Disegno di Mauro Biani (pubblicato da Azione nonviolenta) |
La scuola ha il dovere storico e morale di ricordare che il 4 novembre non vi è nulla da festeggiare. È in realtà un giorno di lutto, poiché in quella data termina una delle guerre più violente della storia, costata la vita ad oltre 13 milioni di uomini, una scellerata macelleria sociale dal cui sangue sbocciarono i frutti velenosi del fascismo e del nazismo.
comune-info.net Matteo Saudino insegnante di filosofia a Torino
Le accuse di “non meritare di insegnare in una
scuola italiana”, rivolte dall’assessora veneta all’Istruzione, la
leghista Eleonora Donazzan, a un gruppo di docenti del Liceo classico
“Marco Polo” di Venezia, rei di non aver voluto
partecipare con le loro classi all’incontro con due ufficiali della
Marina e della Finanza, previsto per lunedì 4 novembre in occasione
della giornata dell’unità nazionale e delle forze armate, ci consegna
l’urgenza politica di mettere in profonda e critica discussione il
rapporto che si è venuto a determinare in Italia fra mondo delle
istituzioni scolastiche e mondo delle istituzioni militari.
Tale mistificazione della realtà ha raggiunto l’apice proprio con le celebrazioni della vittoria di Vittorio Veneto e della fine della prima guerra mondiale.
Di fronte al tentativo di fare di tale ricorrenza un momento di orgoglio patriottardo, la scuola ha il dovere storico e morale di ricordare che il 4 novembre non vi è nulla da festeggiare e che anzi il 4 novembre è un giorno di lutto nazionale, poiché in quella data termina una delle guerre più violente della storia, costata la vita ad oltre tredici milioni di uomini.
La grande guerra fu un vero e proprio crimine politico figlio dell’aggressività dell’imperialismo, della cecità delle classe dirigenti, delle alleanze militari, della corsa agli armamenti, della violenza dei nazionalisti, della crisi del movimento operaio internazionale e della volontà della grande borghesia di trasformare la lotta di classe tra sfruttati e sfruttatori, interna alle nazioni, in una lotta orizzontale tra proletari e contadine nelle trincee.
La prima guerra mondiale fu una scellerata macelleria sociale senza predenti dal cui sangue sbocciarono i frutti velenosi del fascismo e del nazismo, che portarono il mondo nel baratro di un nuovo e ancor più devastante conflitto globale, fatto di stermini, lager, genocidi e armi atomiche.
Per questo penso che tutti i cittadini democratici debbano dire grazie ai docenti veneziani, i quali, rifiutandosi di celebrare il 4 novembre in compagnia di esponenti dell’esercito, hanno avuto il coraggio di disobbedire ad un diffuso potere, tanto banale quanto pervicace, che ogni giorno, tra scoramento e complicità, pretende impunemente di rovesciare la Costituzione della Repubblica e di riscrivere la storia.
La scuola deve avere lo slancio politico e dire che dove vi è il trionfo di Polemos (il dio della guerra) vi è la dissoluzione della polis, ovvero della comunità politica. La guerra è nemica dell’educazione.
Gli insegnati devono assumersi il gravoso compito di arginare questa retorica militarista, portata avanti, tra squilli di tromba, sia dalle forze politiche sovraniste-nazionaliste che dagli schieramenti liberali e liberisti: entrambe le fazioni infatti, seppur da posizioni diverse, vedono nella guerra uno strumento politico utile per governare la realtà, in nome del mantenimento di uno status quo complessivo in cui i soggetti dominanti possono perpetuare la loro egemonia, fatta di ingiustizie e sfruttamento.
La neo-ideologia militarista, rivolgendosi ad una opinione pubblica accuratamente spaventata e a lavoratori sempre più precari e disillusi, sostiene che per fortificare le democrazie nei mari burrascosi del XXI secolo sia necessario aumentare le spese militari e prepararsi alle guerre; queste ultime, invece, rispondono a machiavelliche strategie finalizzate al mantenimento o conseguimento dell’egemonia politica e al controllo neo-coloniale delle risorse economiche.
Oggi il militarismo rappresenta una delle principali minacce per provare a costruire una società internazionale di pace e di cooperazione, che permetta ai popoli di prosperare, senza sopraffarsi, nella collaborazione. La scuola della Costituzione deve raccogliere la difficile ma profetica sfida della pace, facendo dell’articolo 11 un baluardo pedagogico irrinunciabile: gli insegnati devono far del ripudio della guerra, in tutte le sue molteplici forme, la stella polare della loro azione didattica, in quanto solo educando dal basso a pratiche di pace possiamo sperare di svuotare il futuro dal morbo dei conflitti armati.
Solo realizzando una pace stabile e duratura, fatta di giustizia sociale, solidarietà, diritti civili, sviluppo economico equo, ecologia e dignità gli uomini e le donne potranno realizzarsi come esseri liberi e felici.
Serve ricostruire una grande campagna mondiale per il progressivo disarmo mondiale, facendo crescere una coscienza che capisca che il circolo vizioso armi-guerra rende il mondo più insicuro e ingiusto, danneggiando innanzitutto chi è più povero e che quindi ha maggiormente bisogno di sanità, lavoro e istruzione.
Una subdola razionalità strumentale, che ha tradito la ragione universale e umanista, è giunta a produrre, nel corso del Novecento, spaventose e barbare armi di distruzione di massa che hanno trasformato la guerra ancor di più in un crimine permanente contro l’umanità, in uno strumento perverso nelle mani degli innumerevoli nemici di una democrazia fatta di uguaglianza ed emancipazione. Una delle sfide che abbiamo di fronte è, pertanto, quella espellere dalla Storia la guerra; quest’ultima deve diventare, come l’incesto, un tabù politico ed etico, in quanto minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità e dell’ambiente.
Per questo la scuola italiana, come comunità educante, deve rivendicare con orgoglio le radici pacifiste della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza alla violenza nazifascista e al loro progetto di guerra, ritornando agli insegnamenti di uomini e donne come Aldo Capitini, Maria Bajocco Remiddi, don Milani e Danilo Dolci: la democrazia cresce di pari passo con il disarmo, con la riduzione delle spese militari, con la conversione dell’industria bellica in industria civile, con la lotta ad ogni discriminazione, con un’economia di giustizia, con la partecipazione alla vita politica, con l’educazione ai diritti umani e con il rifiuto collaborare con chi prepara oggi le guerre che uccideranno domani.
Per una sana e robusta istruzione di pace servono insegnati disposti a farsi quotidianamente, obiettori di coscienza.
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