sabato 13 aprile 2019

La Turchia del dopovoto e lo spettro della crisi

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A dieci giorni dallo scossone elettorale rifilato dalla Turchia metropolitana al partito di governo è in corso fra quest’ultimo e l’alleanza fra repubblicani e İYİ Party un polemico scambio di battute sui ricorsi presentati al Consiglio Elettorale Supremo. L’Akp, che ha perduto la guida delle maggiori città: Istanbul, Ankara, Izmir, Adana, Antalya sostiene la tesi di errori di calcolo in svariati seggi di quelle stesse località e accusa alcune commissioni per non aver vigilato a dovere nei seggi. In merito Meral Akşener, ex esponente del partito nazionalista staccatasi dal Mhp e creatrice dell’alleanza col secondo partito turco (Chp), ricorda polemicamente come fino allo scorso anno gli uomini di Erdoğan non avevano nulla da eccepire sulla macchina di controllo elettorale. Ora che si vedono sconfitti insinuano brogli e mancata vigilanza. Si tratta di accuse boomerang: il governo deve comunque rispondere della selezione operata sul personale che presiede le operazioni di voto. Così la contestazione viene rimandata al mittente. Anche il leader del partito repubblicano Kılıçdaroğlu sottolinea la pretestuosità delle proteste dell’Akp che dovrebbe cercare le cause della sconfitta nella claudicante linea economica dell’esecutivo.

Indice rivolto al ministro delle Finanze Berat Albayrak, genero di Erdoğan, e che da un ampio spettro politico comprendente anche attivisti islamici è considerato un parvenu politico, nonostante il curriculum di studi. Formato nella School of Business Administration dell’Università di Istanbul, il figlio del giornalista Sadik (amicissimo di Recep Tayyip tanto da essere membro del Partito del Benessere, predecessore dell’Akp) entrò a far parte della “Çalık Holding” appena ventunenne e dopo un triennio venne nominato direttore nazionale della multinazionale negli Stati Uniti. Per la cronaca la Çalık, fondata negli anni Ottanta dall’imprenditore Ahmet attivo nel settore tessile e divenuto uno dei Paperoni della Turchia liberista, ha cavalcato l’onda del boom economico del Paese. Il rapporto con gli ambienti politici è servito al tycoon, naturalmente dotato di buon fiuto imprenditoriale, ad ampliare i settori d’intervento e i mercati stessi. Quindi minerario, costruzioni, energetico, finanziario sono diventati i settori in cui il gruppo si cimenta mentre negli anni Novanta l’indipendenza dei Paesi dell’ex Urss spalancò le porte per nuovi affari. Cui s’aggiunse la telefonia, oltreché la creazione di settori bancari per quelle invenzioni politiche dell’Unione Europea su volere statunitense qual è stato il Kosovo.

Il giovane Berat, che aveva sposato Esra Erdoğan, quale amministratore delegato della Holding ne seguì l’attività sino al 2013 poi rientrò in patria. Nelle travagliate elezioni del novembre 2015 fu nominato ministro dell’Energia e quella gestione venne  additata come prologo della crisi turca esplosa lo scorso anno. Le società elettriche accumularono miliardi di dollari di debito, prendendo in prestito denaro per attività di espansione non sempre brillanti e in varie occasioni speculative. Albayrak era finito anche nello scoop del quotidiano The Indipendent che tramite email “hackerate” evidenziava un rapporto fra il Berat, manager e non ancora ministro, e la compagnìa turca “Powertrans” che riceveva dal governo il monopolio del trasporto petrolifero in Anatolia dai pozzi del Kurdistan iracheno. Cui, però, s’aggiungeva anche il petrolio estratto dall’Isis nei territori definiti del Daesh. A posteriori un dispaccio della Cia definì quelle accuse infondate, ma gli esperti lo giudicarono un favore al presidentissimo Erdoğan riapertosi all’Occidente. Di fatto quando nel luglio 2018 Albayrak s’è ritrovato su nomina presidenziale ministro delle Finanze, la Borsa ha registrato turbolenze, e gli analisti economici sottolineavano il disagio degli investitori verso una figura controversa e giudicata priva di competenze.

Ora proprio da fonte governativa s’apprende che il ministero in questione amplierà i propri obiettivi (che comprendono anche il Tesoro) diventando ancora più potente. La decisione rientra nelle riforme previste ed è stata annunciata dal ministro stesso che in queste ore evidenzia la scelta di rafforzare il capitale degli istituti statali (sono previsti cinque miliardi di dollari) come primo passo compiuto dall’esecutivo per rendere robusti i bilanci della banca centrale. La stampa turca non certo d’opposizione (Hürriyet) afferma che Albayrak sta ricercando, anche col supporto di associazioni bancarie, un sostegno di istituti privati. Mentre viene studiato un nuovo sistema pensionistico basato sul reddito dei cittadini che, a detta degli esperti del dicastero, accumulerà fondi superiori al 10% del prodotto interno lordo. Il ministro sorprende gli analisti economici quando afferma che la Turchia sta facendo i passi giusti per garantire un buon funzionamento del settore finanziario. E’ solo propaganda per lenire il colpo elettorale che in ogni caso ha incrinato il rapporto con l’elettorato urbano o c’è di più? Intanto il presidente parla d’altro: tornando sul tema della sicurezza durante la festa della polizia ha ricordato la pulizia interna al corpo che ha incarcerato oltre 30.000 aderenti alla struttura Fetö e ne ha licenziati 31.000. 

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