non finisce con la conquista del Palazzo d’Inverno. È l’estensione della rivoluzione e la difesa con le unghie e con i denti del nuovo potere bolscevico (vicende a volte poco rievocate anche da chi commemora il 7 novembre) che parlano e dovrebbero parlare della natura rivoluzionaria dell’Ottobre, di quella dei comunisti di allora e di oggi. La dura e non sentimentale difesa della rivoluzione d’Ottobre, con Lenin e dopo Lenin, ci parla oggi, ad esempio, della giustezza della difesa rivoluzionaria del governo Maduro, in Venezuela, contro i tentativi golpisti condotti dall’imperialismo USA. Difesa rivoluzionaria, questa di Maduro, non condivisa da aree vaste della “sinistra” italiana e mondiale.

Dopo il 7 novembre Lenin lancia l’ordine dell’insurrezione anche a Mosca e il 10 novembre i bolscevichi moscoviti, comandati da Bukharin, occupano il Cremlino, dove risiede il potere dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari. A Pietrogrado, dopo il 7 novembre, la controffensiva dei menscevichi di Kerenskij, appoggiata dalle truppe fedeli allo zar, è potente, ma la resistenza leninista sostenuta dai ventimila operai della fabbrica Putilov (ai quali era giunta una – inutile- lettera di Plekhanov con la quale si intendeva dissuaderli dal difendere la rivoluzione bolscevica) dai marinai e dai soldati risulterà, in uno scontro sanguinoso, vincente.

La questioni economiche, il denaro da utilizzare a sostegno della rivoluzione e a sostegno delle masse disperate del Paese, sono tra le questioni centrali. Lenin, studiando le vicende della Comune di Parigi, punta immediatamente (dopo la presa del Palazzo d’Inverno a Pietrogrado, del Cremlino a Mosca e la processuale presa del potere in tutta la Russia) a nazionalizzare l’intero sistema bancario russo. Ma la Banca di Stato e la Tesoreria di Stato, legate a Kerenskhi, sono in sciopero. I bolscevichi, ancora impossibilitati a fornire legalmente la rivoluzione con i soldi dello Stato, licenziano immediatamente i direttori e si impossessano “legalmente” di quei fondi indispensabili al consolidamento della rivoluzione.

Il 18 gennaio del 1917 Lenin scioglie, a palazzo Tauride, l’Assemblea Costituente formata ancora dai menscevichi, dai socialisti rivoluzionari e dagli esponenti della borghesia russa. La scioglie con la forza, con i marinai dell’ “Aurora”, con i soldati della rivoluzione, con gli operai di Pietrogrado. Quell’Assemblea Costituente era ancora legale e punto di riferimento sia di Kerenkij che della borghesia russa. Quanti esponenti dell’attuale sinistra, oggi, pervasi dallo spirito legalitario borghese, segnati dalla mitologia della costruzione del socialismo solo attraverso le istituzioni borghesi, sarebbero stati d’accordo con Lenin per lo scioglimento con la forza dell’Assemblea Costituente?

Nel suo ultimo discorso a quell’Assemblea, il leader dei socialisti rivoluzionari, Viktor Chernov, dopo la lunga e durissima tirata antibolscevica, termina l’intervento rilanciando con forza l’idea della prosecuzione della “guerra patriottica russa” contro la Germania. Ma quell’Assemblea fu sciolta da Lenin che inviò poi, a fine novembre 1917, la delegazione di pace sovietica (capeggiata da Joffe e da Trotzkij) a trattare con i tedeschi, a Brest-Litovsk, la pace separata, la fine della guerra, la fine dell’impegno bellico russo a fianco di uno dei fronti imperialisti, quello franco -britannico, al quale si sarebbe poi aggiunto il nuovo alleato statunitense.

L’Ottobre, dunque, non è solo il 7 novembre, non è solo la presa del Palazzo d’Inverno: è la prosecuzione della lotta in difesa della rivoluzione, è la resistenza dell’Armata Rossa e del popolo in armi, sino al 1922, contro la Guardia Bianca zarista e gli eserciti di undici, diversi, Stati capitalistici entrati in Russia contro la Rivoluzione. L’Ottobre, l’Unione Sovietica sono il prodotto di questa titanica lotta, prima per costruire il processo rivoluzionario e poi per difenderlo, nel tempo di Lenin e dopo Lenin. Ed è per questi motivi che il 7 novembre tutta la storia rivoluzionaria bolscevica va rievocata, nell’intento di fornire alle attuali avanguardie rivoluzionarie, ai comunisti, le lezioni politiche e teoriche di tutto l’Ottobre, quello che va dal Palazzo d’Inverno alla costruzione dell’Unione Sovietica, passando per la vittoria contro il nazifascismo.

La determinazione che va messa nella lotta anticapitalista e antimperialista; la costruzione e il radicamento del partito comunista come prima necessità (necessità che mai va subordinata ai tatticismi elettorali ) per questa lotta; la costruzione dei quadri e della loro coscienza rivoluzionaria; la costruzione di gruppi dirigenti capaci di far crescere il partito nelle lotte, nelle mobilitazioni e nel rafforzamento della stessa coscienza rivoluzionaria: queste sono le lezioni che provengono dal 7 novembre e dall’intera lotta bolscevica e leninista.

I pericoli della rimozione di tutta quella, intera, lezione rivoluzionaria incombono sempre. Ormai decenni fa, dall’interno del PCI, che da lì a poco si sarebbe auto dissolto, si levò una parola d’ordine, che ratificava “l’esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. A tutti coloro che si opposero a tale formulazione vennero fornite diverse risposte, tra le quali alcune sinceramente anticomuniste e altre che asserivano che con quella frase si voleva dire “altro”. Bene: noi crediamo che quella formulazione espressa dal PCI degli anni ’80 fosse comunque sbagliata, poiché, per la sua grandezza storica, la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre è destinata a rimanere accesa per sempre.

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