infosannio.wordpress.com (Massimo Cacciari – l’Espresso)
Soltanto l’ infaticabile produzione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere da parte dei suoi protagonisti può nascondere i crudi fatti: con la propaganda sovranista Salvini aveva capitalizzato il capitalizzabile; a questo punto lo attendeva la quadratura del cerchio di una manovra finanziaria che non dava alcun margine su flat-tax e autonomia regionale; ha perciò scommesso sulla guerra lampo: o vittoria elettorale o i grillini per terrore del voto mi concedono tutto e di più.
La scommessa non gli è riuscita (o solo in parte, se
si andasse a votare), ma la sua vittoria potrebbe essere solo rimandata –
basta che la soluzione di governo che si escogita non manifesti una
forza tale da rovesciare addirittura l’ immagine di assoluta debolezza
che oggi si esprime nei colloqui e incontri tra Pd e 5 Stelle.
Debolezza che nessuna retorica sulla centralità del
Parlamento, nessuna lezioncina sulle regole della democrazia
rappresentativa ecc., sono in grado di coprire: il Pd è il partito
sconfitto alle ultime politiche e i 5 Stelle verrebbero massacrati se si
andasse oggi al voto.
Soltanto uno straordinario segno di
consapevolezza politica, critica e autocritica, soltanto una compagine
governativa di assoluta autorevolezza, coesa intorno a un programma di
riforme di sistema, potrebbero forse riuscire a convincere l’ opinione
pubblica che si intende sul serio aprire una fase politica nuova e non
si tratta di salvare in extremis e pro tempore un naufragante ceto
politico.
Comunque la crisi si compia, tuttavia, la lezione che
ce ne viene è, a mio avviso, di somma importanza. Sotto le maschere più
o meno patetiche o grottesche dei suoi protagonisti si è giocato un
dramma tremendamente serio.
Altro che semplice crisi di un governo e
trattative per costruirne un altro. Aspetti fondamentali dell’ azione
politica nel nostro Paese e del modo più in generale in cui questa viene
intesa sono venuti, direi brutalmente, alla luce.
Anzitutto, è evidente che la “visione del mondo”
ormai quasi naturalmente condivisa è quella per cui politica è l’ arte
dell’ assoluto trasformismo.
In lontani decenni ciò veniva denunciato
come uno dei suoi mali.
Ora viene accettato senza colpo ferire, anzi: i
suoi più spregiudicati interpreti sono ritenuti i politici più
intelligenti e abili.
È un machiavellismo da stenterelli, è evidente, un
machiavellismo senza virtù e senza fini, ma la sua debolezza, per così
dire, teorica non ne inficia per nulla il valore pratico.
Come è potuto accadere, nel giro di una generazione,
che senza colpo ferire e senza vergogna si potesse invocare l’ alleanza
di chi si era sfiduciato il giorno prima, che coloro che avevano
condiviso tutto il pessimo di una precedente stagione finita
rovinosamente pretendessero guidare quella successiva, o coloro che
avevano sparato contro Caio lavorassero poi, senza cenno autocritico,
per un’ intesa con lo stesso?
E tutto ciò, appunto, senza dover rendere
conto a nessuno e, anzi, potendo continuare a dire che si lavora per il
bene della Patria, con spirito di sacrificio e alto senso di
responsabilità.
Come è potuto accadere un tale trionfo del trasformismo?
È questa categoria che non regge più. Trasformismo
significa passare per opportunità o calcolo da una collocazione politica
a un’ altra, trapiantarsi altrove.
Oggi non vi è alcuna radice. I
“politici” si collocano in uno spazio sostanzialmente omogeneo in tutti i
suoi punti, e “giustamente” perciò l’ opinione pubblica non avverte
nulla di scandaloso nelle loro giravolte.
La costituzione di questo spazio non ammette, in
linea di principio, nessun “corpo” di riferimento: partiti, sindacati,
rappresentanze autonome limitano la libera circolazione al suo interno
di merci come di idee e di uomini.
Di questa destrutturazione radicale
dello spazio politico i 5 Stelle in Italia sono stati coerente, quanto
forse incosciente, espressione e perciò non poteva mancare il loro
appuntamento con i manager del potere, il vasto mondo delle competenze a
disposizione, capaci di costruire in quello spazio omogeneo e vuoto
rotte in grado di farlo, il potere acquisito, durare quanto più a lungo
possibile. Non importa nulla con chi.
Ne seguono alcune conseguenze di grande rilievo.
Sulla forma del contratto per stabilire un’ alleanza politica è stato
anche ironizzato, ma a torto: si tratta di una innovazione che deriva
logicamente da quanto appena detto.
Lo spazio post-politico diventa
quello stesso del diritto privato.
Non più partiti, ma individui
“liberi” siedono al tavolo delle trattative e stabiliscono accordi che
soddisfino i contraenti.
Se partiti, sindacati ecc. non debbono più esistere,
la divinizzazione del Contratto anche nella sfera politica risulta
inevitabile.
Qualsiasi prospettiva strategica si contrae, come in uno
spasmo, al tempo brevissimo dell’ utilità privata.
E di nuovo sarà il
manager a imporsi: è infatti soltanto la tecnica, la gestione, l’
amministrazione che può contare qualcosa nello spazio politico così
contratto. L’ opinione pubblica avverte tutto ciò e premia il tecnico,
almeno fino a quando questi operi in tale veste e si vanti del suo non
essere “un politico”, mentre sempre più vede nel politico destrutturato
un inutile fardello.
Questa crisi segna anche il punto culminante dell’
onda lunga della crisi dell’ istituto parlamentare.
O entra in gioco un
disegno radicale di riforma, o celebriamone pure il funerale – funerale
che potrebbe durare anche cento anni.
Le correnti
demagogico-populistiche che tutti hanno inseguito negli ultimi decenni
non potevano portare altrove, ma mai così drammaticamente come in questa
fase è emersa l’ impotenza del Parlamento rispetto a logiche
privatistiche di gestione del potere.
Tutto l’ impianto dei rapporti tra esecutivo e
legislativo, tra potere centrale e Regioni e Enti Locali, tra potere
politico e funzioni autonome dello Stato, va finalmente riformato, se
non vogliamo che dalla crisi della democrazia rappresentativa nelle
forme che finora abbiamo conosciuto si passi alla fine della stessa
democrazia in un regime di contrattazioni tra poteri economici,
finanziari, mediatici che di volta in volta assumono la figura di questa
o quella “loggia”, di questo o quel cerchio magico, di questo o quel
tecnico-manager.
Sempre più è questo il gioco cui assistiamo e ad esso
l’ opinione pubblica sembra ormai quasi assuefatta.
Sarà soltanto con
una lunga lotta culturale e politica che la situazione potrà cambiare,
non certo fuggendo il confronto aperto con chi l’ ha voluta e la
difende, né certo cambiando in commedia qualche attore.
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