Siccome
sono sì, in collera, ma non sono posseduta da insani pregiudizi e da
invidia nei confronti di quei bei faccini puliti, di quelle agili menti
così impegnate nel sociale da chiamare lavoro anche l’andare in palestra
e il prodigarsi nel volontariato, come hanno dichiarato i leader in
dialoghi edificanti condotti da intervistatori toccati dalla loro
gentilezza, alternata in regime di par condicio con beceri urlanti a
pari merito di Auditel, ecco mi sento di dare qualche consiglio alle
Sardine, ufficializzate dal quotidiano comunista con la S maiuscola, e
che per qualche ora hanno patito quella censura in rete che esigono
ragionevolmente per siti di beceri buzzurri, che, tanto per dire, io
conosco bene per essere periodicamente oscurata, ma che dovrebbero
chiedere a gran voce per chi calunnia e minaccia, protetto da
prerogative di intoccabilità e in rigor di legge.
infosannio.wordpress.com (Anna Lombroso per il Simplicissimus)
E infatti raccomando loro, come recita il proverbio, di guardarsi
soprattutto dagli amici, dai fan, dalle majorette che li stanno
promuovendo a movimento capace di incantare le masse, che grazie alla
loro gentile carezza si trasformerebbero da lupi in agnelli, magari pure
quelli con la A maiuscola per affinità di nascita, cerchia sociale,
interessi per le cose divertenti, protezione della stampa cocchiera e di
influenti padrini.
Per esempio, proprio ieri un blog molto frequentato li appaia ad
altro fermento che sarebbe stato capace di convertire i movimenti
disordinati e dolenti dei milanesi in dinamismo creativo e
partecipazione democratica. Scrive lo spericolato Christian Rocca
direttore dell’Inkiesta, che le Sardine sarebbero ” il modello civile e popolare contro demagoghi e babbei di destra e di sinistra”, proprio come le madamine e soprattutto come la Milano che scese in piazza contro i no Expo nel 2015.
E continua imperterrito sostenendo che il loro prototipo risale “alla
mobilitazione spontanea del 2 maggio 2015, a Milano, quando decine di
migliaia di persone guidate dall’ex sindaco Giuliano Pisapia scesero
istintivamente in strada per rimediare ai soprusi e alle violenze dei
populisti no Expo e per difendere con orgoglio lo sviluppo e il
progresso della propria città. La nuova Milano di cui tanto si discute
in queste settimane, spesso in modo grottesco, è nata esattamente nel
giorno di quella rivolta-civile-contro-la-rivolta-populista che è
riuscita a disinnescare i ciarlatani, i mangiatori di fuoco e gli
scappati di casa che dilagano altrove. Eccola, per esempio, una cosa che
Milano ha restituito al paese”.
Non teme il ridicolo insomma l’avventato opinionista che più che un
augurio lancia una minaccia, che fiancheggia come un Maroni o un
Calderoli qualsiasi, per non parlare del nemico n.1, una indiscussa
superiorità democratica e civile della Capitale Morale, ricicciando,
come sempre in tempi di carestia, l’ineffabile Pisapia, sponsor
sobriamente allupato della grande kermesse Expo, che sostenne con gli
occhi foderati di prosciutto come si addice davanti a una “greppia”
sull’alimentazione, fingendo di non vedere quali crimini si consumavano,
economici, amministrativi, ambientali, penali, compresi quelli ai danni
del buonsenso.
Borghese gentiluomo, dolcemente ritroso, teneramente inconsapevole
anche quando si scopre qualche piccola ingenerosità nell’assegnazione di
un alloggio alla sua signora, come la definirebbero i cumenda, Pisapia,
uomo per tutte le stagioni di uno schieramento che con fierezza ha
rinnegato l’appartenenza a una tradizione e a un mandato di difesa e
rappresentanza degli sfruttati e che lo estrae dalla naftalina a ogni
primaria, meriterebbe però il posto d’onore, da contendersi con quello
attuale, di miglior sindaco neoliberista di Milano, superando Albertini e
la Moratti, ai quali la parola riformista fa aggricciare la pelle,
almeno quanto a me per l’abuso che se ne fa.
Intrisa di quei valori che proprio oggi magnifica come da mandato il
rettore della Bocconi in attesa di Mattarella indicandoli nella “milanesità, nella profondità, nell’autoreferenzialità positiva che ha portato questo ateneo a osare prima degli altri, a provare strade nuove e in alcuni casi a indicare una via bocconiana”
– che è facile immaginare porti dopo Monti a Draghi, bocconiano ad
honorem malgrado la macchia di essersi laureato con Caffè – la carriera
di amministratore di Pisapia comincia con una efficace campagna di
accreditamento che convince gli elettori sulla possibile rottura con il
passato, sulla discontinuità con le scelte urbanistiche
dell’amministrazione di Letizia Moratti. Quelle migliaia di persone in
piazza saranno poi invece delusi da quel Piano di Governo del
Territorio, e da quel Piano delle Regole, che confermano la tenuta di un
processo decisionale non partecipato (anticipatore delle farse odierne
della consultazione tarocca dei cittadini sulle “rigenerazioni”) e che
ha lasciato e lascerà spazio inalterato alla finanza immobiliare.
Sarà Pisapia a lanciare l’accordo di programma con Fs per il
riutilizzo degli scali ferroviari, sulla falsariga di progetti analoghi,
ex Fiera/Citylife ed ex Centro Direzionale/Porta Nuova, con analoghi
effetti di densità speculativa nel quadro di una nuova Milano da bere,
che è riuscita nell’impresa di espellere fuori dalle mura oltre mezzo
milione di milanesi, di stravolgere il tessuto abitativo per far posto a
uffici di banche, multinazionali, a un commercio con l’ostensione dei
prodotti che mostrano le vetrine di Dubai e Miami, humus e frutto della
totale finanziarizzazione dell’economia e della società, e che ha i suoi
monumenti sorti sulle rovine prodotte da quella che è stata definita
una jüngeriana tempesta d’acciaio e cemento, mentre è tuttora priva di
un depuratore ed è regolarmente per via dei fiumi Lambro, Seveso e Olona
mai regimentati, tutelati e disinquinati.
Diventata la prima in Europa per consumo di suolo, trasformata nella capitale della cazzuola,
grazie a costruzioni tirate su per iniziativa liberista e irregolare di
imprese, istituti di credito, presidenza della Regione che chiede
autonomia per proseguire nella sua folle megalomania incrociata con
l’esigenza di appagare l’avidità costruttiva, non discusse e non
controllate in alcun Consiglio pubblico, dove, in perfetta coerenza con i
fasti bulimici degli sceiccati e degli emirati, molto presenti in
città, si elevano grattacieli che specchiano sulle loro pareti di
cristallo il volto osceno e irriguardoso del modernismo, si accredita
per essere anche la città simbolo della gentrificazione, la sostituzione
antropologica, edilizia e sociale degli abitanti e degli alloggi che
via via hanno costituito il tessuto urbano, con avventizi, residenti
temporanei ospitati nelle geografie del terziario e che vede nella
“valorizzazione” dell’ex Citta degli Studi attraverso la messa a
disposizione di quel patrimonio al libero mercato.
Chi volesse interpretare e rappresentare lo scontento dei cittadini
espropriati, cacciati, dissanguati, ma spinti a sentirsi talmente
intoccati dall’umiliazione e esenti dalla colpa di conoscere come unica
forma di disubbidienza, l’evasione fiscale, dovrebbe prima di tutto
contrastare chi la violenza l’ha esercitata in forma istituzionale, nel
rispetto di leggi forgiate e adottate per favorire interessi privati,
anche quando mostra una faccia pulita, modi garbati, abiti impeccabili e
applica le regole del bon ton allo slogan del marchese del Grillo.
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