di Marco Cattaneo
Il nuovo governo M5S – Lega deve affrontare con la massima determinazione i gravissimi problemi che affliggono l’economia italiana. Nonostante nel 2017 abbia fatto registrare una crescita dell’1,5%, il PIL reale (corretto per l’inflazione) è stato ancora inferiore di 100 miliardi ai livelli del 2007 – dieci anni prima! E i segnali attuali sono di rallentamento.
Le persone in povertà assoluta hanno raggiunto i cinque milioni (da 1,7 nel 2007). Solo tassi di crescita ben più sostenuti possono avviare una vera ripresa dell’occupazione e delle condizioni economico-sociali di vasti segmenti della popolazione.
Una situazione irrisolvibile? non sulla base della proposta elaborata da un gruppo di ricercatori, tra cui l’autore del presente articolo – Marco Cattaneo – insieme tra gli altri a Biagio Bossone, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini.
Si tratta di introdurre un nuovo strumento finanziario, i Certificati di Credito Fiscale (CCF): titoli da assegnare gratuitamente a una pluralità di soggetti – lavoratori, aziende, pensionati, disoccupati, fornitori del settore pubblico.
Un CCF permette di ridurre pagamenti futuri dovuti alla pubblica amministrazione, per qualsiasi causale (tasse, imposte, contributi, tariffe, ticket sanitari). In pratica sono diritti a sconti fiscali futuri.
Il titolare può monetizzarli in anticipo: un CCF emesso oggi, e utilizzabile come sconto fiscale a partire (ad esempio) dal 2020, ha valore fin da subito. E’ infatti negoziabile e trasferibile, e avrà un prezzo di mercato pari al valore facciale (lo sconto fiscale usufruibile alla scadenza) al netto di un modesto fattore di attualizzazione che incorpora l’effetto del differimento.
Molto probabilmente, si diffonderà anche l’utilizzo diretto dei CCF come corrispettivo di compravendite di beni e servizi. I CCF costituiscono una vera e propria forma di “Moneta Fiscale”, integrativa rispetto all’euro.
Peraltro, non essendo una moneta ad accettazione obbligatoria (ma negoziata e transata liberamente dalle parti, su base volontaria) i CCF non ledono il monopolio della BCE. L’euro rimane la moneta legale e l’unità di conto per i bilanci pubblici e privati.
Emissioni di CCF che crescono gradualmente fino a 100 miliardi annui nel giro di tre anni possono produrre una forte ripresa del PIL, a ritmi intorno al 3% annuo.
La crescita inoltre aumenta il gettito fiscale lordo, compensando gli sconti ottenuti, a scadenza, dai titolari dei CCF. Il maggior denominatore riduce il rapporto debito pubblico/PIL, e la differenza tra spese e incassi pubblici annui (in euro) cala a zero.
Le assegnazioni di CCF andranno, inoltre, in parte alle aziende, in funzione dei costi di lavoro sostenuti. Questo riduce il costo del lavoro effettivo, migliora la competitività ed evita che la ripresa squilibri i saldi commerciali esteri: la maggiore competitività consentirà alle aziende di esportare di più e di guadagnare quote di mercato interno nei confronti della concorrenza estera, compensando le maggiori importazioni dovute alla ripresa.
Si raggiungono così anche le finalità del Fiscal Compact. L’Eurosistema prevede che la BCE garantisca i debiti pubblici purché ogni paese s’impegni al pareggio di bilancio e a ridurre il rapporto debito/PIL. In pratica la BCE garantisce gli attuali livelli di debito, purché non si incrementino.
Ma i CCF non sono debito da rimborsare. Lo stato emittente si impegna solo ad accettarli a riduzione di pagamenti futuri. Nessuna garanzia è richiesta alla BCE: il valore dei CCF è assicurato dall’impegno di accettazione dello Stato.
Tutto ciò risolve le attuali disfunzioni dell’Eurosistema senza rompere la moneta unica, e senza che l’Italia debba chiedere maggiori garanzie o sostegni finanziari a nessuno. Non è necessaria la revisione di alcun trattato. L’Italia si rimette in moto semplicemente riassorbendo la disoccupazione e quindi utilizzando l’enorme potenziale inespresso della sua economia.
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