In
Italia ci sono dieci persone che da sole possiedono una ricchezza di
100 miliardi di euro.
All’estero risultano depositati 174,9 miliardi di
euro di ricchezza privata di soggetti italiani, ma sono solo quelli che
si è riusciti ad individuare.
Nel
nostro paese, mentre il 10% più ricco della popolazione (più o meno 5
milioni di adulti) ha aumentato la sua quota di reddito nazionale
guadagnando il 30% del totale, la metà più povera degli italiani
guadagna una quota sempre minore, circa il 24%.
Il reddito totale
italiano, così come riportato nei conti nazionali, è più o meno 1.500
miliardi di euro, quindi i 5milioni di italiani più ricchi hanno
mediamente un reddito di 90 mila euro annui e i 25milioni di italiani
più poveri, invece, si accontentano (in media) di circa 15mila euro
lordi annui.
Poi
ci sono gli ultra-ricchi, cioè circa 500mila adulti, che detengono il
7,5% del reddito nazionale nel 2016, cioè circa 225.000 euro a testa.
Naturalmente annui.
La
classe media invece, cioè i 20 milioni di adulti, in mezzo tra i più
poveri ed i più ricchi, dopo un lungo trend decrescente ha visto negli
ultimi tre anni un lieve aumento del reddito e nel 2016 il reddito medio
di questa fascia della popolazione era, in media, circa 34.500 euro
lordi annui, ovvero il 46% del reddito nazionale.
Si
può quindi concludere che anche in Italia è presente una forte
disuguaglianza dei redditi, che oltretutto non accenna a ridursi. Anzi.
Uno studio della Banca d’Italia, ad esempio, riscotra una forte
disuguaglianza di opportunità dovuta ad un’alta persistenza delle
condizioni economiche di partenza degli individui. L’ascensore sociale,
in altri termini, è bloccato; se nasci povero, difficilmente puoi
cambiare il tuo status.
Se
invece del reddito guardiamo poi alla ricchezza accumulata, un altro
studio della Banca di Italia ha misurato una distribuzione del
patrimonio italiano fortemente concentrata, per cui il 10% della
popolazione con più ricchezza detiene il 46% del patrimonio totale.
Distribuzione
di reddito e distribuzione di ricchezza sono molto differenti, ma sono
fortemente correlate.
La distribuzione della ricchezza è maggiormente
diseguale ed a maggior concentrazione. La strettissima relazione tra le
due comporta che ad aumenti della disuguaglianza nella distribuzione
patrimoniale seguano aumenti nella disuguaglianza dei redditi.
Se
i redditi da lavoro, unica fonte di reddito per la maggioranza delle
famiglie, non crescono, è evidente come il capitale (la ricchezza
patrimoniale, immobiliare e finanziaria) continua ad avere sempre
maggiore importanza generando crescenti livelli di disuguaglianza.
I
redditi delle sempre maggiori attività finanziarie aumenteranno lo
stock di ricchezza patrimoniale anno dopo anno, e in un contesto con
scarsi investimenti produttivi questa accumulazione non fa che aumentare
la rendita finanziaria, ancor prima dei profitti.
La
disuguaglianza inaccettabile è che, ad esempio, le imposte sul lavoro
sono mediamente più alte di quelle sulla ricchezza dovuta a prodotti
finanziari.
Quando
si vende un titolo azionario con un guadagno, viene tassata la
differenza tra il prezzo di vendita (al netto delle commissioni pagate
all’istituto bancario) e il cosiddetto prezzo di carico, o
fiscale, ossia il valore di acquisto comprensivo delle commissioni.
Su
questa differenza si applica un’imposta del 26%.
La stessa aliquota del
26% è applicata ai dividendi staccati dal titolo.
Per le obbligazioni
societarie l’imposta, su interessi e plusvalenze, è passata dal luglio
2014 dal 20% al 26%. In questa categoria sono comprese obbligazioni
italiane ed estere. Anche le plusvalenze sui derivati (opzioni, future,
swap, certificati o cfd) sono tassate al 26%.
I guadagni da titoli di stato come BTP (e BTP indicizzati), BOT, CCT e CTZ sono invece tassati al 12,5%.
Sugli stipendi da lavoro dipendente sono attualmente previsti 5 scaglioni di reddito, pagando le imposte alla fonte (qui nessuna evasione è possibile per il salariato) in base alla relativa aliquota Irpef, collocata in un range tra il 23% e il 43%.
A questa si sommano le addizionali Irpef comunali e regionali da versare agli enti locali, in base alla residenza.
Le Regioni possono applicare l’imposta entro il tetto massimo di 3,3% mentre i Comuni entro lo 0,8%, tranne casi particolari (a Roma ad esempio è dello 0,9%).
Le imposte sui redditi da lavoro, appena si superano i 15mila euro lordi l’anno (tassati a 23%, ad esclusione della no tax area),
vedono balzare le imposte ad una aliquota del 27%, superiore di un
punto a quella sui prodotti finanziari.
Se poi si superano i 28mila euro
lordi – nei redditi da lavoro – si salta subito al 38%, ben 12 punti in
più della tassazione sui prodotti finanziari.
Possiamo
dirlo allora che nel nostro paese il vero problema della crescente
disuguaglianza sociale, della mancata redistribuzione sia del reddito
che della ricchezza, sono proprio i ricchi? In questi anni di crisi si
sono arricchiti ancora di più a discapito del resto della popolazione e
della spesa pubblica che viene tagliata sempre “perché non ci sono i
soldi”.
Ma
i soldi – come abbiamo visto – ci stanno eccome, stanno solo e ancora
nelle mani sbagliate, invece di essere messi a disposizione lì dove
servono. Eat the rich!!
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