Vincono solo i padroni - Estratto dal libro Basta salari da fame!
Pubblichiamo un estratto di “Basta salari da fame!” (Laterza), di Simone e Marta Fana, uscito il 7 novembre.
Marta e Simone Fana ilfattoquotidiano.it
Oggi in Italia si guadagna meno di trent’anni fa, a parità di professione, a parità di livello di istruzione,
a parità di carriera. Vale per tutti, tranne per quella minoranza che
sta in alto.
Non è una casualità. La questione salariale nel nostro
paese, ma non solo, è un pezzo di storia politica che può essere
raccontata con la retorica di chi continua a comandare o dalla viva voce
di chi quel comando lo subisce sulla propria carne viva.
Abbiamo quindi deciso di ripercorrerla, connettendo il filo che lega il
passato con il presente, dove il futuro appare una proiezione di un
tempo lontano, ma il cui volgere non è affatto scontato.
Il primo
dopoguerra e la crisi internazionale di metà anni Settanta dove
l’avvicendarsi del conflitto sociale portò a risultati diversi, fino ai
giorni nostri, in cui si consolida anche grazie al processo di flessibilizzazione
la strategia aziendale di protezione dei profitti e gestione del ciclo
economico, facendo del costo del lavoro un fattore variabile su cui
scaricare il rischio aziendale e le fluttuazioni della domanda.
Ma è grazie all’ingente apparato retorico e ideologico, a corredo di
tale offensiva, che i salari tornano a essere l’agnello da sacrificare
in nome dell’interesse aziendale, eretto a unico interesse nazionale.
Se
ne convinsero persino i sindacati, accettando non soltanto di congelare
i salari ma anche di assestarsi lungo una dinamica assertiva alle
richieste del mercato.
Nonostante tutto questo, le aziende continuano tenacemente a esigere
sconti fiscali, sgravi e salari più bassi, l’unica costante delle
riforme: non la competitività, non la produttività, non
il benessere diffuso, ma la svalutazione del lavoro.
Siamo oggi un
paese che conta il 14% di forza lavoro in condizioni di povertà
lavorativa, e in cui il 30% dei giovani occupati non guadagna più di 800 euro al mese
(dati Inps).
Quando la frammentazione interna al mondo del lavoro non è
sufficiente a contenere il conflitto sociale, bisogna trovare comunque
argomenti che spostino il centro dell’attenzione dalle sue vere cause,
da chi sfrutta e decide di sfruttare. Da qui il mito della tecnologia
che separa i bravi, meritevoli di salari elevati, da quelli poco
produttivi, che invece non hanno diritto che a salari da fame.
Ma, anche
questa volta, la teoria a monte di una retorica sempre più diffusa si
rivela, quando non del tutto inefficace, parziale e incompleta a
spiegare i divari salariali esistenti.
Abbiamo messo a fuoco la questione salariale e la dinamica economica come esito dei rapporti di forza tra le classi sociali,
attingendo a basi teoriche alternative al pensiero dominante e
all’ausilio di risultati empirici di studi e ricerche accademiche e
istituzionali.
Senza però sottrarci al dibattito contingente: quello che
vede la possibilità dell’introduzione del salario minimo legale
anche nel nostro paese.
Consapevoli però che il salario minimo non è
positivo di per sé, ma lo diventa quando riesce a incidere e migliorare
le condizioni di tutti i lavoratori, partendo dai tanti, troppi, che
oggi vivono in stato di povertà pur lavorando regolarmente nel rispetto
dei contratti collettivi – anche rappresentativi – vigenti.
È uno
strumento capace di mettere il bastone tra le ruote a chi pensa di poter
rimanere a galla a colpi di esternalizzazioni e lavoro
in affitto.
Un risultato non scontato, ma che dipende da quanto siamo
pronti a strappare ancora una volta al fronte padronale, ad attaccare su
quel che ci spetta non accontentandoci di quello che sono disposti a
regalarci, senza timore di indebolire alcuna struttura intermedia.
di Simone e Marta Fana
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giovedì 28 novembre 2019
Salari, i grandi sconfitti del conflitto sociale. Perché il sistema vive di sfruttamento.
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