Vedere
un ministro “tecnico” ironizzare sui “presunti rischi” derivanti dal
nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità fa uno strano effetto; specie se
premette “il trattato è già scritto ed è inemendabile”, e quindi il
Parlamento non ci può fare niente. Da quando in qua un accordo
“vantaggioso per il Paese” deve essere raggiunto nella più totale
segretezza?
Della serie: siamo tutti noi i cretini, gli ignoranti o soltanto
sospettosi, oppure è lui che mente buttandola in “coglionarella”?
In
alcuni passaggi ha ricordaato addirittura la versione italiana di “Alì
il comico”, quel generale di Saddam che davanti alle telecamere
ridacchiava negando che gli americani stessero avanzando, mentre in
pratica stavano per apparire alle sue spalle…
Ricordiamo
che su questi “pericoli” si erano espressi nella scorse settimane
personaggi “tecnicamente” ben più influenti di noi, dal governatore
della Banca d’Italia (Ignazio Visco), a ex senatori Pd ora in
Confindustria (Giampaolo Galli), il presidente del Centro Europa
Ricerche (Vladimiro Giacchè) e una massa di economisti di ogni livello
che in genere plaudono a tutte le scelte dell’Unione Europea.
Last but not least, persino un veterano del neoliberismo più cieco come Francesco Giavazzi, ha speso un editoriale sul Corriere della Sera per dire che “ha ragione chi teme che le proposte di riforma del Fondo comportino dei rischi per l’Italia”. Salvo poi arrendersi subito, perché “sul Fondo salva-Stati ormai è tardi. Fra
l’altro il precedente governo le aveva approvate prima dell’estate.
Ora, contraddicendoci, potremmo solo opporre il nostro veto”.
Ma
la vera fucilata contro la “comicità” del ministro Gualtieri è arrivata
ieri mattina con un fondo a firma di Angelo De Mattia, che come
economista esperto di finanza sicuramente “pesa” qualcosa più dell’ex
tecnoburocrate europeo chiamato a fare il ministro. In fondo De Mattia può
vantare una lunga carriera da dirigente in Banca d’Italia e ancora oggi
guida l’ufficio studi della Fondazione Generali; mentre il ministro ha
avuto una formazione da storico.
Il punto critico è colto con assoluta precisione. Passare – come Gualtieri ha ammesso – da requisiti impliciti a requisiti espliciti per
la valutazione sulla sostenibilità del debito pubblico di un paese
significa fornire un quadro certo non solo per la fornitura di prestiti,
ma anche per l’iniziativa di qualsiasi speculatore sul mercato.
Se
si è insomma certi che in determinate condizioni quantitativamente
fissate uno Stato sarà costretto a ristrutturare il proprio debito
(ossia a svalutare drasticamente i titoli di stato emessi e posseduti
dalle banche, quasi sempre italiane), quella possibilità oggi solo
ipotetica (l’Italia o altri paesi vicini al default) potrà diventare
concreta con molta più facilità.
In
secondo luogo, se è vero che il passaggio sulla “ristrutturazione del
debito” non compare più nel testo dell’accordo già sottoscritto a giugno
(con la Lega al governo!), altrettanto non si può dire sui working documents che stanno venendo fuori in questi giorni. Il Messaggero,
per esempio, cita diffusamente un “allegato nascosto” – tra quelli che
lo stesso Gualtieri ha definito “un lavoro sugli aspetti esterni” al
trattato – che invece dovrebbe preoccupare anche il ministro. Vedi qui: 2019112843850119
Tanto più che le decisioni del Mes non
vengono prese all’unanimità (come nella Commissione Europea), ma a
maggioranza, secondo le quote versate dai singoli paesi per il Fondo
stesso. E lì, con Germania e Francia che da sole “pesano” per il 47%
(rispettivamente 27 e 20), ci vuole un attimo a fare la maggioranza che
ti stronca.
In effetti, a ben vedere, la sagoma di “Alì il comico” svolazza davvero anche sul palcoscenico italiano…
*****
Quei tanti dubbi che ancora restano sul Meccanismo
Angelo De Mattia – Milano Finanza
Nell’audizione
tenuta ieri in Senato, ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha
esordito affermando di avere ascoltato con stupore e con divertimento le
tesi infondate sostenute dai critici della bozza dell’accordo
intergovernativo sul Meccanismo europeo di stabilita.
Ha
abbondato nelle aggettivazioni e nel sarcasmo, definendo comica
l’affermazione secondo la quale la riforma del Fondo salva-Stati sa-
rebbe una «terribile innovazione».
Ma basta seguire gli sviluppi del suo ragionamento perché si constati il calo dell’asserita comicita.
Gualtieri
afferma che la revisione ha mirato a prevedere per il Mes una funzione
di backstop del Fondo di risoluzione delle banche finanziato dai
contributi delle stesse banche. Su questo punto, per la verità, nessuno
ha mosso obiezioni, se non quelle, più generali, che riguardano
I’adeguatezza di tale fondo, a prescindere dal «paracadute», e il fatto
che esso é il secondo pilastro dell’Unione bancaria, mentre resta
inedificato il terzo, assai importante, pilastro che é quello
dell’assicurazione europea dei depositi.
Quanto
ai criteri di ammissibilità alle linee di credito del Mes, il ministro
osserva che si é trattato di esplicitare indicatori, in precedenza
impliciti, della situazione fiscale e degli squilibri macroeconomici,
nonché altri criteri concementi la sostenibilità dei bilanci.
Il
passaggio da requisiti impliciti a requisiti espliciti, il cui
controllo spetterà alla Commissione Ue e al Mes, è acqua fresca? Che,
poi, questi requisiti, quantitativi e qualitativi, siano indicati in un
allegato all’accordo intergovemativo che può essere modificato, ha detto
Gualtieri, con maggiore facilità rispetto al testo dell’accordo, non
suggerisce di proporre sin d’ora modifiche, anziché indugiare in una
ironia a buon mercato?
Poi
Gualtieri ha aggiunto che i criteri quantitativi, riportati in un
allegato all’accordo, vanno rispettati solo «in linea di principio» e,
dunque, sono sottoposti a un regime di discrezionalità.
Insomma,
si deve far leva, ove mai fosse necessario accedere ai finanziamenti,
sulla buona disponibilità dei partner europei perché si impieghi la
discrezionalit in senso favorevole? Siamo anche qui all’apoteosi della
flessibilità?
E’
indubbio, poi, che con la modifica del tipo di voto che le riguarda, le
clausole di azione collettiva vengano rafforzate. Ma il punctum dolens
resta: con esplicitazioni e rafforzamenti di specifiche previsioni, il
giudizio sulla sostenibilità del debito diventa più duro e le
conseguenze che se ne traggono sul debito
e
con la modifica del tipo di voto che le riguarda, le clausole di azione
collettiva vengano rafforzate. Ma il punctum dolens resta: con
esplicitazioni e rafforzamenti di specifiche previsioni, il giudizio
sulla sostenibilità del debito diventa più duro e le conseguenze che se
ne traggono sul debito non sono per nulla irrilevanti.
Di
fatto, anche a prescindere dalla terminologia adottata, vi sarà, nei
casi di non sostenibilità, l’obbligo di una ristrutturazione del debito
che sarà la condizione per ottenere i prestiti. A questa parteciperanno
anche i privati portatori dei titoli.
E’
indubbio, poi, che il rango del nuovo Fondo, per le maggiori
attribuzioni, salga di livello nei confronti della Commissione. Non
interessa sapere, ora, di quanto il Mes si discosti dalla precedente
versione, anche perché, se si innova e lo si vuole fare seriamente, non
si devono trovare le giustificazioni in ciò che é già vigente e
costituisce una stortura.
Sarebbe
singolare avere la pretesa di dividere ciò che, secondo un assai
superficiale giudizio, tutto sommato si potrebbe accettare ed é quel che
ora viene inserito ex novo nell’accordo, da ciò che non va bene, ma é
gia presente nell’intesa e, dunque, non si potrebbe modificare, chissa
perché, autolimitandosi a priori.
La
sostanza del Mes non é ridimensionata seriamente dal ministro, che su
di un solo punto ha ragione, quando solleva il problema dei progetti, in
primis il «non paper tedesco», che vorrebbero introdurre
l’assicurazione europea dei depositi, ma come condizione richiedono
l’attribuzione di un coefficiente di rischio ai titoli pubblici ai fini
della Vigilanza.
Qui
Gualtieri giustamente dissente. Ma, se si è morbidi nei confronti del
Mes in questione e non si agisce per le necessarie modifiche, ci si
candida a sorbire l’amaro calice anche di una proposta non adeguata di
assicurazione dei depositi, magari sciorinando all’ultimo momento, prima
della firma, la solita litania sui danni della non sottoscrizione,
senza ricordare che da tempo, secondo i patti, tale assicurazione
avrebbe dovuto essere introdotta.
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