A partire dal prossimo anno Comuni, Province,
comunità montane ecc. potranno infatti emettere accertamenti
suscettibili di diventare titolo esecutivo per la riscossione forzata.
infosannio.wordpress.com (Elisabetta D’Angelo, avvocato esperto di diritto
tributario)
La novità riguarda la riscossione di tutti i tributi e
le entrate patrimoniali locali oggetto di accertamento (IMU, TASI, TARI
ecc.), non ancora prescritti, mentre non dovrebbe estendersi alle
sanzioni per violazioni alle disposizioni del Codice della Strada la cui
escussione segue un iter amministrativo diverso.
Avvocato D’Angelo, cosa cambierà se le norme inserite nella manovra verranno approvate?
La riforma della riscossione degli enti locali avrà
effetti dirompenti. Finora gli atti impositivi emessi dagli enti locali
non avevano alcuna efficacia esecutiva: la riscossione dei tributi,
infatti, poteva avere inizio solo dopo la preventiva notifica (anche
dopo parecchi mesi) della cartella di pagamento. Si aveva quindi tutto
il tempo a disposizione per valutare la fondatezza della pretesa
impositiva e per promuovere eventualmente un contenzioso presso la
Commissione Tributaria Provinciale competente.
Si eliminano molti passaggi e si accorciano i tempi
Nell’ottica di potenziare l’attività di riscossione
delle entrate locali il Governo ha proposto il ricorso allo strumento
dell’accertamento esecutivo già in uso da qualche anno presso l’Agenzia
delle Entrate per la riscossione dei tributi nazionali. In particolare,
la Legge di Bilancio 2020 prevede che, per la riscossione di importi
superiori a 10mila euro, i nuovi accertamenti dovranno contenere
l’intimazione ad adempiere entro il termine di 60 giorni, decorso il
quale, l’atto diventerà immediatamente esecutivo con la conseguenza che
l’ente creditore potrà attivare tutte le procedure esecutive e cautelari
senza bisogno di attendere la notifica della cartella di pagamento.
Ma la soglia di 10mila euro si riferisce ai singoli tributi?
No, secondo la formulazione della norma, all’intero
debito dovuto (comprensivo quindi di imposte, sanzioni ed interessi
maturati) e potrà essere oggetto di recupero mediante successivi atti
che superano cumulativamente il predetto importo. Ciò significa che si
tratta di una soglia di “salvaguardia” decisamente bassa che potrebbe
essere “sforata” molto facilmente.
Se invece si tratta di importi inferiori?
L’accertamento non costituirà titolo esecutivo ma
occorrerà la preventiva notifica di un sollecito di pagamento con
l’invito a saldare il debito nel termine dei successivi 30 giorni,
decorso il quale l’ente creditore potrà attivare la procedura esecutiva.
Mettiamo che io non intenda pagare perché non
ritengo giusta la pretesa, perché ho già pagato e l’ente non ha
aggiornato le sue banche dati, oppure l’importo dovuto non è corretto.
Cosa dovrei fare?
Se si è già pagato (o, ad esempio, se il credito è
già prescritto) si può chiedere all’ente creditore in via di autotutela
lo sgravio delle somme iscritte a ruolo con tempi però imprevedibili.
Negli altri casi o, comunque, se l’ente creditore non risponde
nell’immediato all’istanza di sgravio occorrerà impugnare subito l’atto e
chiedere alla Commissione Tributaria Provinciale la sospensione
dell’efficacia esecutiva.
Posso presentarmi in prima persona agli organi della giustizia tributaria o mi serve un avvocato?
È possibile instaurare il giudizio tributario da soli
(senza bisogno di avvocato, commercialista ecc.) per controversie di
importo inferiore a 2.582,28 euro. Per tutte le altre, serve un
difensore tecnico.
Presentato il ricorso, posso stare tranquillo
No, perché si apre quindi una corsa contro il tempo
per ottenere la sospensione giudiziale entro il termine dei 60 giorni
dalla notifica dell’atto. La concessione della sospensione, peraltro, è
tutt’altro che scontata perché occorrerà dimostrare l’infondatezza
della pretesa (il c.d. “fumus boni iuris”) ed il “periculum in mora” (provare che l’attività di riscossione produca per il contribuente un danno grave ed irreparabile).
Non proprio una passeggiata
L’onere della prova è in capo al ricorrente:
bisognerà presentare gli estratti conto, gli immobili di proprietà, i
pagamenti, i bilanci se si tratta di una società, e ogni documento che
possa dimostrare come il prelievo forzoso sottrarrebbe somme già
destinate a pagamenti improrogabili ed essenziali per la vita
dell’individuo o della società. Ad esempio, nell’ultimo periodo alcune
imprese hanno dimostrato come certe somme erano state accantonate in
ottemperanza agli accordi sindacali sui prepensionamenti ex art 4 Legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero).
Ok, ho chiamato l’avvocato, raccolto i
documenti, presentato il ricorso. A questo punto posso dirmi ottimista
sulla sospensione dell’esecutività?
L’art. 48 del D.Lgs. 546/1992 (che disciplina il
processo tributario) prevede che l’istanza di sospensione debba essere
esaminata entro il termine di 180 giorni (sei mesi) dalla presentazione,
e spesso non viene rispettato: l’unica strada è andare in commissione e
pregare per farsi emettere il decreto d’urgenza da parte del Presidente
della Sezione presso la quale pende il fascicolo.
E se quindi, come quasi sempre accade, non ce la faccio a ottenere la sospensione entro il termine stringente dei 60 giorni?
L’ente creditore potrà attivare tutte le procedure
esecutive previste dalla legge, tra le quali, l’iscrizione del fermo
sull’autoveicolo del debitore e il pignoramento del conto corrente. Con
riferimento a questo ultimo aspetto, gli enti locali saranno creditori
privilegiati (al pari del Fisco) in quanto potranno procedere senza
alcun controllo da parte di un giudice.
Mi spieghi meglio questo pignoramento: è simile a quello che dispone il giudice civile per il creditore inadempiente?
C’è una grossa differenza tra il pignoramento presso
terzi disciplinato dal codice di procedura civile e quello speciale
dell’espropriazione esattoriale. Il pignoramento del conto corrente da
parte del Fisco (e dal 2020 da parte anche degli enti locali) è più
insidioso. Non solo perché il blocco avviene senza preavviso,
ma anche perché la procedura è più veloce di quella ordinaria. Gli enti
locali, peraltro, saranno in grado di sapere con largo anticipo la
banca ove il contribuente deposita i soldi potendo accedere all’Anagrafe
dei rapporti finanziari dell’Agenzia delle Entrate.
Una volta che scatta il pignoramento, cosa
succede? Non sono più libero di disporre del mio conto in banca? E lo
stipendio, il mutuo da pagare…
Il pignoramento dovrebbe avvenire secondo le regole
ordinarie previste dalla legge in tema di riscossione dei tributi:
stipendio, salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro
possono essere pignorati in misura pari ad un decimo per importi dovuti
fino a 2.500 euro, ed in misura pari ad un settimo per importi tra i
2.500 e i 5.000 euro. Se un soggetto deve più di 5.000 euro all’ente
creditore, la quota massima pignorabile è un quinto dello stipendio.
Questo per le entrate da lavoro. E le somme già presenti sul conto?
Il primo pignoramento potrà avvenire fino su una
somma fino a tre volte l’assegno sociale (pari a 460 euro). Se il
pignoramento viene fatto per somme superiori rispetto a quelle presenti
sul conto corrente, il conto resta “vincolato” nel senso che i
successivi accrediti verranno “trattenuti” dalla banca e una parte sarà
direttamente all’esattore fino ad estinzione del debito.
Unico modo per ottenere lo sblocco del conto corrente
è quindi la presentazione di una richiesta di rateazione (anche in
pendenza di un eventuale giudizio), ma solo con il pagamento della prima
rata il conto corrente verrà liberato.
Ma solo comuni ed enti pubblici (tipo l’Agenzia delle Entrate) potranno attivare questa procedura?
La nuova procedura riguarderà tutti gli enti locali.
L’Agenzia delle Entrate già utilizza lo strumento dell’accertamento
esecutivo da diversi anni. Per quanto riguarda gli enti locali, potranno
usare questa procedura anche quelli che si avvalgono per l’attività di
riscossione di soggetti privati abilitati.
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