Come ha scritto Marco Palombi su questo giornale, il problema non riguarda tanto la (contro)riforma del Mes ma la sua stessa esistenza.
Il Mes non fa parte della soluzione ma del problema, per il semplice motivo che tutta la struttura dell’euro e dell’Eurozona costituisce un problema macroscopico.
Nell’audizione parlamentare sul Mes, Vladimiro Giacché ha dimostrato con cifre e statistiche chiare e precise che l’Eurozona cresce meno delle altre aree economiche.
L’euro, l’austerità, l’assenza di stimoli fiscali espansivi frenano pesantemente lo sviluppo competitivo dell’Europa.
Nonostante le amorevoli cure del Mes non ha ancora recuperato il quarto di Pil perso nella crisi e ha un debito pubblico tuttora pari al 180% del Pil.
A che cosa serve allora il Mes?
Sarà questo il destino dell’Italia?
Il Mes è una creatura tedesca, voluta nel 2012 dalla signora Angela Merkel quando la crisi dello spread e dell’Eurozona stava precipitando. Il Mes non fa parte delle istituzioni dell’Unione europea per il semplice motivo che il governo tedesco non ha voluto essere condizionato dalla Commissione e dal Parlamento Ue.
Nel Mes comanda la Germania e non la Ue.
Non a caso con il suo 27% di quota, secondo lo statuto del Mes, la Germania da sola ha diritto di veto su ogni finanziamento agli stati in difficoltà: insomma, le decisioni sono tedesche ma i soldi del Mes – circa 80 miliardi versati, ma grazie alla leva finanziaria la disponibilità totale è di 700 miliardi – sono anche degli altri Paesi, tra cui l’Italia, che ha messo addirittura 14 miliardi nel fondo intergovernativo (che tra l’altro ha salvato con 41 miliardi le banche spagnole, concorrenti di quelle italiane).
C’è una logica infernale nelle politiche dell’Eurozona: la Bce secondo il trattato di Maastricht non può intervenire come prestatore di ultima istanza anche quando gli stati sono sotto attacco della speculazione;
ma il Mes, che – come spiega Giampaolo Galli – come istituzione dichiara di rappresentare gli interessi dei creditori degli stati in crisi, cioè le grandi banche e le società finanziarie e non quelli dei cittadini europei – è questo è gravissimo! -, può offrire i suoi servizi quando ormai la frittata è fatta.
Molti economisti e politici tedeschi prevedono esplicitamente (e forse auspicano) che l’Italia prima o poi farà la fine della Grecia e che debba ricorrere ai “servigi” del Mes.
Del resto, nonostante l’avanzo primario italiano – cioè nonostante il fatto che da oltre 25 anni i cittadini paghino più tasse di quanto lo stato spende per i cittadini – lo stato è costretto ogni anno a fare deficit, cioè a chiedere soldi sui mercati alla grande finanza solamente per pagare gli interessi sul debito, mentre il debito continua imperterrito ad aumentare!
In questo contesto la copertura monetaria sul debito pubblico da parte della Bce con il quantitative easing non basterà.
È facile prevedere che l’Italia continuando così non uscirà dalla crisi.
Ci vorrebbe una svolta. Che però in Europa non c’è.
Gli investimenti pubblici o privati non riprendono né in Europa – la Germania resta fanaticamente attaccata al pareggio di bilancio – né tanto meno in Italia. Senza politiche espansive di investimento il debito pubblico italiano è destinato inesorabilmente a crescere, mentre il Pil nazionale dopo dieci anni dall’inizio della crisi è ancora sotto del 5% rispetto ai livelli pre-crisi.
Non c’è dubbio che se fossimo rimasti con la nostra “liretta” l’Italia sarebbe andata meglio.
In Germania quindi molti prevedono che l’Italia indebitata sarà costretta a ricorrere al Mes.
Ma il Mes concederà prestiti solo alle sue condizioni: aumento delle tasse (in particolare la patrimoniale, suggerita dagli economisti tedeschi per l’Italia) e soprattutto taglio della spesa pubblica (sanità, scuola, pensioni, ricerca, ecc) e privatizzazione dei servizi pubblici.
Il colpo sarebbe mortale.
Bisogna uscire al più presto dal tunnel. Ma è difficile rimettere il dentifricio nel tubetto.
L’uscita unilaterale dell’Italia dall’Eurozona, come minaccia la Lega, provocherebbe il crollo dell’euro, conseguenze geopolitiche enormi, ritorsioni da parte degli altri Paesi europei, e soprattutto una nuova gravissima crisi dell’economia, della società e della politica italiana.
Una soluzione alternativa però esiste: rimanendo nell’Eurozona e nella Ue, un governo coraggioso e capace potrebbe emettere urgentemente titoli di sconto fiscale convertibili in euro per finanziare gli investimenti indispensabili per uscire dal tunnel della crisi.
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